La Convivialità

Riflessioni di Ivan Illich

L’idea di convivio rimanda con immediatezza al banchetto, al desco, al pasteggiare con persone vicine ed amici. La radice più profonda rinvia ad un vivere insieme, sociale, economico, un “convivere”, una vita in comune che passa dunque attraverso un pasto comune.

Il convivio esiste perché c’è una comunità unita, di cui il cibo condiviso diviene simbolo, un’associazione di persone che si incontra per intenti comuni o per creare vicinanza e legami, dove si crea un contatto profondo, che si rigenera continuamente e che fonda la solidarietà naturale nella società più vasta.

È forse per questo valore fondativo, più che per superficiale discussione, che in questi giorni si parla animatamente di come e con chi si potranno trascorrere le festività natalizie, problema che riguarda non solo il nostro Paese ma milioni di persone nel mondo.

I vari cenoni della tradizione sono divenuti un terreno di scontro, che ad un’analisi immediata parrebbe fuori luogo in un tempo di gravi sofferenze, generate dallo shock della crisi sanitaria. Le cose stanno proprio così? Al fondo forse di queste emozioni è sottesa una categoria più importante, la relazionalità, che sentiamo in pericolo, non solo nella sfera privata, ma nell’ambito più vasto degli scambi sociali, lavorativi.

Ci può aiutare nella comprensione ad un livello più ampio di quanto stiamo vivendo la rilettura di un saggio importante del sociologo viennese Ivan Illich.

Profeticamente nel 1973 Illich nell’opera Tools for Conviviality prevedeva il sopraggiungere di una crisi non interna al sistema industriale, ma riguardante il modo di produzione industriale stesso. Una crisi dunque globale e sistemica che avrebbe obbligato l’uomo a scegliere tra strumenti conviviali e l’essere stritolato dalla megamacchina, tra la crescita indefinita e l’accettazione di limiti multidimensionali»1.

Lo studioso austriaco ha svolto una profonda indagine sugli effetti perversi dello sviluppo tecnologico moderno, evidenziando le aporie dell’ideologia dello sviluppo illimitato. Sorprende il suo acume che sembra parlarci della crisi sistemica del 2008 ed oggi di quella imprevedibile innescata dalla pandemia, quando afferma che:

«A far da detonatore alla crisi sarà un avvenimento imprevedibile e magari di poco conto, come il panico di Wall Street che precipitò la Grande Depressione. Una coincidenza fortuita renderà manifesta la contraddizione strutturale tra gli scopi dichiarati delle nostre istituzioni e i loro veri risultati. Ciò che è già evidente per qualcuno salterà di colpo agli occhi della maggioranza: l’organizzazione dell’intera economia in funzione dello stare meglio è il principale ostacolo allo stare bene»2.

Convivialità è il termine che Ivan Illich mutua dal gastronomo francese del XVIII secolo Anthelme Brillat-Savarin, che sta a designare la libertà individuale realizzata nel rapporto di produzione in seno ad una società dotata di strumenti efficaci e che si fonda sulla spontaneità del dono. Per Illich la società conviviale dà all’uomo la possibilità di esercitare un’azione autonoma e creativa, permettendo di modificare il mondo secondo le sue intenzioni, potere che invece è negato dalla società iperindustriale, che governa il senso della vita umana e restringe progressivamente il margine di controllo dell’uomo.

«L’uomo ̶ dice Illich ̶ ha bisogno di uno strumento con il quale lavorare, non di un’attrezzatura che lavori al suo posto. Ha bisogno di una tecnologia che esalti l’energia e l’immaginazione personali, non di una tecnologia che lo asservisca e lo programmi»3.

Per passare dalla produttività alla convivialità, ovvero ad un sistema di produzione che ritrovi la dimensione personale e comunitaria, si deve sostituire ad un valore tecnico un valore etico e soprattutto prendere coscienza che devono essere posti limiti allo sviluppo.

Se la produttività si coniuga in termini di avere, Illich vede la convivialità declinarsi in termini di essere. Una società che voglia avere un controllo democratico e partecipato sulla tecnologia, come prefigurata dallo studioso, non può non porsi il problema della scala del sistema come premessa indispensabile per concepire un modello economico alternativo, le forme di un possibile rapporto non distruttivo tra individuo, società e biosfera. Per Illich bisogna riconoscere l’esistenza di scale e limiti naturali, poiché l’equilibrio della vita si dispiega in varie dimensioni e nella sua fragilità e complessità non oltrepassa certi limiti. La possibilità teorica di un modo di vita conviviale esige dunque l’individuazione di soglie, al di là delle quali l’istituzione produce frustrazione, e limiti al di là dei quali lo sviluppo industriale avanzato esercita un effetto distruttivo sull’intera società. Crisi ecologiche, perdita di autonomia, alienazione, condizioni di vita e di lavoro disumane, arricchimento di pochi a danno di molti, corruzione dilagante, sono solo alcuni esempi delle distorsioni connesse al gigantismo degli apparati economico-produttivi.

La convivialità è dunque un approccio diverso alla vita sociale ed economica che libera la creatività delle persone e dei gruppi, estende il raggio di azione non solo dei singoli ma delle comunità. Al centro di ogni attività di scambio e produzione viene riportato il valore della relazionalità e della solidarietà.

Rosaria Russo


1 I. Illich, La Convivialità, red! Ed., 2013 Milano, p.136

2 Ivi p.132

3 Ivi p.28