Pronuncia giudiziaria su un episodio verificatosi nella campagna vaccinale contro il Covid-19: fare domande al medico sul vaccino, non è per il GIP interruzione di pubblico servizio

“Una campagna vaccinale interamente caratterizzata da approssimazione e aporia, fondata sul presupposto della dichiarata situazione d’emergenza; Le domande sulle reazioni avverse non sono pretestuose; Basterebbe avere riguardo all’assenza di farmacovigilanza attiva ed all’incongruenza dei dati; Come noto, le scelte del decisore politico si sono rivolte a favorire il più possibile la campagna di vaccinazione, sulla base di presupposti di efficacia e sicurezza dei sieri assunti quasi come postulato, senza comprendere appieno cosa hanno accertato le agenzie regolatorie”.

Quelli che abbiamo riportato sono solo alcuni passaggi di una sentenza di non luogo a procedere, emessa lo scorso 22 settembre dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis, il quale ha così prosciolto due cittadini che si erano opposti alla richiesta di decreto penale di condanna nei loro confronti per una presunta interruzione di pubblico servizio, che sarebbe stata causata da una serie di domande rivolte al medico vaccinatore prima dell’inoculo, dilungatesi così tanto da indurre i sanitari a rivolgersi ai carabinieri.

Il GIP, però, ha valutato molto diversamente la posizione dei due cittadini, i quali avrebbero esercitato per il tramite di una serie di domande un loro legittimo diritto al consenso informato, tutelato dall’art. 32 della Costituzione. E non è tutto, perché lo stesso giudice ha rimesso la posizione del medico vaccinatore alla procura competente territorialmente, per valutare gli eventuali profili giuridicamente rilevanti, specie riguardo il presunto rifiuto di fornire le informazioni richieste sul famoso prodotto farmaceutico, poste dai due cittadini quale condizione imprescindibile per procedere (o meno) all’inoculo.

Il GIP, inoltre, parla nella pronuncia di farmaco sperimentale, aggiungendo che “i produttori hanno sottoposto al trattamento anche i soggetti appartenenti al gruppo placebo, così interrompendo il confronto randomizzato e controllato dei due gruppi, solo dopo fornendo gli ulteriori dati già acquisiti, evidenzianti la rapida diminuzione di efficacia per sostenere la necessità del cosiddetto booster”, riconoscendo così a maggior ragione il diritto a una piena e corretta informativa da parte del personale sanitario, pure disponendo se del caso (citiamo ancora): “gli esami necessari per valutare specificamente la compatibilità e l’utilità per il paziente sotto il profilo del rapporto tra il beneficio atteso e il rischio di eventi avversi. Questo è un riconoscimento del corretto rapporto rischi/benefici che non è mai collettivo, ma sempre personale”.

Lapidarie le conclusioni del magistrato: “il paziente che rivolge domande al medico per avere un consenso informato non turba né ostacola la regolarità del servizio vaccinale. Tutt’al più lo fa il medico che si rifiuta di dare risposte al paziente e che chiama le forze dell’ordine”.

Per la cronaca, per quanto concerne la posizione del medico vaccinatore la procura ha già chiesto l’archiviazione, ma restano fermi i contenuti di una pronuncia che farà discutere e che si discosta non poco, sia nei presupposti che nel merito, da quelle emesse dalla Corte costituzionale.

di Paolo Arigotti