Radici a metà – Trent’anni di immigrazione romena in Italia

Il Centro Studi e Ricerche IDOS ha pubblicato di recente questo volume, frutto dell’osservazione metodica della comunità romena presente in Italia e dell’opera di sensibilizzazione costante che ha perseguito con le sue ricerche. “Radici a metà” segue dopo dieci anni due pubblicazioni sulla situazione dei romeni nel nostro paese, promosse dalla Caritas Italiana, che hanno avuto il pregio di contrastare i pregiudizi romenofobici esplosi nel 2007 all’interno della società italiana. In questi anni IDOS ha perseguito una strategia dal basso verso l’alto, volta a sostenere una conoscenza reciproca, basata sui fatti, tra italiani e romeni, animando dibattiti, sensibilizzando le istituzioni italiane e romene, rivolgendosi ai mass media, incoraggiando la comunità scientifica ad intervenire, valorizzando la cultura ed i rappresentanti della comunità in Italia. Nel 2020 si è realizzato un nuovo grande sforzo di ricerca, sostenuto dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, che ha consentito la sostenibilità operativa e finanziaria dell’intero progetto, durato quasi due anni in cui vi è stato un lungo ed elaborato lavoro di approfondimento, atto a raccogliere dati ed interviste, coinvolgere la base e confrontare i risultati.

Transilvania

Nell’opinione pubblica e anche nella politica, i flussi migratori sono descritti e percepiti come invasioni concorrenziali rispetto al benessere della popolazione ospitante. La ricerca, attraverso contributi multidisciplinari, cerca di condensare le varie sfaccettature della trentennale esperienza migratoria romena in Italia, proprio con l’intenzione di interpretarne e raccontarne la ricchezza economica, sociale e culturale, che è insita nell’esperienza stessa.

Come evidenzia il sociologo Paolo De Nardis, Presidente dell’Istituto di Studi Politici “S.Pio V”, l’obiettivo dello studio multidisciplinare è stato quello di elaborare una ricerca innovativa, in grado di contribuire ad inquadrare l’immigrazione romena in Italia con correttezza e obiettività, ossia tanto nei suoi aspetti positivi che negativi, proponendosi come testimonianza per le generazioni future, oltre che lettura del presente.

 L’approccio della ricerca è stato di tipo quali-quantitativo, utilizzando una molteplicità di dati statistici e di indagini, un rilevante numero di interviste per mettere a fuoco una collettività numerosa, che supera 1 milione di persone, polimorfa e sfuggente alle rilevazioni formali della pubblica amministrazione italiana. Lo studio ha seguito il principio della circolarità delle fonti, con la creazione di un complesso database che raccoglie tutti i dati amministrativi messi a disposizione da parte delle istituzioni italiane (Istat, Inps, Inail, Banca di Italia, Unioncamere, Miur, ecc.), arricchito da fonti romene ed internazionali. A partire da questa base di conoscenza, a livello nazionale è stato somministrato un questionario di rilevazione e sono state realizzate interviste sul campo.

Questo programma ambizioso è stato realizzato grazie alla collaborazione di studiosi di estrazione multidisciplinare e all’apporto di ricercatori dell’Accademia romena di Bucarest, atenei romeni e professori di varie università italiane. Prezioso il sostegno del mondo associativo romeno, che si è messo a disposizione per la somministrazione del questionario e l’individuazione dei testimoni privilegiati da intervistare, oltre che per la mediazione, l’offerta di suggerimenti che hanno aperto agli esperti inedite piste di indagine.

 “Radici a metà” si compone di tre sezioni. Nella prima parte, dedicata alla “Ricerca sui romeni in Italia, vi è un excursus storico sulle emigrazioni dalla Romania e una analisi dei dati su come si siano articolate strutturalmente, temporalmente e geograficamente le presenze in Italia. Ampio spazio viene dato poi al tema dell’integrazione della comunità romena attraverso specifiche indagini, che hanno visto la partecipazione di diverse componenti della diaspora. Gli autori, nei loro saggi, approfondiscono gli elementi strutturali dell’integrazione, quali il lavoro e l’imprenditorialità, e fattori di tipo socioculturale, con attenzione alle tematiche di genere, ai giovani e al futuro delle seconde generazioni. Ne viene fuori un racconto di successi e difficoltà, fatto di luci ed ombre, vissuti dalla comunità romena nel processo di inclusione nella società italiana.

 Nella seconda sezione del volume vengono focalizzati gli aspetti transnazionali della diaspora al fine di far emergere il ruolo e gli effetti che ne conseguono nei due Paesi. Gli autori indagano i legami della comunità emigrata con la madrepatria, la partecipazione politica in Italia ed in Romania e il livello di coinvolgimento nella società civile. L’impatto della diaspora in Romania ricade su molti fronti, dall’orientamento del voto nelle regioni di origine, allo sviluppo di nuove forme di imprenditorialità, alla circolazione del know how.     Pesanti sono i costi umani generati dall’assenza dal proprio paese, soprattutto nei casi in cui ad emigrare è solo una parte del nucleo familiare.

 La terza sezione dello studio è rivolta al tema dell’incontro tra le culture, le religioni e le lingue e sui legami tra Romania ed Italia, che vanno oltre i trent’anni di esperienza migratoria. Il processo di integrazione si è tradotto in forme di contaminazione linguistica e si riflette anche nella vasta letteratura delle migrazioni, sviluppatasi principalmente tra la componente femminile della comunità romena.

 Dalla lettura del volume emerge che la diaspora, con grandi difficoltà e a prezzo di grossi sacrifici, ha saputo creare un prezioso patrimonio a beneficio di entrambi i Paesi. L’Italia, soprattutto tra i giovani, è percepita come seconda patria, e per loro è impossibile definirsi interamente romeni o italiani. Le seconde generazioni vivono una complessa condizione identitaria: il sentirsi “mezzo e mezzo”, il nutrirsi e aprirsi a due radici socioculturali, rappresenta un valore aggiunto nell’odierna società globalizzata.

 La metafora resa dal volume è quella dell’”immagine riflessa”, che lega indissolubilmente italiani e romeni, sia nella dimensione storica che sociale ed economica, e che nelle migrazioni trova lo specchio più riuscito.

 Chi sono i romeni che hanno animato 30 anni di migrazioni internazionali e quali le loro motivazioni alla diaspora? La Romania ha raggiunto il suo picco demografico nel 1990, quando la popolazione sfiorò per la prima volta i 23;5 milioni di persone. Da allora vi è stato un costante declino demografico e oggi ammonta a circa 19,2 milioni di persone. In 30 anni tra il 1990 e il 2020 il saldo netto tra immigrati ed emigrati vede perdere 3 milioni di persone. Il picco dell’emigrazione è stato toccato tra il 2000 ed il 2005 quando all’interno dell’UE furono liberalizzati i visti al di sotto dei 3 mesi. Attualmente la diaspora dei romeni nel mondo conta quasi 4 milioni di persone, di cui il 53 % è costituito da donne. Le principali collettività vivono oggi in Italia e Spagna, ma fino al 2000 vivevano in Germania ed Ungheria. Prima del crollo del muro di Berlino l’emigrazione romena aveva il carattere di esilio rispetto alla chiusura con l’estero del regime comunista, instauratosi con un colpo di stato e con l’appoggio sovietico nel 1947. Il benessere materiale, a causa della pianificazione economica e della collettivizzazione delle campagne, peggiorò negli anni del comunismo progressivamente, ma il regime non consentiva di lasciare il Paese. Il regime di Ceausescu favorì solo l’emigrazione della minoranza tedesca (sassoni e svevi) e della comunità ebraica, attraverso il rilascio dei cosiddetti “passaporti etnici”. Si trattava di vere e proprie “migrazioni pagate” che iniziate già negli anni ’60 proseguirono per tutti gli anni ’70 e ’80. Ridotto ad uno stato di polizia, alla fine del 1989 il regime comunista romeno crollò sotto i colpi di una rivolta popolare. La Romania fu l’unico paese dell’Europa Centro Orientale che abbatté lo stato comunista non con una transizione negoziata, ma dopo un drammatico spargimento di sangue.  Il ritorno della democrazia, accompagnato dalla fine delle restrizioni di viaggio volute dal comunismo e da una transizione difficile, provocò nell’immediato una grave crisi economica, con crollo della produzione industriale e inflazione galoppante. Di qui, nei primi anni novanta, vi furono consistenti flussi in uscita delle minoranze presenti nel Paese, come quella ungherese e soprattutto sassone.  Negli anni ’90, la migrazione romena riguardò tutti gli stati dell’Unione Europea, oltre al Canada e Stati Uniti, con una progressiva preferenza per i Paesi dell’Europa mediterranea, insieme ad Israele e Turchia, dove è più diffusa la pratica del lavoro nero e più tollerata l’irregolarità. Pilastro della migrazione romena diventa la “circolarità” transnazionale dei movimenti migratori di natura non istituzionalizzata. Si tratta di migrazioni ai margini della legalità, di breve durata e ripetute nel tempo, che provenivano soprattutto dalle aree rurali che ritornavano ad essere popolate, in quanto si era verificata una ri-ruralizzazione per effetto della grave crisi industriale, che espelleva dalla città per i costi della vita insostenibili. I flussi circolari di questa migrazione determinano relazioni familiari inedite, in cui un membro della famiglia a turno si reca a lavorare all’estero. Dall’entrata nel 2007 della Romania nell’Unione Europea si è assistita ad una divaricazione delle destinazioni: la forza lavoro qualificata trova spazio bel mercato del lavoro di Germania, Francia, Regno Unito e Belgio, mentre quella meno qualificata o disposta ad un inserimento lavorativo al di sotto delle proprie qualifiche si orienta verso Spagna, Italia e Portogallo. Dal 2012 l’Italia è diventato il primo paese di destinazione della migrazione rumena, cui seguono Germania e Spagna. Dopo il 2007 i flussi assumono sempre più un carattere autoselettivo, con l’emigrazione di studiosi, professionisti e lavoratori qualificati, soprattutto nel settore della tecnologia informatica. Il brain waste (sciupio dei cervelli), tipico dei paesi dell’Europa Centro Orientale, sta provocando anche in Romania, una carenza di risorse umane sia nel settore pubblico che in quello privato dell’economia romena.

La Romania, come lo studio vuole evidenziare, è un Paese impoverito da mezzo secolo di regime comunista e da una transizione lunga e faticosa. Si tratta di un paese linguisticamente imparentato con il nostro, anche storicamente e non solo facendo riferimento all’epoca romana. In passato la Romania ha accolto italiani tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale, dove si trasferirono a più ondate, per lo più a carattere temporaneo. Si trattava di lavoratori della pietra o del legno, tagliaboschi, piccoli impresari edili, agricoltori, muratori, scalpellini, tagliapietre e minatori. Sebbene si trattasse di una migrazione molto contenuta, nel quadro complessivo dei 30 milioni di emigrati italiani a partire dal 1861, era l’esempio di una manodopera specializzata, molto richiesta, costituita in prevalenza da friulani, veneti e trentini. Gli italiani erano visti con favore anche per effetto di una sorta di ideologia panlatinista, contrapposta al minaccioso panslavismo dei paesi confinanti. Questa migrazione italiana, ben integrata e con matrimoni misti, ha contribuito alla prima industrializzazione della Romania. Altro aspetto della presenza italiana in Romania e che ha contribuito a creare forti legami, è la  forte immigrazione di imprese italiane, nel contesto delle delocalizzazioni, attratte da una manodopera a basso costo e qualificata, che ha fatto del nostro Paese il secondo partner commerciale dopo la Germania.

 Un altro aspetto interessante toccato da “Radici a metà” è la letteratura delle migranti romene che si è sviluppata in lingua italiana e che riflette l’immagine dei romeni. Si tratta di una letteratura che si è affermata negli ultimi due decenni, ultra-contemporanea, simultanea alla realtà e contraddistinta da un forte peso affettivo più che da un valore estetico.  Sono testimonianze dal grande valore sociologico e antropologico ed è una scrittura prevalentemente al femminile. Ad eccezione di Ingrid Betrice Coman, questi autori non sono scrittori professionisti, scelgono di scrivere nella nuova lingua di adozione per legittimarsi come individui e categoria e per farsi conoscere. La componente terapeutica della scrittura è molto forte, soprattutto nei confronti di una terra e di una casa lasciate e ritrovabili solo nella memoria e non più nella realtà.

 “Radici a metà” ha il merito di restituire le molteplici facce dell’immigrazione romena. L’immagine che ne risulta è quella della più grande collettività straniera d’Italia, con il più alto numero di donne anche nel mercato del lavoro, composta di presenze consolidate, famiglie, nuovi nati, ma anche nuovi arrivi, rientri a casa e spostamenti temporanei. Un’immigrazione europea nelle sue dinamiche e aspirazioni, ma ancora non compiutamente inclusa sul piano del pieno riconoscimento dei suoi diritti.

di Rosaria Russo