Il Mozambico: terra d’Africa e tipico esempio di neocolonialismo energetico

La Repubblica del Mozambico (República de Moçambique, in lingua portoghese), con capitale Maputo, è uno stato sovrano dell’Africa sud-orientale, indipendente dal 1975, quando cessò di essere una colonia portoghese. Il paese confina al nord con la Tanzania, il Malawi e lo Zambia; a sud con il Sudafrica; a ovest con lo Zimbabwe e lo eSwatini, mentre il canale del Mozambico ad est lo divide dal Madagascar; la costa del paese è lunga circa 2.400 km. Il clima è di tipo tropicale (continentale nei rilievi), con scarse escursioni termiche, mentre la stagione delle piogge si concentra nel periodo estivo; non sono infrequenti fenomeni naturali devastanti, come il ciclone Idai del marzo del 2019, che colpì centinaia di migliaia di persone. La lingua ufficiale è quella della ex madrepatria, per quanto l’art. 9 della Costituzione preveda che: «Lo Stato valorizza le lingue nazionali come patrimonio culturale ed educativo e promuove il loro sviluppo e utilizzo crescente come lingue veicolari della nostra identità»; chiaramente, al di là dell’idioma ufficiale, la lingua parlata dalla gente comune della  cosiddetta “lusosfera” (l’ex impero coloniale di Lisbona) tende ad andare incontro a una serie di aggiustamenti e miscugli per via di usi e vulgate locali. La superficie dello stato è più del doppio di quella dell’Italia (801.590 kmq), ma la popolazione è circa la metà rispetto al nostro paese (33.089.462 nel 2022); come scriveva Limes, riferendosi alle ripartizioni interne del Mozambico (n. 3 del 2010): “da un lato, le province del Centro- Nord; dall’altro, a sud del fiume Zambesi, quelle meridionali, che hanno sempre intrattenuto con i vicini sudafricani relazioni determinanti per gli equilibri dell’intera regione e per le esistenze dei singoli individui”; al proposito delle relazioni con Pretoria, ricordiamo negli anni l’importante emigrazione verso le miniere d’oro e di carbone del Transvaal e del Rand, con annessi scontri etnici ed episodi di discriminazione razziale a danno dei mozambicani. Un dato che contraddistingue il paese è la ridotta disoccupazione: nel 2022 appena il 2,3 per cento degli abitanti era senza lavoro, numeri ancora più significativi se si tiene conto che il Mozambico ha un’età media molto bassa (intorno ai 18 anni) e ben 13 milioni di cittadini abili al lavoro (circa un terzo della popolazione complessiva). Nel paese africano si vive ancora relativamente poco rispetto all’Occidente: l’età media si aggirava sui 60 anni nel 2020; solo poco più del 5 per cento degli abitanti ha più di 55 anni, mentre il tasso di natalità (2018) era tra i più alti del mondo: oltre 5 figli per donna. Abitato sin dai primi secoli dell’era cristiana, il territorio corrispondente all’attuale Mozambico fu colonizzato, specie lungo le coste, dagli arabi, grazie ai quali una parte della popolazione si convertì all’Islam, religione ancora oggi piuttosto diffusa lungo la fascia costiera; furono, invece, portoghesi a introdurre il cristianesimo, la religione maggioritaria tra i mozambicani (con prevalenza del cattolicesimo). I lusitani avrebbero dominato per secoli l’attuale Mozambico, introducendo usi e costumi occidentali; il loro arrivo si colloca alla fine del XV secolo. I portoghesi, in realtà, si preoccuparono soprattutto di creare scali e insediamenti lungo le coste, utilizzandoli come base di appoggio e rifornimento per le flotte dirette verso le Indie orientali. Al contrario, si curarono poco del controllo del territorio, specie delle zone interne, delegato a soggetti privati, anche stranieri. I trattati di pace di Versailles (1919), che chiusero la Prima guerra mondiale, imposero, tra l’altro, alla Germania di cedere le proprie colonie africane: il Triangolo di Kionga (Africa orientale) fu assegnato al Portogallo, che lo incorporò nei suoi possedimenti dell’Africa orientale portoghese (in pratica l’attuale Mozambico). Il secondo dopoguerra, come noto, vide lo sviluppo dei movimenti indipendentisti africani: in Mozambico nacque negli anni Sessanta il FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico), movimento filomarxista, che avviò una lunga azione di guerriglia, destinata a protrarsi per oltre un decennio. Il regime di Antonio de Oliveira Salazar, però, non aveva nessuna intenzione di concedere l’indipendenza e avviò una dura azione di contrasto ai ribelli, scatenando una sanguinosa guerra interna, condotta dai generali portoghesi Antònio Augusto dos Santos e Kaúlza de Arriaga; nonostante il sostanziale fallimento della strategia antiguerriglia (i ribelli poterono spesso contare sull’appoggio e sostegno degli autoctoni) le forze di Lisbona inflissero gravi perdite al FRELIMO. La fine della dittatura in Portogallo, con la cosiddetta rivoluzione dei garofani del 1974, e il ripristino della democrazia – che segnò l’abbandono dei retaggi del passato colonialista – aprirono la strada all’indipendenza, conseguita nel 1975. Il governo mozambicano assunse caratteri apertamente marxisti e socialisti, sotto la presidenza di Samora Michel, leader del FRELIMO, godendo a lungo del sostegno dell’URSS. Tra le decisioni politiche più importanti la nazionalizzazione delle piantagioni e la costruzione di scuole e ospedali per il proletariato. Maputo si schierò apertamente a favore dei movimenti rivoluzionari marxisti operanti nei vicini Sudafrica e Rhodesia (l’attuale Zimbabwe), il che provocò la reazione dei governi di quegli stati, che a loro volta sostennero il movimento del RENAMO (Resistencia Nacional Moçambicana); gli scontri tra governo e ribelli diedero vita a una lunga guerra civile, che sconvolse il paese per più di un decennio, provocando una spirale di morti e violenze. Nel 1984 il Sudafrica si ritirò dal conflitto, dopo aver ottenuto dal Mozambico l’espulsione dei membri dell’African National Congress che si erano rifugiati nel paese. Nel 1986 moriva il leader storico Michel e la presidenza passò a Joaquim Chissano, che aprì a riforme democratiche e ai colloqui di pace coi ribelli. I negoziati iniziarono a Roma, nel 1990, con la mediazione del governo italiano e della Comunità di Sant’Egidio (ritenuta una sorta di diplomazia parallela del Vaticano); in particolare, negli accordi di Roma, siglati due anni più tardi, furono fondamentali i contributi del fondatore della comunità, Andrea Riccardi, di Matteo Zuppi e del Vescovo mozambicano di Beira, Jaime Gonçalves, con la partecipazione dell’ex Sottosegretario agli esteri Mario Raffaelli; un sostegno all’iniziativa di pace venne anche dal PCI, che intratteneva da sempre buoni rapporti col governo marxista di Maputo. L’intesa di Roma del 1992, mettendo fine ad un lungo e sanguinoso conflitto civile, rappresenta ancora oggi un esempio più unico che raro nella storia della diplomazia internazionale, il primo siglato grazie all’azione portata avanti – con coerenza, sensibilità apertura al dialogo e flessibilità – non da parte di governi o organizzazioni internazionali, bensì soggetti privati (si parlò di pace all’italiana o formula italiana per la pace). Sulla scia dei negoziati, fu approvata una nuova Costituzione democratica (1990), che aboliva ogni riferimento al marxismo e apriva al multipartitismo: l’assetto (ancora oggi in vigore) è quello di una repubblica presidenziale, col potere legislativo attribuito all’Assemblea Nazionale elettiva e quello giudiziario suddiviso tra Corte Suprema e Tribunali territoriali. Le votazioni celebrate da allora hanno sempre confermato al potere il FRELIMO: nel 1994 Chissano fu rieletto presidente nelle prime consultazioni formalmente libere. Lo stesso FRELIMO abbandonò l’ideologia socialista, per trasformarsi in un movimento politico di ispirazione liberale e democratica; in generale, come scrive Limes (n. 11 del 2017): “il potere del Frelimo si è tradizionalmente basato sull’alleanza fra le popolazioni del Sud (l’area che coincide con l’antico regno di Gaza) e un’importante gruppo etnico situato a cavallo del confine con la Tanzania (i makonde), la Renamo ha sempre avuto le proprie roccaforti in alcune grandi province del Centro-Nord (Zambesia, Manica, Sofala, Nampula)”; il RENAMO, che resta ancora oggi la principale forza di opposizione, era nato come organizzazione di tipo militare e non ha mai saputo organizzarsi per insidiare il potere del FRELIMO. Nel 1995 il Mozambico fu il primo paese mai stato colonia britannica ad entrare nel Commonwealth, mentre l’anno successivo fu tra i fondatori della Comunità dei Paesi di lingua portoghese, organizzazione nata per favorire gli scambi economici e culturali. Nel 2005, dopo il ritiro di Chissano (che curerà varie iniziative di pace per conto dell’ONU), fu eletto presidente Armando Emilio Guebuza. Il nuovo capo dello stato assicurò una certa continuità rispetto al suo predecessore, decidendo di offrire aiuto e sostegno ai profughi bianchi provenienti dallo Zimbabwe, manifestando così una ferma opposizione alla politica razzista “al contrario” adottata dal presidente Robert Mugabe. L’afflusso dei rhodesiani di origine europea – poi divenuti cittadini mozambicani a tutti gli effetti – ha portato grandi vantaggi, consentendo importanti progressi e ammodernamenti nelle attività agricole. Rieletto nel 2009 con un ampio margine di voti, Guebuza ha lasciato la presidenza nel 2015: a succedergli è stato Filipe Nyusi (sempre del FRELIMO), originario del Cabo Delgado (provincia a nord del paese), attuale presidente del Mozambico e confermato nel 2019, in votazioni contestate dalle opposizioni e che hanno visto una bassa affluenza (circa il 50 per cento). Nello stesso anno il capo dello stato e Ossufo Momade, leader della RENAMO, che a più riprese aveva accusato di brogli e corruzione il governo e che dal 2014 aveva dato vita a nuove iniziative militari, hanno firmato un nuovo accordo di pace, che dovrebbe gettare le basi per una rinnovata stabilità interna; per effetto dell’intesa, molti militanti della RENAMO sono stati integrati nelle forze armate e di sicurezza regolari (mentre cinquemila ex ribelli sono stati disarmati). Il paese resta tra i più poveri dell’Africa e del mondo intero: il PIL 2022 è stimato in 13,90 miliardi di euro, quello pro-capite si ferma ai 508 euro (sempre nel 2022); inoltre, permangono una diffusa corruzione e fenomeni di speculazione finanziaria: per fare un esempio, nel 2018 l’ex ministro delle Finanze Manuel Chang, accusato di frode fiscale, è stato arrestato in Sudafrica. Nonostante queste criticità, come scrive l’Istituto Italiano per il Commercio Estero (ICE) nel report 2022, il Mozambico: “rappresenta una garanzia in termini di ordine istituzionale e sicurezza degli investimenti, dall’altro la poca dinamicità è un freno allo slancio economico e alla sua crescita nel complesso.” In effetti, la stabilità istituzionale, grazie ai nuovi accordi di pace, ha aperto le porte agli investimenti stranieri e consentito una crescita dell’imprenditoria locale. Dopo l’impasse dovuta alla crisi pandemica, nel 2021 l’economia è tornata a crescere (+2,2 per cento) e si preannuncia un trend positivo anche nei prossimi anni; tuttavia, il global peace index (2022) colloca il paese alla 122esima posizione (su 143), segnando un forte arretramento rispetto al 2010, quando il Mozambico si era collocato al 47esimo. Gli investimenti stranieri si sono concentrati nel settore minerario e delle risorse energetiche (carbone, bauxite, alluminio, pietre preziose, petrolio, gas), oltre che su agricoltura e biomasse. L’economia continua ad essere quella di un paese fortemente sottosviluppato: come indice di sviluppo umano il Mozambico è 180esimo su 189 paesi, e pur avendo uno dei migliori rapporti al mondo tra debito/PIL, ancora nel 2020 il 64 per cento dei cittadini viveva sotto la soglia di povertà. L’agricoltura è soprattutto di sussistenza (come mais e manioca), mentre quella commerciale è molto contenuta; solo il 9 per cento delle terre coltivabili viene effettivamente sfruttato. Il settore primario resta quello che dà occupazione alla stragrande maggioranza degli abitanti (70,2 per cento); il 21,2 degli addetti opera nel settore terziario e l’8,6 in quello industriale (specie di trasformazione). Il turismo è relativamente poco sviluppato e si concentra soprattutto sulle bellezze naturali del paese e nella pesca, anche se il Mozambico è il terzo paese dell’Africa subsahariana per numero di visitatori; una notizia positiva per gli animalisti arriva dalla recente decisione di trasferire presso il Parco nazionale di Zinave un gruppo di rinoceronti bianchi, per ripopolare una zona devastata dalla guerra e dal bracconaggio. Nel 2018 circolò la notizia, inserita in un rapporto delle Nazioni Unite ripreso dalla BBC inglese, che parlava di una cooperazione militare tra Mozambico e Corea del Nord, che avrebbe esportato numerosi prodotti verso l’Africa, compreso know-how militare, in spregio alle sanzioni imposte contro Pyeongyang. Il paese è afflitto da gravi problemi di ordine sanitario, sia per la carenza di strutture, che di personale; ancora oggi si verificano fenomeni epidemici legati ad HIV, colera e tubercolosi e si registra un tasso di 1,70 per il deperimento dei bambini sotto i 5 anni (la mortalità infantile è pari al 5,48). Come ricorda l’ICE, assieme agli importanti aiuti umanitari e per via degli stretti rapporti instaurati grazie al ruolo avuto dal nostro paese nel processo di pace “L’Italia si conferma tra i primi investitori in Mozambico: secondo i dati della Banca Centrale mozambicana, nel 2021 l’Italia è stata il secondo investitore europeo e il quinto globale”, mentre “Sempre nel mese di marzo 2022, il Paese ha ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale una linea di credito estesa di tre anni, pari a 456 milioni di dollari con lo scopo di rafforzare la crescita economica, ridurre le vulnerabilità finanziarie e migliorare la sostenibilità di bilancio”. In Mozambico sono presenti 50 aziende italiane, la maggior parte delle quali operano nel settore energetico; tra queste ultime, spicca l’ENI, che si è assicurato diritti di esplorazione e sviluppo di una serie di giacimenti off-shore di gas naturale (nel 2017 si parlava di risorse per 2.400 miliardi di metri cubi di gas); esistono, inoltre, importanti accordi di cooperazione e sviluppo agricolo per la produzione di semi oleaginosi e oli vegetali, utili per i biocarburanti. Una delle zone più ricche di giacimenti di gas naturali è Cabo Delgado (nel bacino di Rovuma), provincia del Mozambico settentrionale, giudicato il secondo per importanza del continente nero, dopo quelli angolani. La regione, però, fin dal 2017 è stata colpita da un’ondata di violenze senza precedenti, perpetrate da milizie jihadiste – ricordiamo, tra gli altri, l’attacco contro la città di Palma del marzo 2021 – che hanno provocato una vera e propria catastrofe umanitaria: parliamo di migliaia di morti e di circa 800mila sfollati. Il gruppo terrorista – formalmente affiliato all’ISIS, ma in realtà autonomo – è chiamato Ahlu Sunna Wal Jammah, meglio conosciuto come al-Shaabab (i giovani), la stessa etichetta usata dai terroristi somali; negli ultimi mesi sta estendendo il suo raggio di azione anche ad altre regioni del paese. Il governo di Maputo, per combatterli, ha tentato (senza esito) di affidarsi ai mercenari russi della Wagner e ha chiesto aiuto alla Southern African Development Community, organizzazione che riunisce sedici stati dell’Africa australe, conducendo una lotta senza quartiere che rischia solo di esasperare ulteriormente la tensione; anche la UE ha voluto dare il suo contributo, approvando un piano di aiuti per 89 milioni di euro. Va detto che gli estremisti ricevono sostegno e supporto di una parte della popolazione, che li vede come oppositori di un governo giudicato corrotto e connivente con interessi stranieri; i ribelli, naturalmente, fanno leva su questi sentimenti popolari, a cominciare dagli abitanti del Cabo Delgado, costretti ad abbandonare case e attività economiche (come la pesca) per lasciare spazio alle attività estrattive. Tornando all’ENI, a gennaio 2022 proprio nelle acque antistanti il Cabo, l’ente italiano ha installato la Coral Sul FNG, una gigantesca piattaforma galleggiante per l’estrazione di gas naturale, primo impianto di questo tipo installato sul continente nero. A parte l’impresa italiana, tra i maggiori investitori ricordiamo la francese Total (per 20 miliardi di euro), mentre l’interesse per il gas mozambicano si è considerevolmente accresciuto per via della guerra ucraina e della volontà degli occidentali di ricercare fonti alternative al gas russo (ammesso che quelle reperite siano sufficienti ed economicamente convenienti). Non è stata certo casuale la recente visita di stato del presidente italiano Sergio Mattarella, il quale ha voluto rimarcare l’importanza della collaborazione energetica con Maputo, promettendo nuovi aiuti e supporto per lo sviluppo del paese, in cambio di accordi di concessione nel settore gasiero (tra i quali il rinnovo del cosiddetto Coral South, in vigore dal 2017). Ulteriori imprese straniere presenti nel paese sono la British Petroleum, le statunitensi Shell ed Exxon Mobil e la cinese CNPC. Al proposito di Cina, le relazioni con Maputo sono sempre state molto strette: Pechino si schierò apertamente col FRELIMO durante la guerra d’indipendenza. Ricordiamo la partecipazione del presidente mozambicano Guebuza al Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (FOCAC) del 2006 o la visita ufficiale del presidente cinese Hu Jintao l’anno seguente. Tra le intese più recenti tra i due governi, la cancellazione del debito di 52 milioni di dollari e lo sviluppo del commercio bilaterale, che toccò già nel 2011 il valore di un miliardo di dollari; altri progetti finanziati da Pechino hanno riguardato la ristrutturazione del porto di Beira, snodo strategico per altri stati africani, e la realizzazione di importanti infrastrutture, come l’aeroporto della capitale o il ponte Maputo-Catembe. Chiaramente tutto questo si inserisce nella ben nota strategia cinese di penetrazione in terra d’Africa; ultimamente si stanno sviluppando importanti relazioni anche con la Turchia, suffragate dall’apertura dell’ambasciata di Maputo e dalla visita ufficiale del presidente Erdogan (2017), con la recente offerta di Ankara per un supporto nella lotta contro i jihadisti. Resta da affrontare la delicata questione dell’impatto sociale e ambientale dovuto alle imprese straniere del settore energetico operanti in Mozambico. La devastazione del territorio causata dall’inquinamento ambientale e dalle pratiche estrattive (vedi la nuova piattaforma ENI di cui abbiamo detto) e i tanti cittadini costretti a lasciare case e lavoro – con promesse mai mantenute di indennizzi e incentivi di altra natura – alimentano naturalmente la propaganda degli integralisti, ma stanno anche creando i presupposti per una gravissima crisi sociale; inoltre, la corruzione e l’aumento vertiginoso dei prezzi dovuto alla crisi economica hanno dato vita alle diffuse proteste antigovernative dei giorni scorsi. Il Mozambico ha certamente bisogno tanto della UE (e degli investimenti europei), che della Russia, con la quale ha sempre intrattenuto rapporti molto cordiali (tanto che il 75 per cento del grano viene proprio da Mosca); per la cronaca il paese africano si è astenuto in occasione del voto per la risoluzione ONU che proponeva l’espulsione della Russia dal consiglio per i diritti umani e si è ipotizzato un suo ruolo quale mediatore nella delicata questione ucraina. La lotta contro gli integralisti resta una priorità, sia per conservare gli investitori attuali, che incoraggiarne di nuovi; a giugno il presidente Nyusi ha rinnovato i vertici dei servizi di sicurezza per la loro presunta incapacità di contrastare efficacemente il fenomeno. Il problema, però, è di portata più ampia, visto il dilagare delle proteste di cui abbiamo detto (da ultimo i trasportatori): la crisi economica, la corruzione e la sempre più diffusa percezione che il governo faccia più gli interessi stranieri, che quelli del proprio popolo stanno alimentando un malcontento, che potrebbe minare seriamente la stabilità interna. Giova ricordare la cacciata degli abitanti costieri delle province settentrionali, un altro gran brutto segnale di quello che potrebbe essere letto come un vero e proprio esempio di colonialismo energetico. Se a fine 2020 l’Unione Africana, per via della pandemia, stilava uno scenario drammatico per il continente, col rischio di perdere decine di milioni di posti di lavoro e di assistere a una drastica riduzione delle rimesse (si parlava di un 21 per cento), basilari per l’economia di queste sfortunate nazioni, sottovalutare il malessere (di certo non immotivato) della popolazione e liquidare il tutto come “terrorismo” potrebbe rivelarsi, specie in prospettiva, un grave errore: il caso dello Sri Lanka potrebbe (e dovrebbe) rappresentare un severo monito per chi pensa di ignorare il malessere radicato nella propria società.

di Paolo Arigotti