CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO!

In un periodo dove in molti si è persa la progettualità e la fiducia nel futuro.

Covid è la parola che da più di un anno ognuno di noi conosce. Covid parla di isolamento, di solitudine e stanchezza, un virus che prova a creare intorno a noi il vuoto.

Van der Kolk ci dice che le esperienze traumatiche lasciano tracce sia su larga scala, nella storia e nella cultura, sia nella quotidianità, tramandati in modo impalpabile nel corso delle generazioni. Il processo naturale di cura viene annientato, così come la quotidianità. Lasciano tracce anche nella mente e nelle emozioni, nella nostra capacità di provare gioia e di entrare in intimità e, persino, nella Biologia e nel sistema immunitario. 

Pubblicamente la diffusione del virus si è declinata in norme urgenti e obbligatorie da rispettare, mentre nel privato di ognuno di noi, questa situazione sanitaria, sociale ed economica ha eroso il senso di realtà e sostituito il quotidiano con l’extra-ordinario.  È vitale affrontare quello che sta succedendo, partendo dal riconoscimento: stiamo subendo un trauma collettivo, dobbiamo affrontarlo, consapevoli che probabilmente si svilupperà in forme diverse, non di immediata comprensione per tutti. Bisogna confrontarsi con il senso di spaesamento che traumi del genere provocano nel genere umano, dall’isolamento forzato alle forme di solitudine coatta, che rompe il quotidiano svolgersi degli eventi.

Ognuno di noi elabora il trauma in forme diverse. Si parla di senso di colpa, di imbarazzo e di speranza che tutto possa tornare come prima. Siamo prede di emozioni che non sappiamo gestire: la rabbia, la paura, la tristezza, l’incredulità, sono tutte sensazioni legate al nostro stato di confusione. Le abitudini ci fanno sentire al sicuro, cerchiamo di preservarle, ma in uno stato d’emergenza la routine e la normalità non esistono più ed è umano non sapere cosa fare.

Restiamo sospesi a guardare attendendo la prossima decisione istituzionale.

Il virus ha provato ad insegnarci a guardare ogni persona con diffidenza, come possibile portatore o portatrice di infezione e malattia, insidiando nelle nostre menti l’inganno, il sospetto, l’idea che l’altro possa portare qualcosa di cattivo e dannoso, così come succede nel razzismo e nella paura del diverso.

Durante questi mesi ci siamo isolati spesso in modo disfunzionale, associando la casa all’idea che sia l’unico spazio sicuro e protetto: le possibilità di contatto con gli altri hanno iniziato ad essere guardate con timore, lasciando un segno indelebile sull’intera comunità e sui rapporti sociali. Esistono dei soggetti che hanno sviluppato tratti agorafobici, in seguito ai lunghi mesi di isolamento forzato, percependo così l’esterno come un luogo pericoloso e ad alto rischio. L’agorafobia è una patologia che ci parla di una paura, che diventa paralizzante e impedisce di stare negli spazi aperti o affollati, la persona arriva a non riuscire a compiere le più semplici attività quotidiane.

Nell’ultimo anno la possibilità di contatto e socialità è stata quasi azzerata e ad aver sofferto di più di questa condizione di perenne distanziamento e reclusione sono i giovani e gli anziani, le fasce estreme e più a rischio della nostra società. Essi hanno un estremo bisogno di contatto fisico, di aggregazione, di trovarsi in mezzo agli altri, le conseguenze di un prolungato distanziamento sono significativamente forti e devastanti.

Ci troviamo in una condizione di continua instabilità che ha cancellato tutti i punti di rifermento, e deriva non solo dall’emergenza ma anche dalle comunicazioni discordanti e confusive dei mass media. Ogni soggetto, quindi, è sottoposto a diversi fattori di stress e di ansia, che possono essere oggettivi esterni oppure legati alla sua struttura di personalità: questa condizione crea un consumo psichico di energie molto alto. Questa sintomatologia, che all’inizio può essere leggera, se trova terreno fertile, può strutturarsi in un vero e proprio disturbo cronico, che richiede un intervento precoce e mirato da parte di uno specialista: è essenziale saper chiedere aiuto ed imparare a gestire con il giusto supporto psicologico queste esperienze traumatiche.

La solitudine, la paura che nulla torni più come prima, l’angoscia di perdere una sicurezza economica, sono il dramma che ognuno di noi ha vissuto intimamente e che crea una condizione di fatica, di stress psicologico continuo, in cui è forte una destabilizzazione e un crollo delle certezze.

Se queste emozioni, anche se difficili da elaborare e gestire, vengono affrontate precocemente è possibile fare il punto di sé stessi e ripartire nuovamente.

Possiamo imparare a nutrirci delle relazioni che ci circondano, perché è la relazione che cura anche nei momenti più bui e difficili.

Un giorno alla volta, un passo alla volta.

Respira.

di Giulia Celli