L’assassinio dell’ex premier giapponese Shinzo Abe: la parabola politica dell’uomo che voleva far tornare grande l’impero del sol levante

Shinzo Abe nacque a Nagato, nella prefettura di Yamaguchi, il 21 settembre 1954. Laureato in Scienze politiche nel 1977, andò a studiare negli USA (University of Southern California), per tornare in patria nel 1979 e iniziare a lavorare presso la Kobe Steel, gruppo industriale nel settore dell’acciaio. Nel 1982 iniziò la carriera politica nella fila del Partito Liberal democratico (LPD), la principale forza politica di governo nel secondo dopoguerra, fino a divenirne il leader indiscusso. Si potrebbe dire che Shinzo Abe fosse “figlio d’arte”: il nonno Kishi Nobusuke fu il contestato governatore del Manchukuo, lo Stato fantoccio giapponese nella Cina nordorientale negli anni Trenta, più tardi accusato di crimini di guerra, mentre il padre Shintaro ricoprì ruoli e cariche nello stesso partito; la madre del futuro premier era figlia e sorella di un primo ministro. I critici di Abe avrebbero poi sostenuto che la sua ascendenza spiegherebbe le idee politiche (di destra) del futuro premier. Eletto per la prima volta parlamentare nel 1993, rivestì diversi incarichi politici e amministrativi prima di arrivare, agli inizi del nuovo millennio, alla segreteria generale del partito. Nel 2005 entrò nel governo come capo segretario del quinto governo Koizumi. Il 20 settembre del 2006 divenne presidente dell’LPD, sei giorni più tardi fu eletto, il più giovane della storia del paese (52 anni), Primo Ministro del Giappone, con un ampio margine di voti (339 su 475 alla Camera dei rappresentanti e 136 su 240 alla Camera dei consiglieri o camera alta). Nel corso del suo primo mandato (2006-2007) si preoccupò soprattutto di risanare le finanze e il bilancio statali, attuando una serie di tagli alla spesa pubblica. Inoltre, cercando di aggirare i vincoli al riarmo imposti dall’art. 9 della Costituzione, istituì un ministero della Difesa, che prese il posto dell’agenzia preesistente. Fu sempre lui, assieme a vari esponenti della destra conservatrice, a proporre nel 2007 un disegno di legge per incentivare spirito e amor di patria nell’educazione dei più giovani, rivedendo i libri di testo in uso nelle scuole. Sul fronte internazionale, Abe ha operato per migliorare i rapporti con la Cina popolare, incontrando nel suo primo mandato il presidente cinese Hu Jintao. Allo stesso tempo, ha intensificato le relazioni con Taiwan: con Taipei non esistono – per le note ragioni di politica internazionale – canali diplomatici ufficiali, ma questo non ha impedito di siglare importanti accordi (p. es. quelli sui semiconduttori). Il suo primo gabinetto cadde circa un anno dopo l’insediamento – il 12 settembre 2007 – ufficialmente per presunti problemi di salute di Abe, in realtà per via della sconfitta dei liberaldemocratici nelle elezioni per il rinnovo della Camera Alta, accompagnata da una serie di scandali e gaffe, tra le quali la vicenda delle cosiddette “donne di conforto”. Si trattava delle prigioniere cinesi e coreane costrette a prostituirsi dalle truppe di occupazione nipponiche negli anni Trenta: a marzo 2007, di fronte alla precisa richiesta di scuse ufficiali da parte delle sopravvissute, il governo Abe suscitò molte polemiche quando asserì che non ci fossero prove circa l’esistenza di schiave sessuali gestite dal governo imperiale. Nel 2009, per la prima volta nella storia politica del dopoguerra, i conservatori furono sconfitti alle elezioni generali dal partito democratico di centro-sinistra. Tuttavia, il nuovo corso avrà vita breve. Dopo solo tre anni, a causa dell’incapacità di gestire la grave crisi economica e l’incidente nucleare di Fukushima (2011), i democratici saranno battuti nelle elezioni anticipate del 2012: la coalizione di centro-destra, guidata dall’LPD, tornava al potere. La Camera bassa rielesse Abe alla guida del governo il 26 dicembre dello stesso anno. Tra le principali dichiarazioni del leader politico, quella resa in occasione del forum di Davos del 2014, quando riaffermò la sovranità giapponese sulle isole Senkaku (o Diaoyu), rivendicate anche da Cina e Taiwan, aggiungendo – una sorta di programma politico internazionale – “If peace and stability were shaken in Asia, the knock-on effect for the entire world would be enormous”. La notizia del ritorno al potere dei conservatori non venne accolta bene dalla Cina popolare, che si disse “molto preoccupata” per via della “possibile direzione che (il governo) intraprenderà” sul versante internazionale. Pechino, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, si dichiarò ad ogni modo disponibile “a lavorare con il Giappone per un ulteriore sviluppo dei rapporti e della loro stabilità”, aggiungendo l’importanza di “gestire correttamente la questione della controversia territoriale” (con un chiaro riferimento alle isole Senkaku). Il nuovo Esecutivo sarebbe rimasto in carica per ben 617 giorni, il più lungo della storia giapponese recente. Nel 2014, grazie a un rimpasto voluto da Abe, per la prima volta il gabinetto annoverò cinque donne tra i suoi membri, la più importante presenza femminile mai registrata in un governo nipponico, anche se poche settimane più tardi due di loro – il ministro della giustizia Midori Matsushima e quello del commercio Yūko Obuchi- si dovettero dimettere sulla scia di alcuni scandali. La politica economica promossa da Abe – ribattezzata Abenomics dalla stampa internazionale – faceva leva sulla moneta, sul fisco e su precise strategie per promuovere crescita e sviluppo, per quanto non siano mancate le critiche per il mancato avvio di una serie di riforme strutturali. Tra le ricette i bassi tassi d’interesse per disincentivare il risparmio e favorire gli investimenti, e una politica espansiva, con l’aumento di spesa pubblica e deficit. In un primo momento tutti gli indicatori sembrarono dare ragione ad Abe: il paese registrò un balzo in avanti sia nel tasso di crescita, che negli indici di borsa, accompagnati da un aumento dell’export e dell’avanzo primario (al netto degli interessi sul debito). Tuttavia, la politica espansionista ha provocato nel tempo un aumento dell’inflazione, causando la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Inoltre, il governo guidato da Abe ha sempre perseguito l’obiettivo di rivitalizzare lo spirito nazionale e patriottico, promuovendo una sorta di revisionismo storico in merito alle atrocità e ai crimini commessi dal Giappone prima e durante il secondo conflitto mondiale; allo stesso tempo, è stato incentivato l’afflusso di docenti e studenti stranieri negli atenei giapponesi, grazie al programma Super Global Universities. Anche in politica estera, col desiderio di aumentare forza e prestigio del Giappone sullo scacchiere internazionale, all’insegna dei «valori fondamentali della libertà, della democrazia, dei diritti umani e della regola di legge», furono lanciati una serie di segnali politici, nonostante nelle dichiarazioni ufficiali si palesasse una maggiore moderazione rispetto a quelle rese in campagna elettorale. Il secondo mandato è stato caratterizzato dai numerosi viaggi all’estero del premier – ben 49 solo nei primi due anni – che hanno avuto come meta Cina (ma un primo incontro con Xi Jinping c’è stato solo nel 2014), Corea del sud (con la quale i rapporti sono nettamente migliorati dal 2015), diverse nazioni del sud est asiatico, India. In particolare, col premier nazionalista indiano Narendra Modi, Abe firmerà importanti accordi di cooperazione navale e nucleare; lo stesso farà con l’Australia, con l’obiettivo non solo di rafforzare la cooperazione in materia di difesa, ma pure di intessere nuove e importanti relazioni economiche e d’affari; tra il 2014 e il 2015 accordi di cooperazione militare sono stati siglati con Francia e Regno Unito, implementando così i tradizionali rapporti con NATO e UE nell’area strategica dell’Indo pacifico. Sempre nel 2014 è stato varato il Partenariato Economico Giappone-Australia, che è stata l’occasione per le scuse ufficiali di Tokyo per la politica aggressiva durante la guerra mondiale; per parte sua, il premier di Canberra, Tony Abbott, definì il Giappone “Australia’s best friend in Asia”. Il 14 agosto 2015, in occasione delle celebrazioni per la fine del secondo conflitto mondiale, Abe pur esprimendo dolore e condoglianze per le sofferenze inflitte a persone innocenti, ha tenuto a ribadire che l’attuale generazione è nata dopo la guerra e non ha avuto nessuna parte in tali atrocità. Ricordiamo che sempre Abe, stavolta nel 2016, ha accompagnato il presidente Barack Obama in una visita ufficiale, dal forte valore simbolico, a Hiroshima. Una corsia preferenziale è sempre stata riservata agli alleati statunitensi, per i quali il Giappone rappresenta una sorta di avamposto nella strategica regione del Pacifico, per quanto non siano mancate frizioni a causa della riluttanza di Abe a prendere parte alla guerra commerciale sino americana, che minacciava le esportazioni giapponesi. Merita un cenno anche il nuovo accordo di libero scambio con Australia, Brunei, Canada, Cile, Malesia, Messico, Perù, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam, chiamato CPTPP, che ha preso il posto del vecchio TPP.  Il premier ha sempre rivendicato l’importanza di questi trattati in vista di un maggior coinvolgimento e un ruolo più attivo del suo paese nelle questioni internazionali, specie dell’Indo pacifico, sia dal punto di vista economico che militare. Per garantirsi una gestione più diretta e immediata degli affari militari e un loro coordinamento strategico, Abe ha creato presso il suo ufficio il Consiglio di sicurezza nazionale, sul modello dell’analogo organismo americano, operativo dalla fine del 2013, varando al contempo un piano quinquennale di difesa. Abe ha coniato il nuovo concetto di “autodifesa collettiva”, il quale in sostanza, rivedendo e reinterpretando l’art. 9 della Carta, consentirebbe al paese di ricorrere alle armi non solo per l’autodifesa, ma anche per aiutare gli alleati eventualmente sotto attacco; ovviamente la decisione ha suscitato gli strali dei cinesi, che l’hanno vista come una sorta di revisionismo giapponese, che rischierebbe di minare gli equilibri dell’area, oltre che suscitare varie proteste popolari in patria. Nel 2015, in occasione di una visita in Medio Oriente, Abe annuncerà aiuti non militari in favore dei paesi impegnati nella lotta contro il terrorismo islamico e l’ISIS; in risposta a questa decisione, lo stato islamico ha rapito e ucciso due cittadini giapponesi, Kenji Goto e Haruna Yukawa, mentre il governo di Tokyo – pur impegnandosi per il loro rilascio – ha opposto un netto rifiuto alla richiesta di pagare un riscatto. Molte perplessità circa il rispetto della libertà di stampa ha suscitato la legge sulla sicurezza del 2014, che in sostanza affida al governo il compito di stabilire quali informazioni non possano essere divulgate per ragioni di sicurezza nazionale, prevedendo pene detentive per coloro – giornalisti compresi – che le facciano trapelare. Nonostante un calo nel gradimento dell’elettorato, il centro-destra ha vinto le elezioni anticipate del dicembre 2014, che hanno consentito ad Abe, il 24 dello stesso mese, di insediarsi per un terzo mandato. Nel discorso programmatico dinanzi alla Dieta (il parlamento bicamerale) il premier ha esortato a varare “riforme più drastiche dalla fine della seconda guerra mondiale nelle aree dell’economia, dell’agricoltura, della sanità e in altri settori”. Nel corso dell’estate 2015 sono stati presentati diversi disegni di legge volti a rivedere la politica di difesa, per meglio adattarla alla nuova dottrina dell’autodifesa collettiva; le misure sono state approvate al termine di una lunga sessione parlamentare (durata ben 113 giorni), tra le proteste delle opposizioni di sinistra. Fu sempre per iniziativa di Abe, che venne proposta la candidatura di Tokyo come sede dei giochi olimpici del 2020, poi svoltisi nel 2021 a causa della pandemia; tra l’altro, proprio la gestione dell’emergenza sanitaria, giudicata confusa e incerta, è costata al governo Abe severe critiche. Le nuove decisioni in materia militare hanno suscitato le rimostranze di giuristi e costituzionalisti, dando vita ad affollate manifestazioni di piazza; nonostante il malcontento, rilevato anche in numerosi sondaggi, Abe ha sempre tenuto a ribadire che le nuove misure erano volte a rafforzare l’impegno giapponese contro la guerra e per la sicurezza internazionale; nel 2016 è stato approvato il maggior budget per la difesa mai stanziato dopo la fine della guerra. Subito dopo la rielezione alla presidenza del partito nel settembre 2015, Abe ha varato ufficialmente la «Abenomics 2.0», una politica tesa a combattere la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione, favorendo i consumi, i servizi pubblici, la sicurezza sociale e l’assistenza agli anziani, recuperando così diversi punti nel gradimento dell’elettorato; per favorire un rialzo dei tassi di natalità, tra i più bassi del mondo, Abe  decise, tra l’altro, il varo dei “Programmi di sostegno al matrimonio”, in sostanza un sistema per facilitare gli incontri e le unioni. Nelle elezioni dell’ottobre 2017, la coalizione guidata dal premier uscente ha ottenuto un buon margine, garantendosi un’ampia maggioranza con due terzi dei seggi. Tuttavia, lo scandalo per la fondazione Moritomo Gakuen, che avrebbe acquistato per un decimo del suo valore di mercato un terreno dal ministero dell’Economia, colpì fortemente la reputazione del governo, specie quando vennero fuori le falsificazioni perpetrate nel corso della transazione. Ulteriori accuse furono rivolte al premier circa presunti favoritismi nei confronti di personaggi a lui vicini. Abe si è dimesso, ufficialmente per motivi di salute (pare soffrisse di colite ulcerosa), il 28 agosto 2020, dichiarando in un discorso televisivo di non essere “più nelle condizioni di rispettare il mandato del popolo e per questo motivo rimetto l’incarico. Chiedo sinceramente scusa.” L’8 luglio 2022, nella città di Nara (nei pressi di Osaka), in occasione di un discorso in favore di un candidato liberaldemocratico per il rinnovo della Camera dei Consiglieri, Shinzo Abe è stato raggiunto da due colpi di arma da fuoco sparati contro di lui dal quarantunenne Tetsuya Yamagami, ex militare della marina nipponica. L’ex premier, colpito al cuore e al collo, è morto in ospedale poche ore dopo, nonostante gli inutili tentativi di rianimarlo dei sanitari. Il politico lascia la moglie Akie Matsuzaki, ex disc jockey radiofonica sposata nel 1987 e nessun figlio. In una nota di stampa congiunta il presidente americano Joe Biden e i primi ministri di India Narendra Modi e d’Australia Anthony Albanese, si sono detti “scioccati dal tragico assassinio” e si sono impegnati per onorare “la sua memoria raddoppiando il nostro lavoro per una regione pacifica e prospera”; cordoglio è stato espresso da tutti i principali leader mondiali, tra i quali il presidente cinese Xi Jinping e il collega russo Vladimir Putin. I funerali si sono tenuti agli inizi della terza settimana di luglio, con un’ampia e commossa partecipazione popolare. Sulle circostanze della morte di Abe sono state formulate diverse ipotesi. Vi è chi ha parlato del gesto di un folle isolato, che avrebbe approfittato di importanti falle nella sicurezza: la polizia sarebbe stata informata solo all’ultimo della presenza in città dell’ex premier. Una cosa è certa: desta molte perplessità la scarsa protezione garantita all’ex capo del governo, senza contare che nell’impero nipponico disporre di armi non è tanto semplice, visto che – a differenza di quanto previsto dalla legislazione americana – le normative in vigore sono tra le più restrittive al mondo. I media locali hanno parlato di un fine personale dell’attentatore (tanto che si sarebbe fabbricato da solo le armi): lo stesso assassino avrebbe parlato con gli inquirenti dei gravi problemi economici causati alla sua famiglia a causa delle diverse donazioni fatte dalla madre a favore di un gruppo religioso che egli ricollegava all’ex premier; alcuni media hanno ipotizzato trattarsi della cosiddetta Chiesa dell’Unificazione del reverendo Sum Myung Moon (per intenderci quella del matrimonio, maggio 2001, tra Emmanuel Milingo e Maria Sung): fondata in Corea del Sud, si ritiene che sia stata portata in Giappone dal nonno di Abe, Nobusuke Kishi. Per restare in tema, qualcuno ha avanzato l’ipotesi del delitto commesso da un affiliato al gruppo religioso giapponese Aum Shinrikyo, il cui leader Shoko Asahara, pseudonimo di Chizuo Matsumoto, fu condannato a morte e giustiziato nel 2018 (al governo c’era Abe) per aver organizzato l’attentato della metro di Tokyo del 1995. Chiaramente è troppo presto per trarre qualunque conclusione, però resta il fatto che nel paese persistono forti componenti legate alle tradizioni, che non hanno mai visto di buon occhio l’abbandono dei modelli locali sotto l’influenza statunitense (la cosiddetta occidentalizzazione): ecco perché liquidando l’assassinio di Shinto Abe come il gesto isolato di un folle, per quanto un crimine e come tale esecrabile, si rischierebbe solo di “nascondere la polvere sotto il tappeto”. Come scrive Emanuel Pietrobon (Inside Over): “Non si tratta di giustificare l’ingiustificabile, ma di provare a comprendere. Comprendere che l’omicidio di Abe non è stato casuale, non è stato il gesto di un folle, e che per ogni giapponese in lutto, uno è in festa”. Naturalmente non si può nemmeno escludere la pista del delitto politico. Non mancano coloro che parlano di un vero e proprio complotto internazionale, ordito per favorire progetti politici come la cosiddetta super Nato mondiale e/o alimentare la russofobia del Giappone: in effetti Abe, nonostante la tradizionale amicizia con gli USA, aveva intessuto importanti rapporti con Vladimir Putin, tanto che questo ultimo si era detto pronto a risolvere con un trattato tutte le dispute territoriali ancora esistenti tra le due nazioni, come le isole Curili; letta in questi termini, la morte di Abe potrebbe essere vista come la fine di ogni prospettiva di pace con Mosca, che l’ex premier probabilmente perseguiva non tanto per convinzione, quanto come una strategia per evitare l’impegno su due fronti, visti i controversi rapporti con l’altro ingombrante vicino cinese. Al momento sarebbe del tutto azzardato accogliere una o altra di queste opzioni, che sono e restano per l’appunto ipotesi astratte, che non escludono ulteriori scenari. Solo il tempo e le indagini potranno fornici risposte più certe. Nel frattempo – sull’onda emotiva dell’attentato – nelle elezioni del 10 luglio si è registrato un aumento dell’affluenza alle urne (che resta comunque bassa, passando dal 49 del 2019 al 52 per cento) e la vittoria della coalizione conservatrice, che si è assicurata un’ampia maggioranza che permetterebbe, in teoria, di dare il via libera alla famosa riforma dell’art. 9 della Costituzione giapponese. Riferisce l’ANSA che “Il premier Kishida – considerato un figlioccio politico dell’ex premier – ha assicurato di voler “costruire sull’eredità” politica di Abe ed ha promesso che Tokyo “rafforzerà drasticamente” la difesa entro cinque anni in risposta alle incertezza alla sicurezza innescate dalla guerra in Ucraina e alla crescente assertività della Cina.”. Quel che è certo è che l’uccisione dell’ex capo del governo – definito da Tobias Harris, esperto di questioni giapponesi “il politico più potente in Giappone, anche dopo due anni da ex premier” -, ha provocato un forte shock nel paese: era dal 12 ottobre 1960, quando Otoya Yamaguchi, estremista di destra appena diciassettenne, sferrò un colpo di spada, poi fatale, contro il leader socialista Inejiro Asanuma, che non si verificava un evento di tale portata (per tornare ancora più indietro nel tempo, ricordiamo nel 1932 l’uccisione, per mano di alcuni militari, dell’allora premier Inukai Tsuyoshi). Il Japan Times lo ha definito un attacco contro l’intera nazione. Se sotto il nuovo governo il Giappone decidesse di aderire ai progetti della super Nato o in generale accettasse un maggiore e più diretto coinvolgimento in una grande alleanza militare a guida statunitense, la nazione rappresenterebbe certamente un buon acquisto per il fronte anticinese nell’Indo pacifico, in considerazione dell’avanzata tecnologia e della disponibilità di importanti investimenti, visto che il debito pubblico del paese è il secondo al mondo, dopo quello americano. Abe, senza trascurare di intessere nuovi rapporti coi cinesi, come in occasione dei vari incontri, l’ultimo nel 2018 a Pechino, è sempre stato visto dai dirigenti della repubblica popolare come una figura controversa. I forti legami con gli USA e le posizioni anticinesi più volte palesate – il 22 marzo 2022 Abe aveva discusso con la Presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, di questioni di sicurezza, e ipotizzato l’ammissione del paese al CPTPP, il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, al quale la piccola nazione insulare è stata invitata come osservatrice  – non hanno certo contribuito a far cambiare idea ai cinesi, come l’adesione del Giappone, fortemente voluta da Abe, al Quad, intesa militare in funzione anticinese con Australia, India e Stati Uniti. Più in generale, il Giappone (prima e dopo Abe) ha tutto l’interesse a potenziare la sua difesa, sia per conseguire una maggiore indipendenza militare dagli americani –  i quali difficilmente “morirebbero per Tokyo” in caso di scontro nell’Indo pacifico con Pechino – che prendendo spunto da quanto accaduto in Ucraina, dove l’aggressione russa sarebbe stata possibile – secondo alcune letture – per il fatto che Kiev non dispone della deterrenza rappresentata dall’arma nucleare (e difatti già si parla di questi armamenti anche a Tokyo). Nel conflitto ucraino il Giappone ha assunto verso Mosca una posizione in linea con gli alleati occidentali. Sul fronte interno, però, permane un diffuso malessere – il prof. Junichi ha parlato di un profondo disagio sociale ignorato dalla politica – e le preoccupazioni dell’elettorato, al di là del responso delle urne, paiono concentrarsi su ben altre questioni, come l’inflazione, il declino del tenore di vita e quello del welfare. Per queste ragioni, nonostante l’importante maggioranza conquistata dal centro-destra, non è affatto detto che si arrivi necessariamente alla modifica dell’art. 9 della Costituzione e/o ad una profonda rivisitazione della politica militare nipponica. Non dimentichiamo, difatti, che ogni modifica costituzionale in Giappone deve essere approvata con referendum popolare e l’esito del voto – in un paese con molti anziani e ben altre preoccupazioni economiche e sociali – non sarebbe per nulla scontato.

di Paolo Arigotti.