Il caso Liggio, atti fatti e misfatti – un libro del Gen. di Brigata CC Gianfranco Milillo

Il nome di Luciano Leggio (detto Liggio) riporta alla mente una delle pagine della storia sulla Mafia più violente ed efferate della seconda metà del ‘900.

Nel mese di maggio è uscito il libro scritto dal Gen. di Brigata dei Carabinieri Gianfranco Milillo, Il caso Liggio. Atti, fatti e Misfatti, che spiega la cattura del famoso criminale, nei minimi particolari.

Un atto dovuto da parte del figlio dell’allora Colonnello dei Carabinieri Ignazio Milillo, che condusse le indagini e catturò il boss. Perché atto dovuto? Perché si creò immediatamente una diatriba fra i carabinieri e la polizia sulla paternità della cattura del criminale, in quanto l’Ispettore Mangano diede la notizia alla stampa che era stata la polizia a catturare il personaggio.

In questo interessante e avvincente libro, il Gen. Milillo, che ho intervistato, elenca i fatti e le prove di quanto è stato sempre affermato dal padre.

Generale Milillo, il suo libro sulla cattura di Luciano Leggio costituisce un importante pietra angolare sulla storia della mafia e dà luce al ruolo fondamentale e definitivo che l’Arma dei Carabinieri ha avuto nella vicenda. Infatti lei chiarisce l’annosa polemica che c’è stata con l’Ispettore Angelo Mangano della Polizia. Nel libro ho letto che la querelle si è procrastinata negli anni e che ci sono state delle denunce reciproche in cui la figura di Suo padre, attraverso le sentenze, è sempre uscita limpida e adamantina. Mi parli di suo padre, della sua figura, dei suoi insegnamenti, come ha vissuto da figlio gli eventi descritti nel libro?

Sì, molte e aspre sono state le polemiche legate a quella vicenda. Per anni Mangano ha millantato la paternità di quella cattura, utilizzando una foto ingannevole diffusa dagli organi di stampa nella quale compariva accanto al boss appena tratto in arresto. In realtà, nelle sue deposizioni lo stesso Leggio dichiarò in più circostanze che non fu Mangano ad arrestarlo, bensì mio padre, e che quella foto non dimostrava nient’altro che la vena narcisistica e vanagloriosa di Mangano. Mio padre sporse querela per questa indebita appropriazione, ma la rimise in quanto il Mangano – poco prima dell’inizio dell’udienza – firmò un documento in cui riconosceva il merito preminente all’Arma nella cattura, “restituendo al Cesare Milillo ciò che di Cesare era e che una famosa fotografia e altrettanti affermazioni di stampa sembravano avergli tolto“.

Come genitore il rapporto di noi tre figli con nostro padre è stato molto speciale, nonostante la sua impegnativa professione. Genitore amorevole, sempre presente in ogni momento chiave della nostra vita, ci ha saputo infondere fiducia e sicurezza sin dai primi anni. È stato un modello di riferimento. Per me, sebbene siano passati molti anni, è ancora oggi emozionante ricordare quel periodo, nel quale in famiglia si avvertiva una certa tensione in virtù di quella delicata e febbrile attività investigativa. In quella stagione di lotta serrata contro Leggio e i corleonesi, ho conosciuto un uomo determinato, un carabiniere fino alla punta dei capelli, insensibile a qualsiasi cosa che non fosse il servizio. Indagini, ufficio e caserma senza mai concedere una domenica a mia madre e a noi figli. È stato un uomo di azione, che ha servito le Istituzioni nel momento di emergenza. Il Generale Federici, allora Comandante Generale dell’Arma, in occasione di una cerimonia commemorativa così concluse il suo ricordo di mio padre: “Il Generale Ignazio Milillo si è sempre distinto nel contrastare la Mafia con la cattura di Leggio, la Camorra con il contrasto al clan Maisto in Campania e ha portato sul suo corpo le ferite della lotta al bandito Giuliano. Il Generale Ignazio Milillo per noi è una ‘icona’ ”.

Generale Milillo, quali erano le relazioni fra Liggio e Totò Riina?

Leggio salì i primi gradini della sua inafferrabile carriera di fuorilegge con il reclutamento di Riina, detto Totò ‘u curtu, Provenzano e Bagarella, i cui nomi sarebbero assurti agli onori delle cronache negli anni a venire. Iniziò in quegli anni la stagione sanguinosa della Mafia dei corleonesi.Riina fu inizialmente il luogotenente di Leggio, anche se già nei primi anni settanta appariva sempre più invadente agli occhi del boss. Con Leggio in galera, Riina assunse la guida dei corleonesi nella Cupola di Cosa Nostra imponendo la sua politica sanguinaria ed eliminando chi non era dalla sua parte.

Generale Milillo, molti ormai sanno che Leggio è stato catturato in casa delle sorelle Sorisi, e che Leoluchina Sorisi era fidanzata di Placido Rizzotto il sindacalista ucciso dallo stesso Leggio, per i nostri lettori può raccontare com’è venuto in mente a suo padre che potesse trovarsi in casa Sorisi, protetto proprio da colei che tanto aveva subito dal questo omicidio?

Leggio, che prima aveva vagato da Partinico a Palermo, soggiornando in varie cliniche sotto falso nome ad un certo punto fece perdere le sue tracce.

Nel corso delle indagini erano state raccolte una serie di notizie che per mio padre e i suoi più stretti collaboratori portavano a Corleone. Ci si chiedeva dove avrebbe potuto prendere alloggio viste le sue condizioni fisiche precarie; il boss, infatti era affetto dal morbo di Pot, e aveva costante bisogno di cure particolari. I familiari di Leggio e quelli degli appartenenti al suo clan erano costantemente sorvegliati dai militari dell’Arma; perquisizioni domiciliari, appiattamenti e pedinamenti, il tutto sempre senza alcun esito.  Ecco che mio padre, insieme con il Capitano Carlino, il Tenente Caracò ed altri fidatissimi sottufficiali, decise di condurre delle indagini anche nella vita delle persone trasversalmente vittime della crudeltà di Leggio. Fra queste le sorelle Sorisi di cui una, Leoluchina, era stata la fidanzata del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso proprio dal Leggio e Riina nel ’48; dopo la morte dell’uomo, la donna aveva giurato: “di chi lo uccise io gli spaccherò il petto e con le mie mani mangerò il cuore”. Grazie ad alcuni pedinamenti ci si accorse che le sorelle da alcune settimane facevano degli strani acquisti di sigarette, sigari, medicinali particolari e alimenti non usuali alle loro abitudini. A mio padre apparve anche molto strano, inoltre, che una pattuglia su auto della Polizia stazionasse quotidianamente nelle immediate vicinanze della abitazione delle Sorisi; tale servizio, infatti, era effettuato senza l’autorizzazione di mio padre che era il comandante e responsabile dell’operazione. Questo fatto risultò sospetto e, in seguito alla cattura del boss, fu oggetto di approfondita discussione, tanto da realizzare che qualcuno aveva interesse a tutelare la latitanza della Primula Rossa. Certo è che, se qualcuno aveva interesse a proteggere Leggio, non avrebbe potuto fare di meglio! Chi ha pensato a quella casa, poco distante da quella dove aveva preso alloggio il Commissario Mangano inviato speciale del Capo della Polizia Vicari a Corleone, aveva trovato un nascondiglio sicurissimo. Si tratta del vecchio principio di nascondere una cosa in un luogo dove nessuno potrebbe pensare di trovarla. Poi, un pomeriggio, ricevemmo a casa una telefonata da parte di un vecchio confidente di mio padre, una persona che lui aveva conosciuto durante la lotta alla banda di Salvatore Giuliano, nella quale – anni prima – era rimasto ferito nel terribile attentato di Passo di Rigano. Dopo un brevissimo colloquio telefonico mio padre indossò in fretta furia gli abiti borghesi e si volatilizzò. Fu subito allertato il gruppo d’indagine che affiancava mio padre, con l’ordine di seguire l’autocolonna che si stava formando. All’ultimo minuto, fu invitato a presenziare anche il Mangano con una squadra di poliziotti. Nonostante le insistenze del Mangano, durante il percorso, per conoscere la località presso cui ci si stava dirigendo, mio padre glissava così che tutti rimasero sorpresi accorgendosi di essere giunti per altra via a Corleone e circondare l’abitazione delle Sorisi. Mangano, sbalordito e allarmato, tentò di dissuadere mio padre asserendo “Ma colonnello! Non stiamo per commettere un madornale errore? E’ mai possibile che Leggio possa trovarsi in casa della fidanzata di Rizzotto ucciso da lui?” Nella tarda serata mio padre chiamò mia madre da Corleone. Erano le 21.45 del 14 maggio 1964 e “la preda era stata catturata “. In merito all’inusuale comportamento del Mangano nella vicenda Leggio, e a seguito di varie audizioni, la Commissione Parlamentare Antimafia contestò al funzionario “d’aver svolto, non già una incessante azione di ricerca e di lotta contro la mafia e Liggio, bensì una costante e mal destra tutela in pro di questi”.

Generale Milillo, il Suo è stato un lavoro di ricostruzione certosino e il libro è una valida testimonianza di una pagina di storia, il legame fra personaggi apicali dello Stato a protezione del mafioso, è molto interessante, e riporta ai giorni nostri, sappiamo di figure importanti della giustizia, come Falcone e Borsellino, come il Generale Dalla Chiesa che sono stati lasciati soli dallo Stato a lottare e sono stati eliminati dalla mafia. Può parlarmi di questi legami?

I fatti ricostruiti in questo libro sono dettagliatamente descritti negli atti di Polizia Giudiziaria, delle Commissioni Parlamentari Antimafia e nelle inchieste giornalistiche nonché nelle fonti di archivio della “Fondazione Milillo”. Vorrei altresì sottolineare e chiarire che i fatti legati alla polemica Milillo-Mangano dopo la cattura di Leggio, non sono e non possono in alcun modo essere letti nell’ottica di una presunta rivalità esistente fra le due Forze di Polizia. Niente di più errato. Si tratta infatti di un contrasto che sarebbe comunque potuto sorgere tra due appartenenti alla medesima istituzione.

Desidero esprimere tutta la mia amarezza ed il mio rammarico nell’aver compiuto questo doloroso, ma doveroso passo, nonché il mio imbarazzo e disagio nel momento in cui mi son deciso a scrivere questo libro, che ha visto interessati alcuni noti personaggi istituzionali. Personaggi che indico nel mio libro e che verosimilmente hanno ritenuto in quel momento di poter liquidare Salvatore Giuliano con la sua eliminazione fisica. È però pur vero (alla luce di quanto si sta praticando con i cosiddetti pentiti) che se l’azione fu autorizzata dal Governo, si era agito per risolvere uno scottante affare di Stato quale si era rivelato il fenomeno della banda Giuliano. In tal caso costoro avrebbero potuto (se non dovuto) essere considerati quanto meno immuni da conseguenze penali senza ricorrere a sotterfugi ed espedienti con misteriosi missioni di funzionari di Polizia. Verosimilmente, questo qualcuno aveva dovuto accordare a Leggio, in forma di compenso per il suo presunto coinvolgimento nell’affaire Giuliano, impunità e tutela. Sono convinto che se negli anni in cui sono avvenuti gli episodi nel libro vi fosse stata altra Procura della Repubblica in Palermo certamente si sarebbe celebrato il primo processo Stato-Mafia con gli esiti che possiamo immaginare.

Talvolta lo Stato non ha dato grande esempio di protezione e tutela per tutti quei servitori dello Stato che ogni giorno sono stati in prima linea contro la criminalità organizzata e sono rimasti vittime di mafia. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l’Italia intera. Lo Stato deve dimostrare che è più forte di questi sanguinari criminali e dimostrare che costoro non sono morti inutilmente. In questo Paese la giustizia è talvolta come Penelope, la quale intreccia la tela di giorno e nel cuore della notte la disfa. Contro la Mafia e le organizzazioni criminali di ogni genere occorre che lo Stato legiferi con norme chiare, precise, senza lasciare spazio ad interpretazioni, con pene più che severe, senza tener conto dei benefici di legge. Quanti appartengono a queste organizzazioni non sono recuperabili, e perché si eviti la perpetrazione di tali reati è necessario condannarli con pene definitive.

Suo padre, dopo la cattura del criminale mafioso fu trasferito a Roma. Questo trasferimento fu vissuto come un’ingiustizia, ma rovesciando la medaglia, non pensa che forse potrebbe anche essere stato un modo per proteggerlo da una vendetta mafiosa?

Assolutamente no. Nessuna ipotetica vendetta mafiosa. Leggio non era Riina. Leggio riconosceva il ruolo e il comportamento tenuto da mio padre nel dargli la caccia, tant’è che quando mio padre lo dichiarò in arresto sottraendogli la sua Smith & Wesson ca. 38 Leggio gli disse che “sempre a lei colonnello l’avrei data la pistola e non a quel (epiteti sgradevoli rivolti al Mangano), perché mi ha combattuto con onore, ed era giusto che con onore vincesse”. Dicono quelli che erano entrati nella famosa stanza che vi fu un momento intenso, irripetibile. Sembrò come se preda e cacciatore rimanessero per un attimo soggiogati. I due si guardarono, e fu come se ciascuno comunicasse in un proprio codice segreto cavalleresco. Ricordo perfettamente l’amarezza che provò mio padre quando ricevette il preavviso di trasferimento per Roma, perché ancora non aveva ultimato la necessaria opera di bonifica degli altri corleonesi come Riina, Provenzano e Badalamenti; bisognava battere il ferro finché era caldo. Ovviamente non poté obiettare per essere stato destinato a Roma, ma in realtà il provvedimento si presentò come il classico promoveatur ut amoveatur; è bastato alla Polizia di Vicari, d’intesa con il Procuratore Scaglione, per porre fine, per neutralizzare e condizionare fortemente l’azione repressiva da parte dell’Arma, specie nei confronti dei più alti esponenti della Mafia. Col trasferimento di mio padre a Roma, la Mafia di Corleone, che era stata pressoché sgominata dall’Arma, da questo momento riprenderà un buon respiro e trarrà nuova linfa e maggior vigore per la sua nuova ascesa, estendendo i suoi tentacoli persino in ogni settore della vita del Paese, con un autentico salto di qualità.

Quanto appena detto è stato pienamente confermato anche dal super pentito Tommaso Buscetta, che in una sua intervista dichiarò: So che in Italia c’è molta gente che non vuole vedere né capire. Non è la prima volta. È stato sempre così. Ogni tanto la Stato alza le mani e assesta un bel cazzotto a Cosa Nostra. Ma prima che Cosa Nostra muoia lo Stato si distrae e non finisce il lavoro. Cosa Nostra si riprende e ritorna florida e minacciosa. Dopo la strage di Ciaculli nel 1963 ci furono tanti arresti (oltre 1200 operati dall’Arma e dai valorosi carabinieri diretti da mio padre) e tante difficoltà fino al ’69 che i mafiosi pensarono di sciogliere Cosa Nostra. Ma poi nessuno si curò più di noi e tornammo a fare quel che avevamo sempre fatto”.

Generale Milillo, mi parli della mafia degli anni 60 comparandola alla mafia di oggi e alle varie organizzazioni di stampo mafioso, compresa quella nuova che si è presentata in Italia con l’immigrazione: quella nigeriana. Nota una recrudescenza in pejus? Secondo Lei sono cambiati i codici mafiosi con il passare del tempo? Lo Stato come potrebbe rispondere?  Secondo Lei è necessaria una riforma della magistratura e della legislazione?

La Mafia degli anni 60, la vecchia mafia ha avuto una evoluzione vertiginosa passando dalla cosiddetta mafia agraria fondata sul latifondo ad una più moderna, la mafia multisettoriale. L’organizzazione passòdalla rendita della terra ai piani regolatori del settore edilizio, lo sfruttamento della spesa pubblica, traffico di diamanti, contrabbando di sigarette, nonché alla nascita di un nuovo ceto politico che avrebbe segnato per decenni la vita siciliana e nazionale (Ciancimino, Lima, Gioia, …). Ma il vero, nuovo business fu il traffico di stupefacenti: collaborando con i cugini americani, i corleonesi diventarono protagonisti del narcotraffico intrecciando rapporti con organizzazioni straniere. Ricordiamo il processo Pizza Connection. Poi con Riina iniziò la stagione del terrore, con le famigerate stragi, e dopo il suo arresto ebbe inizio la mafia della seconda Repubblica, quella della corruzione, della violenza perpetrata per raggiungere il potere e lo status politico. Come sa, io ho lasciato il servizio attivo dall’Arma da molti anni, e pur avendo diretto indagini di Polizia Giudiziaria nella lotta alla criminalità organizzata nelle province di Napoli, Salerno, Caserta e Benevento, non dispongo oggi di elementi di dettaglio. Tuttavia, a mio giudizio, l’organizzazione che di recente sta creando maggior preoccupazione è la criminalità “nigeriana”: oltre ad esercitare una notevole forza di intimidazione nei confronti dei connazionali, essa minaccia anche le realtà criminali del posto, come in Campania e più specificatamente a Castel Volturno (Caserta) e sul litorale domizio, dove opera liberamente non solo nel traffico di droga ma anche nelle estorsioni, nell’immigrazione clandestina, nel traffico di esseri umani e nello sfruttamento della prostituzione. È tempo che lo Stato agisca velocemente e adeguatamente, con massicci e costanti controlli del territorio, emanando provvedimenti speciali come in tempo di guerra, perché nelle zone dove imperversano queste organizzazioni criminali si sta combattendo una guerra per la sopravvivenza e il vivere civile. Bisogna ricostruire un rapporto di fiducia tra popolo e Stato, e il tramite è la magistratura. C’è bisogno di maggiore efficienza. Sono insostenibili i tempi lunghi della risposta della giustizia. I tempi processuali devono essere accelerati con la digitalizzazione, e con l’aumento degli organici dei magistrati e degli operatori di giustizia, nonché attraverso una migliore organizzazione dei tribunali. Purtroppo, da parte di alcuni esponenti di partito vi sono dichiarazioni che suonano più come veti che volontà di raggiungere un giusto compromesso. Infine bisogna far valere la certezza della pena. La pena, se efficace ed effettiva, previene di fatto la commissione di reati. In una società civile priva di qualsiasi freno inibitorio la sanzione penale deve essere di monito a chi intende delinquere, e affinché il monito sia efficace la certezza della pena diventa un elemento fondamentale, affinché il reo possa espiare la sua pena senza sconti o diverticoli di legge.

Generale Milillo, è attualissima la polemica che inerisce la liberazione di Brusca, in quanto la pena è stata dichiarata effettuata, anche se con un anticipo di 45 giorni sulla scadenza. Questo è avvenuto grazie ad un particolare patto fra lo stato e la mafia, denominato volgarmente legge del pentitismo e voluto fortemente dal Giudice Falcone. Il criminale però non ha mai chiesto perdono a nessuno, non ha mai manifestato serio pentimento per le atrocità commesse, ma sicuramente ha contribuito alla cattura di altri efferati personaggi che erano mafiosi quanto lui. Cosa pensa della vicenda?

Nella legge voluta dal Giudice Falcone non si parla di pentiti, ma di collaboratori di giustizia,e tra questi ricordiamo Tommaso Buscetta che ha dato un colpo fondamentale alle cosche e ha determinato in parte anche il buon esito del maxiprocesso. Valutando i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità mediante benefici concessi ai mafiosi come Giovanni Brusca, che se ben ricordo ha chiesto perdono ai parenti delle vittime riconoscendo la sua disumanità, è possibile affermare che Giovanni Falcone aveva visto giusto. Effettivamente, la scarcerazione di Brusca fa molto scalpore: è impossibile dimenticare il suo soprannome lo “scannacristiani”, e le sue efferatezze, come la crudele uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia, il cui cadavere fu sciolto nell’acido; Brusca, inoltre, è stato autore materiale della strage di Capaci, in cui lo stesso Falcone pagò con la vita la sua ostinata lotta alla Mafia. Senz’altro la scarcerazione appare moralmente inaccettabile, suona come un affronto per le vittime, per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata, ma questa è la legge.

Generale Milillo, la ringrazio infinitamente di avermi dato l’opportunità di intervistarla a nome del giornale Il Nuovo Panorama Sindacale spero che i lettori comprino il suo libro che merita di essere letto.

Grazie a lei.

Qualora i lettori volessero approfondire l’argomento comprando il libro del Gen. Gianfranco Milillo, i proventi della vendita di questo libro saranno devoluti alla O.N.A.O.M.A.C., l’Opera Nazionale Assistenza degli Orfani dei Militari dell’Arma dei Carabinieri.

Di seguito il link per l’acquisto de “Il caso Liggio”:

https://www.edizionimagnagraecia.com/…/81-il-caso…

di Francesca Caracò