Vi siete mai chiesti per quale ragione si parla di “bufale” quando ci si riferisce a notizie false o prive di fondamento?
Non staremo qui a sindacare la fondatezza di questa o quella narrazione, ci dedicheremo semplicemente alla storia del termine e delle ragioni per le quali ha avuto tanta diffusione, al punto che perfino alcuni siti lo hanno scelto come denominazione ufficiale. Secondo la ricostruzione dell’Accademia della Crusca, il termine si collegherebbe all’espressione “menare il naso come una bufala”, come dire portare l’interlocutore “a spasso” come si fa con buoi o bufali trascinandoli per l’anello che portano al naso. Un’altra tesi vede l’origine dell’espressione nella Roma del secondo dopoguerra, dove a fronte della carenza della più pregiata carne di vitello, i venditori spacciavano per questa ultima quella di bufala (“Arifilà na bufola” era una espressione usata dal grande Nino Manfredi nell’edizione 1959 di Canzonissima).
Ci riferiamo alle cosiddette fake news, termine usato per la prima negli USA ai tempi dell’ingresso dell’America nella prima guerra mondiale.
Ancora vi è che si rifà alla panzana, un piatto popolare “povero” a base di pan bagnato, considerato un cibo di scarso valore e poco affidabile (o appetibile). Quale che ne sia l’origine, il termine, come dicevamo, è ormai parte integrante del linguaggio comune, rendendo talvolta assai difficile discernere tra vero e falso. Tra i metodi indicati dagli esperti per smentirle (come fanno i cosiddetti “debunker”, specializzati nel smentire o smontare le “bufale”) la ricerca costante e approfondita della fonte della notizia (così, ad esempio, un generico riferimento a non meglio specificate “fonti” non è mai un buon segno); il raffronto tra più fonti (se ne esiste una sola sarebbe meglio fare ulteriori ricerche); la coerenza e fondatezza (anche logica) della ricostruzione proposta; la verosimiglianza dei fatti e/o dei personaggi di riferimento; il ricorso a siti di informazione e/o ad esperti di comprovata rilevanza, senza affidarsi al primo che capita e/o alla prima cosa letta qua e là.
Ripetiamo: qui non si tratta di sposare una tesi, piuttosto che un’altra, ma semplicemente di non fermarsi alla prima cosa letta o sentita, ritenuta veritiera, magari solo perché si sposa con la nostra visione o opinione su un determinato fatto o argomento.
di Paolo Arigotti