Elezioni americane 2020: un rebus dalla soluzione non scontata

Quest’anno mi sono spinta, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre, a chiedere ad un amico californiano di vecchia data che cosa ne pensi. Un’opinione che non ho mai richiesto in tanti anni, forse motivata dall’atmosfera un po’ surreale che avvolge questa tornata elettorale. Non credo che il mio amico rappresenti l’americano medio, ma certo è un cittadino che crede profondamente nei valori democratici della sua nazione.

È un bianco di origini europee, che ha coronato il sogno americano di immigrati in cerca di una vita migliore e rispetto al padre gelataio, quello con il pittoresco carrettino degli anni ’60, ha raggiunto la ragguardevole posizione di professore universitario, che gode di una buona pensione, data da un buon fondo pubblico. Non è un praticante ma tollera tutte le religioni, ha sposato una straniera asiatica, ha una famiglia molto unita fatta di fratelli, zii, cugini, nipoti e studia da sempre la letteratura spagnola. Non possiede armi, non ha paura dei poveri afro o latinos, perché sostiene da sempre, che solo la sorte gli ha dato in destino di nascere dalla parte giusta del confine tra due terre geograficamente uguali, ma separate da un abisso economico e culturale.

Da sornione qual è, la risposta del mio amico è stata laconica e un po’ iperbolica, sintetizzabile nell’idea che qualora fosse eletto per un secondo mandato Donald Trump chiederebbe asilo politico all’Italia.

Una visione negativa e catastrofista di un secondo mandato del tycoon, che il mio amico condivide con uno dei maggiori pensatori viventi, il linguista e politologo statunitense Noam Chomsky. In una intervista recente, rilasciata alla presidente di Télam argentina, Bernarda Llorente, Chomsky ha definito Trump come “una specie di dittatore da quattro soldi che ha creato a Washington una palude di corruzione”. Aver superato i novant’anni non ha spento lo spirito critico di questo brillante pensatore, autore di innumerevoli saggi, e il suo portare avanti crociate personali contro tutto ciò che comprima la libertà democratica e i diritti sociali ed economici.

Per Chomsky è in gioco la sopravvivenza stessa della democrazia. Egli ritiene che queste elezioni si terranno ad uno snodo epocale nella storia degli USA, perché si collocano in mezzo ad una confluenza di crisi esistenziali: quella della catastrofe ambientale, quella della guerra nucleare e la crisi di degenerazione della democrazia, che costituisce l’unico mezzo per combattere tali crisi. Nell’agenda politica del candidato repubblicano questi temi, così vitali ed urgenti, non sono una priorità. Anzi le azioni legislative di questi quattro anni sono andate nella direzione opposta e il solco delle diseguaglianze si è fatto più profondo. Non è un caso che la pandemia ha mietuto più morti e contagi tra la popolazione di colore, latinos e coloro che non riescono ad accedere ad un servizio sanitario di qualità. Il clima sociale, denuncia Chomsky, vede una polarizzazione che non si mostrava da decenni. Razzismo e antirazzismo sono temi al centro di queste elezioni come quello della sicurezza. Per l’amministrazione Trump, per il Partito Repubblicano, secondo Chomsky, tale tematica costituisce il pilastro assolutamente fondamentale della campagna elettorale. Il tema centrale è mostrare un’America cristiana bianca in pericolo, perché in regressione demografica, mentre crescerebbe su di essa la minaccia delle persone di colore, delle minoranze, di settori con idee progressiste. Chomsky rileva che queste correnti sotterranee, presenti da sempre nella storia degli Stati Uniti, oggi sono state completamente sdoganate dai toni politicamente scorretti che Trump ha abbracciato. Non solo la campagna elettorale, ma i tweet, i commenti, le dichiarazioni che sta facendo Trump incitano alla supremazia ed all’odio bianco. Lo zoccolo duro di sostegno al Presidente sono gli evangelici, il 25% della popolazione che è repubblicano, rurale, tradizionale, conservatore, cristiano bianco. Spinosa anche la questione del potere giudiziario con nomine sempre più spostate nell’ultradestra. Ad esempio, al giudice della Corte Suprema, da poco deceduta, Ruth Bader Ginsburg, che si era nei decenni spesa contro le discriminazioni sessuali, è seguita la nomina della cattolica ultraconservatrice Amy Coney Barrett. Noam Chomsky traccia, quindi, il quadro della convivenza negli Stati Uniti da un lato di un governo, che corre sempre di più verso l’estrema destra dello spettro politico, che favorisce i grandi patrimoni, e dall’altro di enormi movimenti politici, come Black Lives Matter, di partecipazione di massa in mezzo alla peggiore crisi sanitaria e ambientale dal dopoguerra.

Inquietante, tra le ultime dichiarazioni di Trump, il tema della legittimità del voto per posta, caldeggiato dai democratici e ritenuto necessario ai tempi della pandemia. Il Presidente americano ritiene che questa prassi si presti ai brogli dei suoi avversari. Sebbene egli stesso abbia fatto ricorso a questa opzione, sembra che questa avversione preannunci una volontà di delegittimare i risultati elettorali, che si unisce ad un sabotaggio, denunciato dall’opposizione, del sistema postale, sfavorendo così il voto soprattutto degli afroamericani. Trump ha espresso il dubbio sul fatto che non sa se accetterà l’esito delle elezioni in caso di sconfitta, ponendo una minaccia neppure troppo velata ad una pacifica transizione di poteri. Ma questa, che sembra una boutade per infiammare sempre di più gli animi, in realtà era una frase che già nel 2016 Trump aveva lanciato, provocando una levata di scudi anche dalla parte conservatrice, in quanto tutti ritengono che delegittimare i meccanismi, che presiedono alla democrazia può inficiare l’intero sistema.

La storia americana sembra però dare un’altra bussola per orientarsi in queste elezioni ed azzardare a dare un pronostico. Il tema caldo in realtà è quello economico, della capacità di ripresa del sistema americano e della creazione di posti di lavoro.

La dicotomia tra favorevoli ed oppositori non scorre solo o non prevalentemente sul crinale razziale. Prova ne è un vasto fronte di sostenitori latinos di Trump, Los Trumpistas, che lo appoggiano nel nome di un sogno americano appena conquistato, essendo riusciti a farsi posto nella società americana, realizzando attività imprenditoriali. Sappiamo che la partita elettorale si gioca nei cosiddetti “swing States”, quelli considerati in bilico e dove anche pochi voti possono fare la differenza e dove quindi il consenso di questi ispanici è fondamentale.

L’occupazione e la percezione dell’andamento dell’economia sono quindi fattori essenziali, che influenzano gli elettori moderati, meno propensi a votare su basi ideologiche e dei quali Trump si è erto a paladino.

I dati sul lavoro sembrano dare fiato a Trump con un miglioramento relativo, seppure essi sono negativi rispetto alla pre-crisi sanitaria. A febbraio la disoccupazione era ai minimi storici (3,8%) dalla Seconda Guerra Mondiale. Le rilevazioni del Dipartimento del Lavoro Americano hanno mostrato, che nel mese di agosto gli occupati sono aumentati di 1,37 milioni.

Queste notizie, che fanno ben sperare per Trump, sono offuscate, da un tema cui gli elettori moderati e dell’impoverito ceto medio americano sono molto sensibili ed è la questione dell’elusione fiscale, che è balzata alle cronache e che indebolirebbe la posizione del Presidente candidato al secondo mandato.

Ricordiamo che nel 1974 le dimissioni di Nixon, in anticipo sull’imminente impeachment a seguito dello scandalo Watergate, trovarono l’elemento determinante in un fatto di natura fiscale, ossia nella dichiarazione dei redditi del 1970, che fece infuriare gli americani.

Nixon, attraverso una serie di stratagemmi fiscali, aveva dedotto più di mezzo milione di dollari dalle proprie tasse, pagando per il 1970 solo 792 dollari. Jack White, il giornalista, che aveva scoperto questa evasione fiscale, vinse il Premio Pulitzer.

Trump, nel suo caso, in base all’inchiesta di recente pubblicata dal New York Times, avrebbe evitato le tasse dichiarando perdite enormi.

Comunque vadano le cose, il 4 novembre inviterò il mio amico statunitense in Italia, Covid permettendo.

di Rosaria Russo