Testaccio

Il Rione dal volto verace

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Piazza Testaccio – archivio personale

Una gelida brezza febbrarina percorre in questi giorni le piazze, le strade ortogonali e le case popolari di Testaccio.

Spira dal Tevere accarezzando il Monte dei Cocci e il vicino Mattatoio, turbina sul Cimitero del Commonwealth e sul Cimitero Acattolico, costeggia le Mura Aureliane per raggiungere la Piramide Cestia e la Porta San Paolo, antica Porta Ostiensis e ripiega lungo la via Marmorata fino a Ponte Sublicio e alle rovine del Porto dell’Emporio, di nuovo sul Tevere.

Prima di giungere al volto di oggi, questi spazi hanno visto il succedersi di tante fasi, attraverso lunghi secoli.

L’origine di Testaccio risale all’antica Roma del II sec. a.C.

In quegli anni ci si rese conto del fatto che il vecchio porto fluviale del Foro Boario, presso l’Isola Tiberina, non bastava più a soddisfare le esigenze di una città in rapida crescita.

Lo sviluppo economico e la crescente popolazione esigevano spazi assai più ampi per accogliere e immagazzinare l’enorme flusso di merci che dal Mediterraneo arrivava a Ostia e giungeva, risalendo il corso del Tevere, fin nel cuore della città.

Il problema fu affrontato dai magistrati edili, addetti alla cura urbis, Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo.

Costoro nel 193 a.C. spostarono il porto in una zona libera, al confine della città a sud dell’Aventino, dotandolo di banchine, barriere con scalinate, lunghi portici con uffici e magazzini.

L’enorme porticato eretto in quell’occasione è ancora oggi identificabile con i resti della Porticus Emilia, in alcuni angoli di Testaccio.

Le merci e le materie prime, come marmi, grano, vino, olio, spezie, tessuti, giunte

al porto di Ostia, risalivano controcorrente il Tevere su chiatte trascinate da rimorchi lungo le sponde, con un sistema di funi e carri tirati da animali da traino.

Ben presto si pose il problema di come smaltire le migliaia di anfore vuote che avevano contenuto soprattutto olio: queste erano inutilizzabili e non era economicamente conveniente lavarle e asciugarle per poterle riciclare.

Dunque, venivano rotte in cocci, in latino testae, venivanotrasportate in un’area limitrofa e poi disposte a strati, con un criterio propriamente architettonico, così da creare gradualmente una sorta di enorme e stabile discarica, come una piramide a gradoni.

Ogni strato veniva cosparso di calce a scopo igienico e per evitare gli odori dovuti alla decomposizione dei residui organici. Fu così che si formò il Mons Testaceum, che ancor oggi dà il nome al rione.

Monte Testaccio – archivio personale

Con l’inarrestabile crescita dei traffici crebbe nella zona una grandiosa rete di magazzini, in latino horrea, in cui conservare adeguatamente le varie riserve alimentari.

Si formò inoltre il percorso della via Marmorata, ancor oggi chiamata così.

Lungo la via Marmorata si trasportavano i blocchi di marmo semilavorati che giungevano a Roma dalle cave più lontane dell’Impero.

Le alacri attività portuali e di stoccaggio proseguirono fino al III secolo dopo Cristo, per poi ridursi drasticamente, con il trasferimento nelle nuove strutture di Ostia.

I Prata Populi Romani

Con la caduta dell’Impero Romano infine si assiste all’abbandono graduale dell’area e inizia per Testaccio una nuova fase, che si protrarrà fino all’800.

La vasta area, caratterizzata dalle rovine delle immense strutture portuali e degli horrea, si trasformò nei Prata Populi Romani e divenne luogo di libera frequentazione popolare, di feste, scampagnate e attività artigianali.

Il Monte Testaccio si coprì di vegetazione e fu dimenticata la sua antica funzione di discarica: il luogo si trasformò nel teatro principale di cortei, corse e riti popolari e religiosi.

Alla base del Monte, alto 54 metri sul livello del mare e 30 metri sul livello della strada, si installarono in questi secoli piccole attività di vario tipo, officine, cantine per la conservazione del vino e qualche osteria.

Si sedimentò così il tipico carattere verace e genuino che ancor oggi riconosciamo al Testaccio, che rimase sempre un luogo a vocazione popolare e operaia.  

Alla fine dell’Ottocento

Solo alla fine dell’’8oo, in seguito al Piano regolatore del 1873 per Roma capitale d’Italia. si avviò un vero processo edilizio, che avrebbe fornito dignitose abitazioni per la popolazione operaia della zona.

Nel 1888 fu realizzato qui il Mattatoio, su progetto dell’architettoGioacchino Ersoch: per molti decenni questo luogo caratterizzò fortemente la vita e le attività della zona.

Le prime lottizzazioni, affidate a costruttori privati, diedero come risultato episodi di speculazione e progetti di malsane case alveare.

Con la creazione dell’Istituto Case Popolari nel 1903 si introdusse una nuova concezione edilizia, realizzata a gestione pubblica.

Un ruolo fondamentale ebbe in quegli anni il Comitato per il miglioramento economico e morale di Testaccio, che studiò seriamente le migliori modalità per fornire lavoro e abitazioni dignitose alle famiglie degli operai.

Organizzati in cooperative, lavorarono alla costruzione delle case gli stessi operai che poi vi avrebbero abitato.

Nacquero così le case popolari, costruite a partire dal 1907, creando quello che oggi è ancora considerato un modello di architettura popolare di grande qualità.

Il Rione Testaccio

Il 9 dicembre 1921 venne istituito il rione Testaccio, il ventesimo e ultimo rione romano.

A Roma i rioni sono tutti all’interno delle Mura Aureliane, mentre al di fuori di esse abbiamo i quartieri.

Nacque così un nuovo orgoglio rionale, che si alimentò anche con la tradizione calcistica: la nascita della AS Roma, nel 1927, ebbe qui il suo glorioso tempio nel Campo Testaccio, lo stadio di via Nicola Zabaglia n. 3 dove la squadra disputò i suoi incontri fino al 1940.

Il volto attuale di Testaccio è il risultato di un processo di riqualificazione avviato negli anni ’70 che ha portato il rione a voltare pagina, trasformandosi in uno tra i luoghi più frequentati di Roma, dove si può trovare arte, spettacolo, buon cibo, un nuovo fermento culturale.

Ex Mattatoio – Archivio personale

Lo slancio principale partì dal Mattatoio, che nel 1975 fu dismesso e gradualmente riconvertito a una nuova vita, rappresentando un importante esempio di archeologia industriale romana.

Le sue strutture, adeguatamente riqualificate, ospitano oggi un’intensa vita culturale, con la seconda sede del MACRO, la Facoltà di Architettura RM3 e moltissimi spazi espositivi e luoghi di incontro.

A Testaccio la cultura convive così con il carattere verace originario, che resiste nei secoli e costituisce uno di quei beni immateriali da mantenere con ogni cura.

di Maria Cristina Zitelli