Nutrimento o autodistruzione?

In un’epoca in cui la nostra attenzione è rivolta all’osservazione della bellezza estetica e all’apparenza, nascono dei bisogni che sono imperativi sociali. La ricerca di sé è condizionata da modelli che ci spingono tra tisane dimagranti e palestre, tra mukbang, food porn e vomito. Siamo scatole da riempire, svuotare e scolpire. Troviamo una profonda disarmonia tra il corpo e la mente, uno scontro continuo ed incessante. La gratificazione che ci danno alcuni alimenti è fittizia, non riempie lo stomaco e non appaga il vuoto che (non) sentiamo, mi riferisco agli alimenti “iperpalatabili”, ovvero ipercalorici e appositamente studiati per stimolare a livello cerebrale le aree della ricompensa e del piacere, innescando così dipendenza.

Su YouTube i video a tema cibo sono onnipresenti: dal “What I eat in a day” a “dieta e allenamento”. Il cibo sembra essere ovunque, mentre ci dimeniamo tra l’offerta crescente di alimenti e la voglia di essere in forma, i social hanno cambiato il nostro modo di percepire, mangiare e interagire con gli altri: dobbiamo essere in forma e belli mentre siamo bombardati da immagini di cibo considerato pornografico. Questo genera confusione e frustrazione.

Negli ultimi anni i disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) hanno assunto un’importanza clinica e sociale di dimensioni rilevanti, nell’immaginario collettivo prendono forma condizioni gravi come l’anoressia o la bulimia, ma pensiamo al comportamento alimentare come ad un continuum che và da persone che  non hanno preoccupazioni per la propria immagine corporea e rispetto al proprio peso, a persone con condizioni patologiche: tra questi due estremi sono presenti diverse varietà e sfumature di condizioni e di approcci diversi al cibo. Alla base di un rapporto controverso con lo stesso troviamo dinamiche intrapsichiche, affettive, identitarie e traumatiche: c’è un’identità ferita da guarire.


All’interno della nostra società il comportamento di dieting rientra nella normalità, siamo abituati a tendere verso un ideale fisico proposto dall’esterno, soprattutto tra le fasce adolescenziali, le quali sono più sensibili ai messaggi che impongono un modello di bellezza che tende sempre di più alla magrezza.  In questo clima si innesca la sindrome della dieta cronica, definita come l’estrema pratica di seguire in maniera continuativa, e quindi in modo cronico, una dieta caratterizzata da una forte riduzione dell’introito calorico, eliminando sostanze nutritive necessarie per il nostro organismo, i carboidrati per primi. Una delle principali conseguenze del dieting è il cosiddetto effetto yo-yo: dopo una drastica perdita di peso dovuta alla rinuncia ai cibi desiderati per periodi prolungati, troviamo un rapido recupero del peso. Questo meccanismo di deprivazione si associa al fenomeno detto “restrizione-disinibizione” e causa un desiderio irrefrenabile nei confronti del cibo che si sta evitando, facendolo diventare un cibo proibito e portando l’individuo allo “strappo alla regola”.

Il nostro rapporto con il cibo è stato trasformato radicalmente dai social media che hanno introdotto due fenomeni attualissimi, quello del foodporn e del mukbang, i quali ci portano a riflettere su come il senso dell’alimentazione si sia allontanato in maniera disfunzionale da quella che è la soddisfazione di un bisogno primario, come quello di nutrirsi, e portano alla luce una variazione del cibo che può essere visto come estremismo, moda e ossessione.

Il Mukbang (dall’unione di due parole coreane, mangiare e trasmettere) è una pratica che prevede di ingurgitare grandi quantità di cibo di fronte a una telecamera: spesso mentre da una parte c’è un corpo abbuffato, dall’altra ce n’è uno affamato. La sensazione è che si sia perso il senso della misura, lasciando spazio alla solitudine che viene compensata dal cibo spazzatura.

Questi spettacoli sono pieni di risucchi e gemiti di piacere, ci piace guardare e sentire, ingozzarsi significa dissociare del tutto l’introito di cibo dalle sensazioni interne della fame fisica e della sazietà: non si è in contatto con sé stessi, né con l’altro. Guardare ed essere guardati, chi è visto viene spogliato della sua soggettività e ridotto a oggetto dello spettacolo altrui, in una forma di appagamento paradossale. Evidente è la componente perversa di questi fenomeni che destrutturano non solo le basi biologiche di istinti come la fame e la sazietà, ma anche il valore relazionale e sociale che il mangiare assume per gli esseri umani, con conseguenze autodistruttive.
Il cibo diventa godurioso e lussurioso, cibo e sesso in una danza, mangiare e godere: il Foodporn. Cibi colati e ricoperti di strati di cioccolato e creme, salse, merendine, condimenti e poi fritti, farciti, ricoperti e colati, sbrodolati e nauseanti. L’eccesso che ci fa perdere la coscienza e l’intimità delle cose. Un ingurgitare senza sosta, che mi porta alla mente l’iconica scena del senso della vita di Monty Phyton, dove il mangiare si trasforma in un atto meccanico. È uno stomaco tormentato che non trova pace, che in realtà ha fame di amore, dell’amore di sé.

di Giulia Celli