Obbligo di vaccinazione nella sicurezza del lavoro? La sentenza della Corte di Strasburgo e la normativa italiana a confronto

Mentre in Italia il Presidente del Consiglio, Mario Draghi sta valutando di riaprire nelle prossime settimane piuttosto che chiudere, a Strasburgo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che le vaccinazioni obbligatorie possono essere considerate necessarie nelle società democratiche, in una sentenza storica dopo un ricorso presentato da alcune famiglie ceche contro l’obbligo vaccinale deciso dallo Stato. 

La sentenza della Corte sancisce che “Le misure possono essere considerate necessarie in una società democratica”, e afferma che la politica sanitaria della Repubblica Ceca sia stata coerente con “l’interesse superiore” dei bambini e non violi il diritto al rispetto della vita privata.

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Il ricorso ha riguardato “i vaccini somministrati contro malattie infantili ben note alla scienza medica, ovvero difterite, tetano, pertosse, infezioni da Emofilo dell’influenza di tipo b, poliomielite, epatite B, morbillo, parotite, rosolia e – per i bambini con specifiche indicazioni di salute – infezioni da pneumococco.

Secondo gli esperti la sentenza potrebbe avere anche implicazioni per qualsiasi politica di vaccinazione obbligatoria per il COVID.

In Italia l’art. 32 della Costituzione, noto come Principio della Tutela del diritto alla Salute del cittadino, sancisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Quest’affermazione del diritto di scelta individuale se accogliere o meno per sé stessi il vaccino, contrasta con l’interesse dello Stato alla tutela del diritto alla salute collettivo, affrontato mediante il Piano di vaccinazione che coinvolge tutti i cittadini. D’altra parte, il dettato costituzionale è chiaro, nessuno può essere obbligato, se non vuole, a sottoporsi al vaccino.

Questa dicotomia influisce anche sulla normativa relativa alla tutela della sicurezza sul lavoro, ponendo a contrasto il dettato costituzionale del secondo comma dell’art. 32 con la sicurezza dei lavoratori, che costituisce un obbligo imprescindibile per il datore di lavoro.

Si deve ricordare che secondo la dinamica imposta dalla gerarchia delle fonti, nessuna legge o decreto legge o DPCM, può travalicare il dettato costituzionale che è la fonte primaria del diritto in Italia, per questo motivo finora non è stata emanata alcuna legge o decreto legge che possa introdurre tale obbligatorietà.

Ciononostante, sussiste un precedente importante, che potrebbe aprire la possibilità ad una Legge di superare il dettato del secondo comma dell’art. 32 della Costituzione: la sentenza costituzionale n. 5/18 che ha decretato la legittimità costituzionale del Decreto Lorenzin sull’obbligo delle vaccinazioni a livello nazionale. Nel preambolo del decreto-legge, è affermata la “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”; nonché la necessità di “garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea”.

Il Decreto prevede dodici vaccinazioni obbligatorie e gratuite per i minori, fino a sedici anni di età, di cui otto non erano previste dalla normativa previgente: anti-pertosse, Haemophilus influenzae di tipo B, meningococcica di tipo B e C, morbillo, rosolia, parotite e varicella

Su queste basi, il Presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, e l’ex Presidente della stessa Corte, Cesare Mirabelli, hanno riaperto il dibattito sulla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale, non lasciando alcuno dubbio: la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere legittimo tale obbligo, prendendo i principi della sentenza n.5/18, ritenendoli utili per intraprendere l’introduzione dell’obbligatorietà del vaccino anti COVID, ipotizzando, per motivi di rapidità, un Decreto Legge, che ovviamente dovrà essere poi approvato dal Parlamento.

Pertanto, i due giudici costituzionali ritengono che la sentenza 5/18 della Consulta è stata avveniristica, in quanto, pur partendo da un contesto diverso, ha stabilito i principi in base ai quali, può prevalere l’interesse della salute pubblica sull’autodeterminazione dei singoli.

Probabilmente, se dovesse essere questa la piega della normativa, a breve i datori di lavoro potrebbero vedere l’attuazione di tale obbligo anche nella disciplina della Tutela della sicurezza sul luogo del lavoro, che prende il suo primo input nel dettato dell’art. 2087 c.c., che dispone che il datore di lavoro deve “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Da qui, a cascata, potremmo vedere applicato un obbligo di ferie dei lavoratori che rifiutano il vaccino o addirittura il loro licenziamento.

Restiamo quindi in attesa di vedere l’evolversi del dibattito ripristinato dai due giudici costituzionali e gli effetti della sopradetta sentenza di Strasburgo.

di Francesca Caracò