Blue Economy: Rapporto Nazionale Unioncamere

L’Economia del Mare è al centro del dibattito dell’Unione Europea, che ne ha riconosciuto il ruolo strategico e ha definito un proprio programma per “un’Economia Blu Sostenibile”, nella convinzione che tutela dell’ambiente ed economia, non sono in contrapposizione, ma costituiscono un legame indispensabile per la crescita.

L’”EU Blue Economy Report 2021”, pubblicato dalla Commissione Europea fornisce un quadro sulla portata e la dimensione della Blue Economy nell’Unione europea. I dati raccolti dal documento, relativi al periodo 2009-2018 confermano il trend di crescita dell’economia blu nell’Unione Europea, una parte importante dell’economia continentale, considerato che costituisce l’1,5% del valore aggiunto lordo dell’UE-27 ed il 2,3 % dei posti di lavoro totali. L’accezione di Blue Economy adottata è la più estesa possibile, comprendendo tutte le attività legate al mare, sia che si svolgono direttamente nell’ambiente marino (prodotti ittici, trasporti marittimi etc.) che sulla terraferma (attività portuali, cantieristica navale, etc.). Le attività che partecipano alla Blue Economy si possono distinguere in consolidate, cioè tradizionalmente presenti nelle economie costiere, ed emergenti, cioè di nuova introduzione o ad alto contenuto innovativo.  Tra i settori consolidati si possono annoverare lo sfruttamento delle risorse marine viventi (pesca e acquacoltura) ed inerti (risorse minerarie dei fondali), energia marina rinnovabile (eolico), attività portuali, il settore della costruzione navale, i trasporti marittimi ed il turismo costiero. Nei settori emergenti invece si contano la produzione di energia dagli oceani (maree e correnti), la bioeconomia blu e le biotecnologie, l’industria della desalinizzazione, i minerali marini, la difesa, la sicurezza e sorveglianza marittima, l’Ocean Literacy (conoscenza e studio dei mari e degli oceani), le infrastrutture marine.

Il commissario per l’Ambiente Sinkevičius, con l’espressione “Non c’è Green Deal senza oceani, non c’è ripresa verde senza l’economia blu”, ha sintetizzato l’impegno dell’Europa per un’integrazione sempre piùprofonda tra economia del mare, transizione verde e sviluppo socioeconomico.

Nell’ottica del riconoscimento della Blue Economy quale settore integrato di filiere e competenze, l’Unioncamere e il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne per conto della Camera di Commercio Frosinone Latina hanno elaborato il Rapporto sull’Economia del Mare, giunto quest’anno alla sua X edizione. Negli anni si è accreditato come un punto di riferimento imprescindibile di istituzioni, associazioni e imprese per la definizione di visioni e politiche di sviluppo del settore.

In linea con le indicazioni dell’Unione Europea, il sistema camerale sta cercando da tempo di favorire la creazione di una rete degli utenti del mare, che accompagni la transizione dalla Crescita Blu ad un’Economia del mare sostenibile. Nel nostro Paese sono al varo importanti misure, previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le imprese dei comparti blu hanno intrapreso, già da qualche anno, investimenti green soprattutto nei processi di efficientamento energetico, nella riduzione delle emissioni, dell’utilizzo idrico, delle materie prime impiegate, degli scarti di produzione e dei rifiuti non riciclabili. Lo sviluppo green dell’economia del mare trova le sue ragioni da un lato nell’efficientamento aziendale e dall’altro nel rispetto dei traguardi e norme fissate a livello europeo e nazionale. La sfida attualmente va rilanciata a livello territoriale. È proprio infatti nei territori che possono attuarsi quelle che la Commissione UE definisce “iniziative partecipative locali”, volte a combinare la tutela e la rigenerazione delle risorse marine con la salvaguardia dell’economia, dell’occupazione e dei saperi del territorio.

Oltre ai fondi per la coesione, anche Il PNRR richiama fortemente il livello territoriale: negli investimenti per le isole verdi e per i borghi costieri, come centri di un turismo sostenibile non solo a livello ambientale ma anche in termini di valorizzazione del patrimonio sociale e culturale. Anche il FEAMPA (Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacultura) per il 2021-2027 è volto a portare innovazioni e competenze ai produttori locali (piccola pesca e acquacultura sostenibili) anche valorizzando i mercati di prossimità. Come evidenzia Antonello Testa, Consigliere Delegato all’Economia del Mare, della Camera di Commercio di Frosinone Latina, il fronte della formazione professionale è molto importante: i centri di eccellenza professionale possono contribuire a rispondere al fabbisogno di riqualificazione, riunendo un ampio spettro di partner locali, volti a sviluppare quegli “ecosistemi di competenze”, richiamati da diversi documenti programmatici europei e nazionali.

Con un prodotto di quasi 180 miliardi di euro a livello europeo (l’1,5 per cento dell’economia dell’UE) la Blue Economy assume una decisa centralità, anche per la sua complessiva capacità di attivazione economica e sociale.

Per il nostro Paese, terzo in Europa, la Blue Economy acquista un particolare rilievo non solo per le caratteristiche geografiche della Penisola, ma anche perché per vari aspetti rappresenta la chiave per uno sviluppo che superi le tradizionali dicotomie Nord e Sud.

Nelle sue diverse declinazioni e componenti, l’Economia del Mare è un comparto che incide sulla produzione complessiva in modo diretto per il 3,4 per cento, ma che grazie alla capacità di attivazione di filiera supera il 9% del PIL, giungendo a rappresentare circa 136 miliardi di euro. Il suo valore diretto è una volta e mezzo quello dell’agricoltura e quasi l’80% del valore aggiunto dell’edilizia, con una base imprenditoriale di quasi 225 mila aziende e una occupazione di circa 921 mila addetti.

Nel Mezzogiorno poi l’incidenza sul prodotto sale all’11,2 per cento, a testimonianza del ruolo di volano per la crescita di questo settore. La Blue Economy, per la forte incidenza della componente turistico-ricreativa, ha sofferto per la crisi pandemica ma ha anche dimostrato una forte capacità di ripresa. Nel 2020 il valore aggiunto si è contratto quasi per il 14 per cento, rispetto all’anno precedente, ma già nel 2021 ha segnato una crescita imprenditoriale superiore al dato medio nazionale.

Le componenti giovanile e femminile hanno un rilievo specifico nella Blue Economy. I giovani sembrano particolarmente attratti dalle varie componenti dell’economia del mare che, anche per effetto delle azioni previste dal PNRR, potrebbero diventare un ambito non solo di crescita imprenditoriale ma in generale di sbocchi occupazionali.

La filiera della Blue Economy si caratterizza per una particolare attenzione agli investimenti green, di fatto quasi il 30 % delle imprese ha realizzato iniziative a riguardo, ed anche per una forte propensione verso il digitale. Competenze digitali e green sono oggi un requisito richiesto dalla Economia del mare nella ricerca di professionalità.

Il quadro definitorio adottato dal Rapporto dell’Unioncamere si ispira ad una visione del fenomeno volta a coglierne le sue molteplici espressioni: dalla pesca e la cantieristica alle attività estrattive marine, all’ambito del turismo. Dal punto di vista dell’identificazione del perimetro territoriale, lo studio adotta il concetto, definito a livello comunitario, delle aree o zone costiere, abbandonando quello di comuni litoranei. Si allarga così il potenziale economico attribuibile al mare con il concetto di prossimità definito da Eurostat, per cui si ricomprendono quei comuni che hanno almeno il 50% della loro superficie entro una distanza massima di 10 km dal mare. La ricognizione attuata dallo studio mette in evidenza che il “Sistema mare” ha un effetto moltiplicativo: per ogni euro di valore aggiunto prodotto se ne attivano altre 1,7 nel resto dell’economia e ciò è maggiore nella movimentazione di merci e passeggeri via mare, seguiti dalla filiera della cantieristica e delle attività sportive. Proiettati su scala territoriale i dati ci dicono che il Sud è l’area che contribuisce di più alla formazione del valore aggiunto dell’economia blu, seguito dal Centro, dal Nord-Ovest e a distanza dal Nord-Est. Ma l’ordine si inverte se si analizza la capacità moltiplicativa.

 Le imprese blu, coinvolte nell’indagine, stanno attuando la transizione verde (una su due), poiché consapevoli del vantaggio competitivo e di immagine che ne deriva.

 La Blue Economy si conferma così come settore fondamentale nel processo di transizione ecologica, in quanto per raggiungere gli obiettivi del “Green Deal” occorre focalizzarsi anche sulla salvaguardia dell’ambiente marino, la conservazione dei suoi ecosistemi e della sua biodiversità.

di Rosaria Russo