“Svelarsi”, serata evento per sole donne all’Auditorium Parco della Musica in Roma

Foto per gentile concessione Maya Amenduni – Agenzia di Comunicazione

È andato in scena all’Auditorium Parco della Musica dal 10 al 17 gennaio 2024 “Svelarsi. Serata evento per sole donne e chi si sente tale”, drammaturgia e regia di Silvia Gallerano, di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini, Silvia Gallerano con il contributo di Serena Dibiase e la voce di Greta Marzano.

“Svelarsi” è uno spettacolo/esperimento/serata/happening/sabba/pigiama party/assemblea… qualcosa di indefinito e indefinibile, un momento di condivisione e di riflessione piuttosto allegro su temi come il femminismo, l’umiliazione, la rivalsa, il senso di colpa, l’autodeterminazione. É una serata per sole donne, che genera parecchie risate e una smodata sorellanza.

«Mi sento invasa dai consigli non richiesti, dal mio bisogno di sembrare sempre dignitosa, dai libri sul mio comodino.

Mi sento invasa dagli insetti, dalle cimici dalle ciglia indebolite, dai capelli, prodotti per capelli, capelli nel letto, per terra, capelli bianchi.

Mi sento invasa dall’elettricità, dalla luce e la luce al neon bianca dei negozi, dal riscaldamento a schiaffo quando ci entri, dal produci consuma produci consuma produci consuma.

Mi sento invasa dalla dipendenza dall’erba che non mi fa ricordare i sogni al mattino, dai mezzi pubblici la notte quando ci sono solo maschi a bordo, da mia madre che ancora mi sbuccia la frutta.

Ora io vi sembro piccola. Vi ingannate. Fra poco porterò 53 di piede. Le mie cosce misureranno 2 metri di diametro. I capelli cresceranno spessi come crini di cavallo. Gli occhi saranno talmente grandi che nelle orbite non ci staranno. Le mani, poi, saranno gigantesche e quando ne alzerò una per grattarmi la testa, scapperete via, terrorizzati. Sarò enorme (…) Non vi sembrerò più piccola. Sarò sconfinata».

Svelarsi è l’avvicendamento tra questi stati: un senso di invasione, una mancanza di spazio, una compressione, da una parte. La potenza, lo strabordare, la risata travolgente, dall’altra. La cultura patriarcale che ancora circonda e insegna alle donne, sin da piccole, a limitare i propri desideri di potenza, ad accettare invasioni di campo da parte dell’altro sesso (dove il campo è il corpo), a mettersi da parte e per senso di coercizione spesso a esplodere.

Diversi sono i vissuti da cui si parte i quali, però, hanno un fattore comune: di umiliazione, di mutilazione, di invisibilità. Messi insieme, tutti questi vissuti, si rivelano per quel che sono: semplici soprusi, spesso miserabili. Se ne vedono i contorni tragicomici, si impara a riderci su e a rispondere con una potenza che non è stata sopita.

Il lavoro di scrittura è un lavoro condiviso: ogni attrice ha scritto con le parole o con il proprio corpo la sua presenza in questo lavoro. La scrittura non è solo di parole, anzi è soprattutto una scrittura di corpi. Le parole a volte sono gli inganni, il rumore dell’abituale: i corpi, in questi momenti di svelamento rivelano la vera essenza, discorso non articolato ma presente.

Nelle note di regia Silvia Gallerano ha scritto:

«Solo corpi femminili: è questo l’esperimento. Si tratta di una chiamata. Risponde chi se la sente. Non è per tutti. È per chi ha voglia di incontrarci. Non ci mostriamo come animali di uno zoo. Accogliamo chi è interessata a rispecchiarsi. Ci sono parole. Tante. Che coprono, che proteggono i corpi. E poi ci sono i corpi. Così come li guardiamo allo specchio quando ci svegliamo. Prima di camuffarli per camminare in mezzo agli altri. Sai quando si dice: immagina una persona che ti fa paura mentre è nuda. Per smontarla. Per vedere che è composta dagli stessi pezzi che compongono te. Ecco, noi ci spogliamo proprio. I nostri pezzi li mostriamo tutti. E come i nostri corpi mostrati a pezzi, così si presenta il lavoro. Una composizione di quadri, fatti di immagini e parole. Una successione di tappe, per arrivare ad assemblare i giusti pezzi, per trovargli collocazione. Per trovargli visione.

Quello che mi è chiaro è che Svelarsi non è uno spettacolo e basta. Potremmo definirlo una miccia: un evento che accende delle curiosità, delle domande, una visione che interroga. Potremmo definirlo un pretesto: una scusa per trovarsi in una platea separata e osservare l’effetto che ci fa. A me piace chiamarlo esperienza o un’osservazione, perché è ancora aperta dentro di me la domanda di quale sia il risultato finale di questo percorso. Credo che possa essere scritto solo con le persone che vi assistono. Che lo spettacolo, se vogliamo chiamarlo così, sia la risultante dell’incontro sempre diverso tra chi è sul palco e chi è in platea; che quello che desideriamo non sia la realizzazione di un oggetto artistico chiuso e definito bensì indagare quella zona fluttuante nella quale i corpi che sono sul palco incontrano quelli che sono seduti in platea.

Perché Svelarsi è uno spettacolo evento per sole donne o chi si sente tale?

Lo sguardo maschile rimane fuori dalla sala per un po’, ci aspetta. Non è un desiderio di esclusione degli uomini, ma di un tipo di sguardo predatore, giudicante, sminuente. È uno sguardo che abbiamo tutte e tutti in diversa misura, è il frutto della nostra società fondata sulla supremazia maschile, secondo la quale chi non è maschio è meno: meno autorevole, meno importante, meno interessante. E come fare a levarselo di dosso? Noi abbiamo immaginato questo esperimento: creare un tempo e uno spazio in cui dei corpi femminili si trovano in una condizione anomala, non quotidiana. Per farlo ci concentriamo sui nostri corpi e sulle storie che si portano dentro.

Le donne che hanno assistito al nostro lavoro ci hanno detto tutte la stessa cosa: che era una novità ed un piacere il fatto di essere solo tra donne. Che questo permetteva una partecipazione al lavoro senza filtri, senza preoccupazione per il giudizio altrui, più spontanea. È qualcosa di cui non si parla molto, perché svela una debolezza, ma molte donne sono attanagliate dal giudizio maschile: giudizio sul proprio corpo innanzi tutto. Eliminare questa condizione quotidiana fa emergere quanto questo giudizio conti, quanto lo abbiamo introiettato dentro di noi, quanto ci limita e condiziona nella vita di tutti i giorni.

Queste due ore non sono una risposta o una soluzione all’invadenza di questo tipo di sguardo: l’esperienza che proponiamo solleva una questione, pone delle domande, evidenzia dei dati. Tornate nel mondo, dopo questa piccola pausa, siamo più consapevoli di quello che viviamo, e possiamo decidere che cosa fare di quello che abbiamo scoperto, intravisto, sentito.  Svelarsi è nato così, pensato per sole donne, per aprire un luogo che ci mancava, uno spazio un po’ clandestino in cui entrare lasciando a casa i ruoli, le posture, le bugie che interpretiamo ogni giorno. Perché viviamo ancora in una società patriarcale e trovarsi tra noi e ricordarsi che non siamo sole rimette la prospettiva di sé a posto. Perché ogni tanto bisogna osare esperimenti, anche scomodi, per scardinare i nostri stessi punti di vista. Perché così è e basta: è una scelta artistica e politica».

di Eleonora Marino