Lavoratori delle piattaforme: salta l’accordo sulla direttiva europea

Con il comunicato stampa del 13 dicembre 2023 il Consiglio dell’Unione Europea dichiarava raggiunto un accordo provvisorio sulla proposta di direttiva volta a migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali. Tuttavia lo scorso 22 dicembre la presidenza spagnola ha comunicato che non è stato possibile raggiungere la maggioranza necessaria tra i rappresentanti degli Stati membri del Consiglio (Coreper) sull’accordo provvisorio.

Dunque toccherà alla presidenza belga appena insediata riprendere i negoziati con il Parlamento europeo al fine di raggiungere un accordo sulla versione definitiva della direttiva.

L’economia delle piattaforme digitali è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, tanto che le entrate del settore sono passate da un importo stimato di 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi di euro nel 2020. Il numero di lavoratori delle piattaforme nell’UE è pari – attualmente – a 28 milioni, ma dovrebbe raggiungere i 43 milioni entro il 2025.

Si stima che fino a cinque milioni e mezzo di persone che lavorano mediante piattaforme digitali siano a rischio di errata classificazione del rapporto di lavoro. Queste persone non hanno un adeguato accesso alla protezione sociale e sarebbero particolarmente esposte al rischio di cattive condizioni di lavoro. A causa dell’errata classificazione, dunque, non potrebbero godere dei diritti e delle tutele cui avrebbero invece diritto in quanto lavoratori subordinati.

Per tutte queste ragioni la Commissione europea aveva messo a punto la proposta di direttiva del 09 dicembre 2021 sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori delle piattaforme digitali, oggetto di lunghi negoziati tra Parlamento e Consiglio.

L’accordo del 13 dicembre, che diventerà la base di partenza dei nuovi negoziati, interveniva su due punti in particolare: la classificazione del rapporto di lavoro e la trasparenza nell’uso degli algoritmi.

Con riferimento al primo punto, considerando che la maggior parte dei 28 milioni di lavoratori delle piattaforme digitali  (tassisti, lavoratori domestici, addetti alle consegne di cibo, etc.) sono formalmente lavoratori autonomi, l’accordo introduceva una presunzione di subordinazione nel caso in cui il rapporto di lavoro con la piattaforma soddisfacesse almeno due dei cinque seguenti indicatori:

  • limiti massimi applicabili alla retribuzione che i lavoratori possono percepire;
  • supervisione dell’esecuzione del loro lavoro, anche con mezzi elettronici;
  • controllo della distribuzione o dell’assegnazione dei compiti;
  • controllo delle condizioni di lavoro e limitazioni alla scelta dell’orario di lavoro;
  • limitazioni alla libertà di organizzare il proprio lavoro e regole in materia di aspetto esteriore o comportamento;

In caso di applicazione della presunzione legale, sarebbe spettato alla piattaforma digitale dimostrare l’inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente.

Con riferimento al secondo punto, considerando il ricorso ad algoritmi per la gestione delle risorse umane da parte delle piattaforme, l’accordo prevedeva che i lavoratori fossero informati in merito all’uso dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati. L’accordo, inoltre, impediva alle piattaforme di trattare determinati tipi di dati personali (relativi allo stato emotivo o psicologico, alle conversazioni private, all’ attività sindacale reale o potenziale, l’origine razziale o etnica, etc.) per mezzo di sistemi automatizzati.

Era previsto che tali sistemi dovessero essere monitorati da personale qualificato, garantendo la sorveglianza umana anche per decisioni significative (come la sospensione degli account).

Ma adesso è tutto da rifare e bisognerà attendere un nuovo accordo. Evidentemente per le istituzioni europee i milioni di lavoratori delle piattaforme digitali possono ancora aspettare!

di M. Davide Sartori