Lavoro digitale: i rischi per la salute del working anywhere

La larghissima diffusione di dispositivi con connessione internet ha reso eseguibili quasi dovunque molte prestazioni di lavoro.

Così per i lavoratori delle piattaforme digitali, i c.d. platform worker (rider, crowd worker, ecc…), ma anche per i lavoratori, pubblici e privati, che svolgono attività lavorativa in smart working, il lavoro finisce con l’essere sempre meno un “luogo” e sempre più un’attività che sfugge alle coordinate spaziali e temporali che, tradizionalmente, individuano e “mappano” un’attività lavorativa.

Il luogo di lavoro si va dematerializzando diventando sempre più “fluido”, mentre il tempo del lavoro si va dilatando diventando sempre meno circoscrivibile ad una singola porzione della giornata.

Si tratta di un grande cambiamento che porta con sé tante opportunità, ma anche diversi rischi. Ad esempio, se un’opportunità è sicuramente costituita dalla possibile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, un rischio è sicuramente costituito dalla altrettanto possibile sovrapposizione degli stessi.

In tale contesto è opportuno chiedersi se l’apparato normativo italiano è attrezzato per affrontare le sfide che questi nuovi scenari del lavoro pongono sul versante della tutela dei lavoratori e, in particolare, sul piano della tutela della loro salute.

È innegabile, infatti, che accanto ai tradizionali rischi per la salute e la sicurezza presenti in un dato spazio fisico coincidente con il luogo di lavoro (es. cantieri, campagne, fabbriche, uffici), se ne affiancano di nuovi che iniziano a germogliare anche in ambienti non pensati per ospitare attività lavorativa o non dedicati esclusivamente allo svolgimento della stessa.

La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro si è focalizzata, sino ad oggi, su spazi e luoghi materialmente definiti (si pensi alla disciplina di dettaglio su dispositivi di protezione, attrezzature di lavoro, macchine, sostanze, etc.), ma i nuovi scenari prospettati dalle tecnologie informatiche applicate al lavoro mettono in luce una strettissima correlazione fra organizzazione del lavoro e tutela della salute, intesa nella più ampia accezione di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori.

In altri termini, ‹‹se i luoghi di lavoro si smaterializzano anche il rischio non può più essere inteso esclusivamente nella sua consistenza fisica o meccanica››[1].

Allo stesso modo anche il concetto di salute sul lavoro non può più essere inteso esclusivamente come l’assenza di malattie professionali o di infortuni ma, in un’accezione ben più ampia, deve identificare uno stato di completo benessere bio-psico-sociale. Fortunatamente si muovono in tal senso le previsioni normative.

Già l’art. 2087 del codice civile (vera architrave del sistema prevenzionistico italiano) obbliga il datore ad adottare le misure necessarie a  tutelare non solo l’integrità  fisica, ma anche  la personalità morale dei prestatori di lavoro; poi c’è il d.lgs. 81/2008 (Testo Unico Salute e Sicurezza sul Lavoro) che impone al datore di valutare (per poi eliminare o ridurre) tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli collegati allo stress da lavoro (art. 28).

Quest’ultimo è una condizione accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative. Non si tratta di una malattia, ma un’esposizione prolungata allo stress può esserne causa, oltre a ridurre l’efficienza nel lavoro[2]

Dunque, il tema diventa quello dei rischi psicosociali, legati alla persona del lavoratore, alla sua vita relazionale, all’ambiente e all’organizzazione del lavoro. È un tema sempre più prepotentemente emergente, ma legato a rischi di difficile misurazione, dunque poco monitorati.

Nuove ed emergenti forme di rischio di natura psicosociale legate al lavoro digitale sono, ad esempio, iper-connessione alla rete, overworking, time porosity, burnout, cyberbullying ed isolamento.

Pare evidente, dunque, che un ruolo fondamentale in chiave prevenzionistica deve (e dovrà sempre più in futuro) essere giocato dall’organizzazione del lavoro: solo così si potrà passare dal tradizionale sistema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ad un sistema di tutela della salute e della sicurezza durante il lavoro.

D’altra parte, il ricorso a tecnologie che consentono di lavorare dovunque (o quasi) che cos’è se non una forma di organizzazione del lavoro? Che cos’è se non una precisa scelta imprenditoriale? Perché questa scelta dovrebbe potersi compiere ignorando gli aspetti della prevenzione?

di M. Davide Sartori


[1] C. Lazzari, Lavoro senza luogo fisso, de-materializzazione degli spazi, salute e sicurezza, LLI, Vol. 9, No. 1, 2023, p. 27; tale lettura ha ispirato la stesura del presente articolo e alla stessa si rimanda per ulteriori approfondimenti sul tema.

[2] V. Accordo Quadro Europeo sullo stress-lavoro correlato del 08/10/2004 cui rimanda l’ art. 28 del d.lgs. 81/2008.