“Pagare di più chi è utile alla comunità” – Rapporto Onu 2023 sulla Povertà Estrema

Olivier De Schutter, Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, ha presentato recentemente all’Assemblea generale dell’ONU il suo rapporto in cui esorta Stati ed aziende ad intervenire per rendere effettivo il diritto ad un salario equo.

Come afferma l’economista belga, relatore speciale alle Nazioni Unite su una materia così problematica qual è la povertà nel mondo, “il mondo va al contrario: i salari dovrebbero riflettere l’effettivo contributo dato alla società e non quello di generare profitti”

De Schutter evidenzia l’assurdità del nostro sistema economico, per cui i lavori più importanti per le comunità, specialmente per i più svantaggiati, come gli insegnanti, chi è impiegato nei lavori di cura e nella sanità, ricevono retribuzioni tra le più basse. Diversa è la situazione invece nei settori e nelle industrie che producono più danni alla società e all’ambiente. In questo rapporto De Schutter menziona il financial trading, le industrie dei pesticidi e degli idrocarburi, ma anche quelle delle materie plastiche e del tabacco, dove le remunerazioni sono alte o quantomeno adeguate.[1]

Tale prospettiva andrebbe capovolta, dando un giusto riconoscimento in termini salariali ma anche sociali e morali. Solo l’introduzione di un salario minimo in tutti i Paesi, anche in Italia, può contribuire a combattere il fenomeno del lavoro povero. La contrattazione collettiva a livello sindacale resta importante, ma solo se poggia su una base comune salariale, sufficientemente alta da contrastare povertà ed esclusione sociale. Nel mondo, almeno in un caso su cinque, il lavoro prestato non consente di sollevarsi dalla condizione di povertà o estrema indigenza. Il rapporto evidenza che anche gli incrementi di produttività, indicati spesso come la soluzione per migliori condizioni lavorative, non si traducono in retribuzioni più alte e ciò a causa del proliferare di forme di lavoro atipiche e dell’indebolimento della forza di azione delle organizzazioni sindacali. Il fenomeno del “lavoro povero” è in costante aumento: sono 712 milioni nel mondo le persone a cui il lavoro non garantisce un’esistenza dignitosa. Se in Africa il 54,8% dei lavoratori è estremamente povero, in Asia e nel Pacifico il 21,3%, mentre nel mondo occidentale si riscontra il 4,1% e nella UE i lavoratori poveri costituiscono il 10% della popolazione lavorativa attiva.

De Schutter ritiene che, in un mondo profondamente cambiato, diventi sempre più difficile una difesa efficace dei diritti dei lavoratori. La globalizzazione, la competizione tra i Paesi per l’abbassamento del costo del lavoro, l’automazione, la diffusione sempre più pervasiva di forme di lavoro atipiche, sono fattori che giocano a sfavore e che indeboliscono i lavoratori. Il rapporto evidenzia il peggioramento del quadro a causa della pandemia da covid-19 e l’esplosione dell’inflazione dal 2022. Nel 2020 la percentuale di lavoratori in povertà estrema è aumentata per la prima volta in due decenni passando dal 6.7% del 2019 al 7,2%, colpendo oltre 8 milioni di persone, soprattutto giovani e donne. I salari conseguentemente sono calati in termini reali, contribuendo ad acuire il già grave divario tra uomini e donne. Per l’economista belga l’emergere stesso della “gig economy” non è causale, ma si inserisce nella linea del lavoro con sempre meno garanzie. Il rapporto vuole mettere l’accento sul fatto che i salari sono il risultato dei rapporti di forza e che lo Stato ha il dovere di porsi dalla parte dei lavoratori.

In un precedente studio, presentato sempre all’Assemblea delle Nazioni Unite, De Schutter aveva parlato di “poverofobia” da bandire come il razzismo e il sessismo. Ormai la poverofobia è saldamente radicata nelle istituzioni pubbliche e private, in gran parte perché le posizioni decisionali sono ricoperte da coloro che provengono da ambienti ad alto reddito. Atteggiamenti e comportamenti negativi nei confronti delle persone che vivono in povertà sono pervasivi e dannosi, quanto le altre forme di discriminazione e come tali dovrebbero essere trattati. L’aumento globale dei prezzi dell’energia e del cibo ha gettato milioni di lavoratori e famiglie nella povertà, questi hanno il diritto di essere protetti non solo dalla condizione dell’indigenza ma anche dall’umiliazione e dall’esclusione sociale. Il pericoloso pregiudizio, per cui che le persone che vivono in povertà siano responsabili della loro condizione e quindi socialmente inferiori, richiede un deciso intervento per evitare che si traduca, come accade di fatto, in discriminazione per motivi socioeconomici, anche attraverso leggi come è stato fatto in molti Paesi per razza, sesso, età e disabilità.

De Schutter ritiene che la povertà non sarà mai eradicata, se la poverofobia può degenerare, limitando l’accesso all’istruzione, all’alloggio, all’occupazione e ai benefici sociali. Ancora una volta si pone la necessità che gli Stati mettano in campo effettive ed efficaci azioni di contrasto alla povertà salariale e a quella estrema.

di Rosaria Russo


[1] https://www.ohchr.org/en/press-releases/2023/10/wages-should-reflect-contribution-society-not-just-ability-generate-profit#:~:text=NEW%20YORK%20(20%20October%202023,trading%2C%20foss