Smart working? No, grazie!

Mi piace il lavoro: mi affascina.

Posso sedermi e guardarlo per ore.

Jerome K. Jerome

L’emergenza sanitaria che ha così violentemente colpito l’Italia ha imposto alla pubblica amministrazione l’assunzione di azioni tempestive, obbligandola a cambiare rapidamente le abitudini e le dinamiche lavorative, ricorrendo con immediatezza all’adozione generalizzata dello smart working. Allo stesso tempo, però, non investendo ancora sulle attrezzature e sulle tecnologie necessarie a tale cambiamento, ma avviando soltanto modeste operazioni di aggiustamento informatico, necessarie a garantire il prosieguo delle lavorazioni da remoto.

Ma non basta spostare un computer dall’ufficio a casa per ottenere lo smart working. Si è creata, di fatto, una situazione che ha reso difficile anche mantenere il confine tra il lavoro e la vita personale.

Seppure sia transitoria ed emergenziale, è opportuno e possibile, a nostro avviso, adeguare l’organizzazione aziendalee del lavoro nella pubblica amministrazione.

All’INPS, per esempio, sono stati mantenuti livelli di servizio elevati in condizioni difficili che lasciano intravedere un nuovo scenario, una nuova opportunità fondata sulla responsabilizzazione delle persone nel concentrarsi sugli obiettivi concreti, a fronte di una maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli orari, degli spazi e degli strumenti di lavoro.

Forse questo scenario, per l’amministrazione pubblica, non è così attuale e nemmeno il cambiamento del modello di lavoro sarà così radicale. È tuttavia evidente a tutti che il modo di lavorare tradizionale sta evolvendo in maniera importante e i cambiamenti sembrano destinati a permanere nel tempo.

Quello che abbiamo davanti è un mondo nuovo, che immaginavamo di vedere molto più in là, ma che la crisi epidemiologica ci ha anticipato in un assurdo trailer. E qualcuno lo sta già immaginando e vivendo come l’intero film.

Prima che la pellicola venga montata è necessario che tutti i fotogrammi siano messi in ordine e controllati uno ad uno per evitare sovraesposizioni, incoerenze tra una scena e l’altra, o addirittura l’assenza d’una trama compiuta. E allora è bene avere le idee chiare su quello che è davvero lo smart working, prima di nominarlo invano, generando una pericolosa confusione con il telelavoro.

Lo smart working non è un altro modo per chiamare il telelavoro. Non è l’ufficio da casa!

E’ un concetto nuovo, più complesso e articolato, che integra tutti quegli elementi che il telelavoro non include. E’ una nuova cultura lavorativa al servizio di un nuovo stile di vita.

E’ un’opportunità che il lavoratore può liberamente decidere di cogliere, una scelta consapevole di riappropriarsi del proprio benessere svolgendo allo stesso tempo meglio la propria attività lavorativa. Proprio questa libera scelta del lavoratore rappresenta la prima e forse principale differenza tra smart working (o lavoro agile)e telelavoro.

Un secondo importante elemento è la flessibilità. Il concetto è proposto in riferimento diretto non solo all’orario di lavoro e al luogo in cui lo si svolge – il telelavoro prevede un luogo specifico da dove effettuare l’attività lavorativa, ad esempio casa o centro satellite (telelavoro satellitare) – ma anche, in modo decisamente innovativo, alla possibilità di agire sulla riorganizzazione della struttura dell’attività lavorativa. Gli unici limiti alla flessibilità sono da ricondurre esclusivamente nel confine dell’orario di lavoro, attraverso i massimali giornalieri e settimanali determinati dai contratti. La flessibilità dunque attraversa integralmente lo spazio, il tempo e l’organizzazione. Da qui la necessità del diritto alla disconnessione, a tutela dei tempi di riposo del lavoratore, che deve essere garantito da adeguate misure tecniche.

Infine, lo smart working ridisegna l’impianto del lavoro dipendente, orientandolo fortemente verso forme organizzative basate su obiettivi e risultati, spostando la misurazione tradizionale della produttività dalla rilevazione dei numeri lavorati verso la consapevolezza e la condivisione dei risultati ottenuti dal proprio lavoro; una sostanziale differenza quindi con il telelavoro che non modifica la rilevazione produttiva praticata in ufficio.

Lo smart working è, quindi, una libera modalità aggiuntiva e flessibile di svolgimento del proprio lavoro.

Ma le amministrazioni sono davvero pronte a questa “rivolta” nel modo di lavorare? Saranno in grado di abbandonare i propri schemi culturali e sostituirli con orientamenti innovativi di questa portata?

Sembra chiaro che si dovranno ricomporre e riscrivere nuove regole contrattuali, applicative dei concetti contenuti nello smart working. Senza questo passaggio proseguirà la confusione e la libertà del datore di lavoro di occupare sempre più spazi della nostra vita privata.

Se così non fosse, allora: smart working? No, grazie!

di Arturo Giambelli