PROVACI ANCORA PROF !

Il Governo del Professor Monti ha varato il decreto legge sulle liberalizzazioni battezzato “Cresci-Italia”, la cui incidenza sulle sorti economiche e sociali del nostro Paese resta da dimostrare.

Ciò nonostante, con un pizzico di alterigia, gli stessi promotori hanno attribuito all’iniziativa un giudizio di valore definito “epocale”.

Se il decreto risulterà di portata storica al termine dello spazio di tempo che l’appellativo usato implica, potrà verificarlo probabilmente solo la generazione degli ex allievi del Professore o quella attuale degli altri docenti universitari, membri dell’Esecutivo.

Ai fini, invece, dell’innesco della crescita, per consentire l’emergere dell’Italia dalla palude in cui é invischiata, la “lenzuolata” di liberalizzazioni nel campo degli interventi pubblici che incidono su interessi economici e diritti di proprietà, uscita dal velleitarismo del primo tentativo del Governo Prodi, rischia di far emergere tutta la sua fragilità in tempi molto più ravvicinati.

Ciò non solo in quanto la crescita – a meno che non vi siano risorse pubbliche da destinare a promuoverla e nell’attuale ciclo recessivo dell’economia ultranazionale, non ce ne sono – di per sé non è qualcosa che può essere imposta per legge al mondo del lavoro e della produzione, ma soprattutto a motivo del difetto di risposta alla pregiudiziale domanda che nessun Governo o forza politica parlamentare si è mai posto, prima di affrontare un qualsiasi tentativo di riforma o modifica dello status quo determinato, in tema di lavoro e di relazioni sindacali, dalla mancata attuazione della normativa sulla “rappresentanza unitaria proporzionale a numero degli iscritti” prevista dal Titolo III, Rapporti economici della nostra Carta costituzionale.

Ci permettiamo con molta umiltà, da semplici addetti ai lavori a fronte della valentia professorale del Presidente del Consiglio, di sottoporre alla Sua attenzione una domanda e di avanzare una risposta, prima dell’esortazione che vorremmo rivolgergli a chiusura di questo articolo e per motivarla.

La domanda da tutti obliterata é: “A chi risale la responsabilità dell’involuzione competitiva, che impedisce all’Italia di trovare il punto di equilibrio tra sicurezza e flessibilità nei rapporti di lavoro subordinato, bloccando la riforma della legislazione che ora l’Europa pretende?”

La nostra schietta risposta é: la responsabilità non sta nel sistema codificato del rapporto lavoro, ma é in larga parte dei titolari del monopolio sindacale instauratosi in Italia, che ha dato origine al fenomeno della “concertazione a livello nazionale” in supplenza delle carenti funzioni esercitate dai partiti politici a difesa degli interessi generali dei cittadini e alla concentrazione di fatto della volontà contrattuale nei vertici di alcune delle Organizzazioni confederali di rappresentanza dei lavoratori subordinati.

La concertazione é il frutto di una conventio ad exludendum, in forza della quale alle Confederazioni CGIL-CISL-UIL (con l’appendice priva di consistenza dell’UGL) e ad esse sole, è riconosciuta – al di là della simulazione liturgica dei tavoli aperti anche alle restanti parti sociali – una specie di autorizzazione preventiva a partecipare al processo di elaborazione delle principali scelte, non solo in materia di diritto del lavoro ma anche su interventi di alta politica economica e sociale.

La condizione di privilegio e la rendita di posizione del monopolio sindacale non hanno bisogno di essere provate; sono nella realtà quotidiana e trovano addirittura difensori d’ufficio in sedi istituzionali elevate, con la giustificazione del mantenimento della “coesione sociale”.

La concertazione non ha mai avuto una regolazione per legge, é rimasta disciplinata dal Protocollo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993 e anche nel Pubblico Impiego – settore nel quale la rappresentatività sindacale é stabilita per legge – il comportamento concertativo dà luogo alla sovrapposizione della così detta “volontà politica” concordata dal monopolio in sede separata, alla contrattazione ufficiale che resta condizionata o viene ad essa assoggettata.

Le Organizzazioni dei datori di lavoro – Confindustria in primis, pur cominciando a perdere qualche pezzo come la FIAT – si prestano volentieri al gioco, anzi lo sostengono con tenacia interessata e mentre il Parlamento si è limitato a lasciare priva d’attuazione la normativa costituzionale, nessun Governo si è mai rifiutato fino ad oggi di praticare la concertazione con quella che, in parole molto chiare, non è altro che un’antidemocratica occupazione di potere contrattuale e politico da parte di una delle lobby, o se volete delle corporazioni più resistenti al nuovo in Italia.

Essa è riuscita persino a neutralizzare, con il diritto di veto interposto dalla CGIL, i limitati effetti che il Governo Berlusconi ha cercato di produrre con lo svincolo della contrattazione collettiva aziendale da quella nazionale, previsto dall’articolo 8 della legge n. 148 dello scorso mese di settembre.

Questo lo status quo, che un’effettiva riforma del diritto del lavoro e delle relazioni sindacali dovrebbe aggredire e sul quale il Governo tecnico é stato chiamato ad intervenire in forma ultimativa e senz’appello dall’Europa.

Per la verità, il Professor Monti ci aveva provato, appena insediato, a prospettare un nuovo sistema di confronto tra le parti sociali nel quadro della necessaria riforma del diritto del lavoro, tant’é che in molti si sono illusi che la concertazione fosse finalmente al tramonto e che nell’azione governativa sulla crescita fosse inclusa anche la riconduzione del gruppo di pressione nazionale che spadroneggia nel campo dei rapporti di lavoro, alla corretta dinamica relazionale.

Il Governo ha anche tentato inizialmente un confronto bilaterale “a spezzatino” sulla scia del dialogo sociale “con chi ci sta”, metodo praticato dall’ex Ministro del lavoro Sacconi, tradottosi nella temporanea divisione tra CISL-UIL da una parte e la CGIL dall’altra, ma la liberalizzazione appena dichiarata è stata subito riposta nel cassetto delle buone intenzioni che si ha paura di perseguire.

Un’inversione di marcia clamorosa, che ha visto protagonista convinta la nuova Ministra del lavoro Fornero, la quale ha di nuovo riaperto un confronto decisionale… al rallentatore esclusivamente con la rappresentanza sindacale monopolistica!

Ora, il Presidente del Consiglio sa bene che intervenire sul mercato del lavoro non solo é indifferibile perché qualcuno dall’Europa ce lo ha chiesto, ma perché la principale liberalizzazione anticorporativa per far crescere l’economia italiana concerne la regolazione innovativa dei rapporti di lavoro e l’apertura di maggiore spazio alla contrattazione aziendale, ripartendo dall’articolo 8 della legge n. 248/2011, condannato inesorabilmente dalla CGIL.

Intorno ad essa il blocco monopolistico sindacale si é ricompattato con la consequenziale esclusione delle altre Organizzazioni rappresentative degli interessi collettivi e tra queste dei Sindacati Autonomi, per tagliare al Governo ogni possibilità d’ampliare il consenso sul superamento dello status quo, introducendo le necessarie innovazioni legislative nei rapporti di lavoro subordinati e nella contrattazione.

Nel frattempo, c’é chi sta lavorando sodo per riconfermare il vecchio metodo della concertazione sindacale, tant’é che pesanti avvertimenti sono stati lanciati da forze parlamentari della maggioranza: “Il Governo non rompa la coesione sociale! Se l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori deve essere motivo di contrasto, meglio lasciare perdere!”

Ed allora, ecco il duplice invito, comportamentale e all’impulso legislativo, che viene presentato al Presidente del Consiglio da lavoratori subordinati, propugnatori del Sindacalismo Autonomo i quali, sottoposti ad una proterva discriminazione, rivendicano sin dalla frattura dell’unità sindacale del dopoguerra, l’attuazione della normativa Costituzionale sulla contrattazione del rapporto di lavoro e sulla rappresentatività sindacale.

Chieda gentilmente, Professor Monti, come impone il galateo, ma fermamente alla Signora Fornero, di finirla di “parlare” del problema dell’articolo 18, nella vana speranza di aggirare l’ostacolo di un veto della lobby sindacale o della sola CGIL.

Nella seconda ipotesi si ripeterebbe quanto già accaduto a suo tempo con la soppressione della scala mobile: un accordo del Governo con “chi ci sta”, la divisione solo apparente della “triplice” che conserverebbe la posizione di monopolio e la conferma della cinghia di trasmissione tra sindacati e politica di partito o di coalizione. In sostanza, nessun progresso nelle relazioni sindacali e nella contrattazione, con un fallimentare mantenimento dello status quo.

Certamente le emergenze produttive ed occupazionali cui il Governo sta cercando di porre rimedio sono tante, ma è anche tempo di mettere in soffitta la pratica della concertazione e dunque, il Presidente del Consiglio prescriva alla Ministra del lavoro un bel calcio di rigore contro il monopolio sindacale e liberalizzi le relazioni industriali, concretando da subito la Sua intenzione dichiarata di aprire a tutte le organizzazioni portatrici degli interessi collettivi un confronto democratico sul lavoro.

Assuma, inoltre, l’iniziativa di un disegno di legge per una disciplina organica d’attuazione del modello costituzionale di relazioni sindacali previsto dall’articolo 39, che sia coerente con le potenzialità di crescita del nostro Paese, affrancando il mondo del lavoro dal dominio del monopolio della triplice che ostacola l’innovazione, l’investimento imprenditoriale, la competitività e l’affermazione del merito.

E’ già stringente l’attenzione del Parlamento sulla necessità di regolare per legge il funzionamento dei partiti politici in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione; può bene il Presidente del Consiglio fare altrettanto con l’attuazione dell’articolo 39, per dare finalmente ai lavoratori italiani quella democrazia sindacale e contrattuale che non esiste ancora.

Non lasci perdere Professor Monti, ci provi ancora per il bene del nostro Paese.

Milioni di cittadini saranno grati al Governo tecnico che Lei presiede!