Psicopolitica: una riflessione di Byung-Chul Han

Un’infinita possibilità di connessione e di informazione ci rende veramente soggetti liberi? Byung-Chul Han, folosofo, nato a Seoul in Corea del Sud nel 1959, che insegna Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino, parte da tale interrogativo per tratteggiare quella che può a ben essere definita la società del controllo psicopolitico. Si tratta di una società che non si impone con divieti ed obblighi, ma che invita l’individuo a comunicare di continuo. Gli interessi di Byung-Chul Han vanno dall’etica alla filosofia sociale, dalla fenomenologia all’antropologia, dall’estetica alle comunicazioni di massa, in particolare nel campo dei cultural studies e in chiave interculturale, prestando attenzione a fenomeni globali e contemporanei.

Ha scritto in tedesco diversi libri, mettendo a fuoco concetti come Müdigkeitsgesellschaft (società della stanchezza) e Transparenzgesellschaft (società della trasparenza), coniando il neologismo shanzai per identificare i modi di decostruzione della società neo-capitalistica cinese.

Secondo l’autore di Psicopolitica, edito in Italia dalla Casa Editrice Nottetempo di Milano nel 2016, la libertà viene sfruttata dal sistema e gli abitanti di tale sistema comunicano intensamente l’uno con l’altro “denudandosi volontariamente” e contribuendo, in tal modo, alla costruzione del sistema stesso che utilizza  per il proprio profitto la divulgazione dei dati medesimi. Tale divulgazione non avviene in maniera costrittiva, ma sembra rispondere ad un bisogno interiore.

Tutto quanto è segreto o diversità rappresenta un ostacolo alla società della comunicazione illimitata. L’elettore, per esempio, in quanto consumatore non ha –  secondo Byung-Chul Han – alcun reale interesse per la politica, per la costruzione attiva della comunità. Tale elettore “reagisce solo passivamente alla politica, criticando, lamentandosi, proprio come fa il consumatore di fronte a prodotti o servizi che non gli piacciono. Anche i politici e i partiti seguono la logica del consumo: devono fornire. Perciò si presentano essi stessi come fornitori, che devono soddisfare gli elettori intesi come consumatori o clienti”.

Ci troviamo nella fase del “capitalismo dell’emozione” che, attraverso la comunicazione digitale, “favorisce una scarica immediata di affetto”. Nella fase neoliberale si ricorre alle emozioni come vere e proprie risorse per realizzare maggiore produttività e prestazione. “Il capitalismo emotivo, inoltre, introduce emozioni il cui scopo è suscitare un maggiore stimolo all’acquisto e più bisogni. Il design emotivo forgia le emozioni, plasma modelli emotivi per massimizzare il consumo. Oggi, in fondo, non consumiamo più cose ma emozioni: le cose non possono essere consumate all’infinito, le emozioni sì”.

Per l’autore la psicopolitica digitale sarebbe dunque in grado di impadronirsi del comportamento delle masse su un piano che si sottrae alla coscienza. Con il volume Psicopolitica il pensatore coreano ci offre degli assunti da approfondire, ma che fanno già parte del nostro presente. Ci dà anche una via d’uscita quando afferma che “La storia, il futuro umano non sono determinati dalla probabilità statistica, ma dall’improbabile, dal singolare, dall’evento”.

Nell’epoca dei big data Byung-Chul Han sostiene che tali “big data sono anche ciechi verso il futuro”. Senz’altro un volume da leggere e meditare.

di Carlo Marino

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