Il lavoro minorile in Italia – Indagine nazionale di Save the Children

A distanza di dieci anni dalla presentazione degli ultimi dati e delle ultime ricerche sul tema, la Onlus Save the Children, in collaborazione con la Fondazione di Vittorio, ha deciso di riproporre un’indagine nazionale sul lavoro minorile in Italia. Il proposito è quello di contribuire alla riflessione intorno a dati ed informazioni, al fine di elaborare misure ed interventi efficaci per combattere il lavoro minorile e i fenomeni correlati, come la dispersione scolastica.

La ricerca è stata presentata a Roma nella sede di Save the Children alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone; Tito Boeri dell’università Bocconi di Milano; Daniela Barbaresi, segretaria confederale della CGIL; Andrea Tardiola, Direttore generale dell’INAIL; Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children Italia; Christian Morabito, responsabile scientifico della ricerca.

Come sancito dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il lavoro minorile viola il diritto di ciascun minore “di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.

Il lavoro minorile si presenta come un fenomeno mondiale che riguarda anche il nostro Paese, diffuso ma ancora in larga parte sommerso ed invisibile.

Le stime ci dicono che in Italia 336mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie o occasionali, il 6,8% della popolazione di quella fascia di età, quasi 1 minore su 15. Tra i 14-15enni che dichiarano di svolgere e aver svolto un’attività lavorativa, un gruppo consistente (28,8%) ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, oppure svolti in orari notturni o perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi. Si tratta di circa 58mila adolescenti.

I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%), la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3 %). Emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Più della metà degli intervistati, nel periodo in cui lavorano, lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

Lo studio di Save the Children, “Non è un gioco”, tenta di sopperire almeno parzialmente alla mancanza di una rilevazione sistematica di dati sul tema in Italia, con l’obiettivo di definire i contorni del fenomeno, comprenderne le caratteristiche e l’evoluzione nel tempo.

La ricerca ha indagato anche la relazione tra lavoro e giustizia minorile, mettendo in luce un forte legame tra esperienze lavorative troppo precoci e coinvolgimento nel circuito penale. Quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile, più di uno su 3, ha affermato di aver svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita. Tra questi, più di un minore su 10 ha iniziato a lavorare all’età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo ed il benessere psicofisico. L’ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro incide negativamente sulla crescita e la continuità educativa, alimentando la dispersione scolastica. Questi ragazzi, come ha sottolineato il Presidente Tesauro, rischiano di rimanere ingabbiati nel circolo vizioso della povertà educativa, bloccando di fatto le aspirazioni per il futuro, sul piano anche della formazione e dello sviluppo professionale, con pesanti ricadute anche sull’età adulta.

A livello globale, secondo i dati Unicef ed ILO, nel 2020 circa 120 milioni di bambine, bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni hanno lavorato. Di questi 79 milioni hanno svolto lavori pericolosi, in grado di danneggiare la salute e lo sviluppo psicofisico e morale.

I minori che lavorano prima dell’età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita. A tal proposito, come rileva l’Istat, la quota dei giovani 18-24enni dispersi ovvero che escono dal sistema istruzione e formazione, senza aver conseguito un diploma o una qualifica, nel 2021 era pari al 12,7% del totale, contro una media europea del 9,7%.

Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani NEET, not in education, employment or training, alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra i 15 e i 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1 milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania. Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, è significativamente associato al lavoro minorile.      Parallelamente alla ricerca quantitativa, sono stati realizzati degli approfondimenti qualitativi, per raccogliere le voci di chi conosce il fenomeno e lavora per prevenirlo e contrastarlo, organizzando 4 focus group in territori ritenuti di particolare interesse, ossia Napoli, Ragusa -Vittoria, Prato e Treviso. In tutti queste realtà, diffusa è la preoccupazione per la dispersione scolastica, in crescita a seguito della pandemia e per le difficoltà del sistema scolastico italiano nel mettere in campo interventi tempestivi. Sono state realizzate anche interviste a testimoni privilegiati, tra cui rappresentanti di istituzioni, organizzazioni sindacali e università, che a diverso titolo operano nell’ambito dell’educazione, del lavoro e degli affari sociali.

La ricerca mette in luce come oggi molti ragazzi in Italia entrano nel mondo del lavoro dalla porta sbagliata: troppo presto, senza un contratto, nessuna forma di tutela, protezione e conoscenza dei loro diritti. In mancanza di interventi e in una situazione di stagnazione economica e di forte crescita della povertà minorile, il quadro può ancora peggiorare: è questa la preoccupazione che vuole rappresentare alle istituzioni il Programma Italia-EU di Save the Children.

 di Rosaria Russo