L’intervista

La pandemia ha ampliato la disparità di genere, nel lavoro, nella società, nelle famiglie, azzerando i progressi fatti in questi ultimi anni e in molti casi, a causa della convivenza domestica obbligatoria, ha portato una maggiore esposizione alla violenza di genere. Ne parliamo con Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, Presidente dell’associazione nazionale volontarie Telefono Rosa alla guida dell’associazione dal 2003 di cui è stata fondatrice alla fine degli anni ‘80, da anni in prima linea per le donne e con le donne.

Maria Gabriella Carnieri Moscatelli

Alla luce dei dati pubblicati lo scorso 1° febbraio dal Rapporto Istat sugli occupati e disoccupati, relativamente al mese di dicembre 2020, a perdere il posto di lavoro sono state per il 98% le donne, con una diminuzione di 99 mila unità rispetto al mese precedente, per cui emerge che servono subito degli interventi mirati che favoriscano la partecipazione della donna alle dinamiche produttive ed economiche evitando l’emarginazione.

“La questione è principalmente di carattere culturale perché accade ancora che tra uomo e donna si preferisce assumere un uomo. Sono tante le motivazioni, non da ultimo il fatto che la donna possa avere gravidanze e assentarsi dal lavoro. Va rivista tutta la situazione lavorativa della donna, è una questione sociale, che incide sulle nascite e lo Stato che deve intervenire. Bisogna cambiare mentalità, poiché la donna lavoratrice è un valore aggiunto, è più propensa ai sacrifici e spesso rende più di un uomo, ha maggiori capacità di adattamento e fantasia, purtroppo però la donna ha quasi sempre l’handicap di dover farsi carico della gestione della famiglia. Il momento attuale è drammatico per tutti, ancora di più lo è per le donne, lo abbiamo visto per chi ha subìto violenza ed è ospite nelle nostre case rifugio con una enorme difficoltà a trovare lavoro. Dobbiamo cambiare mentalità, guardare lontano”.

Ci può fare un bilancio delle richieste di aiuto pervenute al Telefono ROSA nell’anno 2020 rispetto al passato?

“Abbiamo lasciato la gestione del numero anti violenza e stalking 1522 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Pari Opportunità, a fine giugno dello scorso anno (ora affidato a differenza donna). Al riguardo, posso dire che si sono moltiplicate le richieste di aiuto al telefono rosa e anche se a causa della pandemia non è stato possibile fare incontri di persona, trattando le istanze telefonicamente da remoto, il servizio di consulenza psicologica ha portato risultati positivi. Le donne si sono aperte di più, raccontando il loro vissuto, superando il senso di vergogna, poichè per telefono è stato meno difficile, quindi le nostre psicologhe si sono trovate a sostenere centinaia di donne, con risultati apprezzabili”.

Quali sono stati gli effetti della pandemia sugli episodi di violenza?

“E’ aumentata la violenza soprattutto tra i giovani ed è terribile. In questo periodo sentiamo sempre più spesso che i giovani si incontrano e si picchiano. E’ un effetto dell’isolamento”.

A fronte di un aumento delle violenze le denunce sono aumentate?

“I dati sulle denunce presentate sono in possesso delle forze dell’ordine, però al riguardo posso dire che le donne che si rivolgono al telefono rosa, richiedono sempre più spesso l’assistenza del legale prima di sporgere denuncia alle autorità competenti”.

Cosa manca nell’attuale rete antiviolenza italiana per migliorarla? Che cosa si dovrebbe fare per la presa in carico di una donna maltrattata nei centri Anti Violenza e nelle case rifugio?

“C’è tutto un percorso che deve essere compiuto perché dalle case rifugio si dovrebbe andare nelle case di semi autonomia, che sono ancora molto poche; lì ci si prepara a vivere da sole e poi dovrebbero essere messe a disposizione di queste donne, abitazioni con prezzi calmierati. Ci deve essere un progetto individuale per ogni donna che deve essere sostenuto su scala nazionale dal Ministero delle Pari opportunità. Purtroppo, non sono state ancora predisposte le nuove linee guida per il prossimo triennio per il Piano antiviolenza nazionale 2021/2024, i fondi sono pochi e vengono trasferiti alle regioni, rallentati oltre che dalla burocrazia, anche da un discontinuo impegno istituzionale. Alcune regioni sono più sensibili come la Regione Lazio che aggiunge risorse a quelle nazionali, però ancora non ci siamo. E’ un percorso lungo e difficile, ricordiamoci che la violenza costa migliaia di euro allo Stato, se si partisse da questo principio probabilmente ci si comporterebbe in maniera diversa”.

La violenza di genere rappresenta un costo sociale e va combattuta alla radice attraverso l’educazione e la formazione nelle scuole, secondo lei sarebbe auspicabile istituire una materia scolastica per l’educazione contro la violenza?

“Assolutamente sì, noi lo diciamo da anni. Ma l’insegnamento di questa materia nelle scuole non può essere affidato a insegnanti tradizionali che non hanno la preparazione idonea, occorre personale con formazione specifica. Noi stiamo facendo un grosso progetto da molti anni che inizia il 25 novembre e termina l’8 marzo ma abbiamo dovuto trovare dei fondi privati concessi da una Fondazione. Da parte dei ragazzi c’è un interesse notevole, ci si aspetta che il Ministero della Pubblica istruzione faccia un piano strutturale che combatta la violenza, che insegni il rispetto e la parità di genere fin dalla scuola materna, ma non ci sente nessuno!”.

di Franca Terra