Joe Biden: il Presidente che può trasformare la società statunitense

Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center i cittadini statunitensi reputano a maggioranza che, per risolvere i problemi che affliggono la nazione, il governo federale debba esercitare un ruolo di particolare rilievo in settori quali le infrastrutture, l’assistenza sanitaria, l’ambiente, la riduzione della povertà e l’economia. Tale ampio supporto da parte dell’opinione pubblica offre a Joe Biden la possibilità di diventare il presidente degli Stati Uniti in grado di dare un’enorme spinta alla trasformazione della società, come non capitava dai tempi di Franklin D. Roosevelt.

Biden ha l’opportunità di guidare una ripresa verde e digitale che creerebbe milioni di buoni posti di lavoro supportati dalle tecnologie avanzate del 21 ° secolo. Tuttavia, per avere successo, il Presidente dovrà escogitare un programma che gli consenta di ampliare l’amministrazione federale. Cioè più posti di lavoro pubblici.

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Gli Stati Uniti hanno bisogno di più spesa pubblica federale per modernizzare e aggiornare le infrastrutture – energia, digitale, strade, ferrovie, coste, corsi d’acqua – al fine di creare buoni posti di lavoro, proteggere l’ambiente ed evitare futuri disastri naturali. All’amministrazione pubblica federale dovrà anche essere demandato il compito di migliorare l’istruzione primaria e secondaria, poiché gli Stati Uniti sono rimasti indietro rispetto a numerosi altri paesi nell’insegnamento della matematica e delle scienze.

I campi nei quali sarà necessario intervenire con la spesa pubblica sono essenzialmente quello delle nuove tecnologie: batterie più progredite per i veicoli elettrici, il 5G per il miglioramento dei servizi digitali ed il fotovoltaico all’avanguardia per l’energia pulita. E non va dimenticato anche che il governo federale ha bisogno di sostenere decine di milioni di famiglie che lavorano sodo e che sono schiacciate da costi di assistenza sanitaria, assistenza all’infanzia e tasse scolastiche ormai insostenibili.

Gli USA hanno rimandato gli investimenti pubblici per decenni, da quando il presidente Ronald Reagan inaugurò un’era di tagli alle tasse. Oggi i nodi per la superpotenza di oltreatlantico sono venuti al pettine.

Tali oneri extra costeranno circa 1 trilione di dollari all’anno in spese di bilancio, pari al 5% dell’intera economia (o PIL) degli Stati Uniti ogni anno.

Secondo i dati disponibili è possibile compensare tali spese con determinati tagli di bilancio. Gli Stati Uniti possono tagliare in sicurezza il budget militare di 200 miliardi di dollari, ovvero per circa l’1% del PIL, soprattutto chiudendo centinaia di basi militari all’estero ormai antiquate ed evitando una nuova corsa agli armamenti nucleari. Come eredità della Seconda Guerra Mondiale, terminata 76 anni fa, gli Stati Uniti hanno ancora un numero enorme di basi militari in tutto il mondo. Nel 2015, si stimava che ci fossero ancora 800 basi militari in più di 70 paesi. Il governo potrebbe anche risparmiare altri 200 miliardi di dollari all’anno in spese sanitarie. È inammissibile che Washington non riesca a negoziare i prezzi dei farmaci con le grandi aziende farmaceutiche ( la cosiddetta Big Pharma) e i prezzi degli ospedali con i manager della sanità. In ogni altro paese ad alto reddito, i costi dell’assistenza sanitaria sono fissati o almeno negoziati dal governo, mentre negli Stati Uniti, sono stabiliti da monopolisti, protetti da brevetti o dal possesso di grandi quote del mercato sanitario.

Con i tagli alle spese militari e sanitarie, il costo rimanente per l’espansione della spesa pubblica ammonta a $ 600 miliardi, ovvero al 3% del PIL all’anno. Si tratta di una somma considerata dagli esperti completamente gestibile.

Tuttavia, ad alcuni osservatori, una simile espansione della spesa pubblica potrebbe sembrare fuori luogo. L’ultima volta che accadde in tempo di pace fu nell’era del New Deal le cui conseguenze andarono dal 1933 (inizio della presidenza di Franklin D. Roosevelt) al 1968 (fine della presidenza di Lyndon Johnson). Durante tale periodo, l’opinione pubblica sostenne con forza l’aumento della spesa pubblica del governo federale e del Partito Democratico che lo guidava. I democratici mantennero la Casa Bianca per 27 anni su 35. L’epoca del New Deal non terminò perché l’opinione pubblica si opponeva alla spesa federale. Essa terminò quando milioni di elettori bianchi della classe operaia abbandonarono il Partito Democratico in quanto contrari alle posizioni favorevoli ai diritti civili negli anni ’60; eppure quegli elettori bianchi della classe lavoratrice pagarono un prezzo spaventoso per la cronica mancanza di investimenti da parte dei programmi federali sotto i Presidenti repubblicani. I guadagni dei lavoratori privi di laurea o dottorato sono rimasti stagnanti per 20 anni. Con il sostegno federale per una migliore istruzione, per la formazione professionale, per le infrastrutture digitali e per le altre tecnologie avanzate, potrebbe essere possibile aumentare la produttività del lavoro, la competitività internazionale e gli standard di vita.

Anche se l’umore anti-diritti civili anima ancora l’ala pro-Trump del Partito Repubblicano, essa non inciderà sul sostegno da parta della maggioranza negli Stati Uniti. Secondo il recente sondaggio del Pew Research Center esiste, quindi, un ampio consenso nel paese in favore di nuove spese federali per modernizzare e migliorare l’economia. Si tratta di un’opportunità unica per gli Stati Uniti d’America.

Secondo il Congressional Budget Office (CBO), il deficit di bilancio negli anni futuri dovrebbe assestarsi intorno al 4% del PIL. Se fosse possibile ridurlo di un quarto, portandolo al 3% del PIL, sarebbe possibile evitare un vertiginoso aumento del debito rispetto alle dimensioni dell’economia. Mantenere stabile il debito e pagare anche quei 600 miliardi di dollari di nuova spesa richiederà certamente tasse più alte, pari al 4% del PIL, l’1% per tagliare il deficit e il 3% per finanziare la nuova spesa.

Un tale aumento delle tasse non dovrebbe essere molto difficile da ottenere, visti gli enormi profitti delle società e degli individui più ricchi d’America. Negli ultimi 50 anni, le tasse sulle società sono state drasticamente ridotte, da quasi il 4% del PIL a poco più dell’1% di oggi. Annullando parte delle agevolazioni fiscali di cui godono le imprese, sarebbe possibile raccogliere altri 400 miliardi di dollari.

Per il restante 2% del PIL gli USA dovrebbero rivolgersi agli americani più ricchi. I senatori Bernie Sanders ed Elizabeth Warren hanno chiesto giustamente una tassa che vada a colpire i superricchi, a partire da 50 milioni di dollari in su. Si raccoglierebbero circa 3 trilioni di dollari nei prossimi 10 anni. L’imposta colpirebbe solo lo 0,1% delle famiglie più ricche.

Altre imposizioni fiscali potrebbero essere una nuova tassa sull’inquinamento da CO2 da far pagare con un supplemento sull’imposta sul reddito al settore petrolifero; un aumento del limite salariale massimo sui contributi alla previdenza sociale; un incremento della fascia più alta dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per i lavoratori con salari più alti; e una tassa sulle transazioni finanziarie per gli acquisti e le vendite in borsa. Il presidente Biden non ha torto a voler espandere la spesa pubblica come nell’era del New Deal per creare una società più prospera, equa e sostenibile. Soprattutto in epoca di pandemia da Covid19.

di Carlo Marino