RIFORMA DELLA CONTRATTAZIONE

In attesa che con il 2013 si riapra la stagione contrattuale per i pubblici dipendenti, il Governo ha predisposto, mediante il nuovo accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali datato 22 gennaio 2009 tutta una serie di modifiche delle pregresse regole sulla materia stabilite con l’accordo del luglio 1993 che è stato oggetto di accesi dibattiti e contrapposizioni specie da parte sindacale, in quanto superato dai tempi e non più aderente al progressivo evolversi di situazioni che richiedono un immediato rinnovamento. Le novità introdotte con il provvedimento che si intende attuare prevedono che il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria abbia una durata triennale tanto per la parte economica che normativa, con l’individuazione per la dinamica degli effetti economici di un indicatore della crescita dei prezzi al consumo e assumendo per il triennio, in sostituzione del tasso di inflazione programmata, un nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA ( indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati). Inoltre è richiamata nel documento la verifica di eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto dei prodotti energetici importati e ammettendo il loro recupero solo per il settore pubblico al termine della vigenza di ciascun contratto nazionale.
La definizione del calcolo delle risorse da destinare agli incrementi salariali è demandata ai Ministeri competenti, previa concertazione con le organizzazioni sindacali, assumendo l’indice IPCA quale parametro di riferimento da applicare ad una base di calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiale e mantenuta invariata per il triennio di programmazione.
Successivamente, in data 30 aprile 2009, è stata sottoscritta dal Governo e dalle organizzazioni sindacali una intesa per l’applicazione del suddetto accordo quadro, recependone i contenuti e confermando un assetto della contrattazione collettiva su due livelli: il contratto collettivo di lavoro e la contrattazione di secondo livello, di amministrazione o alternativamente territoriale nell’ambito di specifici comparti o aree. In aggiunta nella stessa intesa sono stati fissati i seguenti termini: presentazione delle proposte sindacali almeno sei prima della scadenza del contratto, riscontro da parte dei destinatari entro venti giorni dal ricevimento ed inizio dei negoziati entro i tre mesi decorrenti dalla data di detta presentazione.
Questi i propositi innovativi che il Governo intendeva attuare per quanto riguarda i rinnovi dei contratti di lavoro, pur perseguendo una politica di austerità e di ristrettezze riguardo alla misura delle risorse destinate a tale scopo, ma sopraggiunta la crisi economica in campo mondiale esso, come è noto, ha deciso con l’emanazione della legge n.122 del luglio 2010 di adottare misure più drastiche quali il blocco di tali contratti fino al 2013, nonché il contenimento delle spese nel pubblico impiego attraverso considerevoli tagli effettuati sulle retribuzioni più alte.
Indubbiamente siamo consapevoli che nessuno si può sottrarre a questi sacrifici in quanto facente parte della comunità, ma le scelte operate dal Governo non ci sembrano eque perché a farne le spese sono sempre i soliti, cioè quelli che si trovano in fondo alla scala sociale e sono costretti ad indebitarsi per la sopravvivenza delle loro famiglie.
Ritornando sull’argomento che ci siamo prefissi di trattare, la riforma della contrattazione nel pubblico impiego, siamo molto perplessi circa le soluzioni ancora in embrione che sono state annunciate. Infatti i principi espressi negli accordi sottoscritti dalle parti contraenti necessitano di immediati elementi chiarificatori in merito ad alcuni aspetti essenziali alla base della determinazione degli incrementi contrattuali. Nel passato abbiamo sempre avversato il sistema sancito dall’accordo del luglio 1993 su tale determinazione ( media stipendiale di ciascun comparto per il tasso di inflazione programmata ), in quanto tale sistema non teneva conto delle peculiarità esistenti nell’ambito dell’impegno professionale di ogni lavoratore e in riferimento al potere d’acquisto si discostava sensibilmente dal valore reale del costo della vita. Quindi è necessario che la trattativa su questo tema inizi al più presto, in modo da evitare qualsiasi malinteso e si pervenga ad una radicale ottimizzazione del sistema relativo alla quantificazione delle somme messe a disposizione per i rinnovi contrattuali. Per la verità, la riduzione a quattro comparti prevista dal Dlgs 27 ottobre 2009 n.150 ed ancora in fase di discussione all’ARAN, sollecita una seria riflessione per risolvere il problema, in quanto tale accorpamento potrebbe non salvaguardare i lavoratori nei loro trattamenti preesistenti sul piano economico e normativo.
Ci chiediamo quale meta possa essere raggiunta a conclusione di questa fase interlocutoria. Il nostro obiettivo è quello di assicurare a tutti i dipendenti pubblici un minimo garantito che consenta loro di avere i mezzi sufficienti per una vita dignitosa, destinando risorse aggiuntive per remunerare ogni grado di professionalità, comprendente il merito e la produttività. Soluzione questa adottata con successo in altri paesi della comunità europea.