Nuovo studio del climatologo Nicola Scafetta pubblicato sulla rivista Geoscience Frontiers

Il tema del cambiamento climatico non cessa di far discutere, anche perché – nonostante una certa tendenza insita nel nostro mainstream vorrebbe veicolare un messaggio diverso – la questione circa natura e origine del fenomeno è tutt’altro che pacifica. Un studio recentemente pubblicato sulla rivista Geoscience Frontiers, a firma del prof. Nicola Scafetta, climatologo presso l’Università Federico II di Napoli, mette in discussione una serie di punti, a cominciare dalla valutazione AR6, il sesto rapporto curato dall’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), che riassume lo stato delle conoscenze sul cambiamento climatico, i suoi impatti e i rischi diffusi, concentrandosi sulla mitigazione e l’adattamento al fenomeno. Lo studioso definisce la valutazione, che si riferisce al secolo in corso, “allo stesso tempo allarmante e ambigua”, aggiungendo che “secondo le proiezioni computerizzate, la temperatura superficiale globale potrebbe aumentare da 1,3°C a 8,0°C  entro il 2100, a seconda del modello climatico globale (GCM) e dello scenario del percorso socioeconomico condiviso (SSP) utilizzato per le simulazioni. Si stima che i rischi effettivi del cambiamento climatico siano elevati e molto elevati se la temperatura superficiale globale aumenta, rispettivamente, di oltre 2,0°C e 3,0°C rispetto ai livelli preindustriali. Studi recenti, tuttavia, hanno dimostrato che un numero considerevole di GCM CMIP6 sono “troppo caldi” perché sembrano essere troppo sensibili al forcing radiativo, e che gli scenari di emissioni elevate/estreme SSP3-7.0 e SSP5-8.5 sono da rifiutare perché giudicati rispettivamente improbabili e altamente improbabili. Tuttavia, l’AR6 dell’IPCC si è concentrato principalmente su scenari allarmistici per la valutazione del rischio”. Lo studio del professore propende, piuttosto, per la tesi di un moderato riscaldamento globale nel XXI secolo. Si legge ancora nel documento che “secondo una recente ricerca, il macro-ensemble GCM che meglio ricostruisce il riscaldamento superficiale globale osservato dal 1980 al 1990 al 2012-2022 dovrebbe essere costituito da modelli caratterizzati da una bassa sensibilità climatica di equilibrio (ECS) (compresa tra 1,5°C e 3,0°C), in contrasto con gli intervalli ECS probabili e molto probabili dell’AR6 dell’IPCC rispettivamente a 2,5-4,0 °C e 2,0-5,0 °C”, ragion per cui il “riscaldamento globale della temperatura superficiale di 1,68-3,09°C entro il 2080-2100 invece di 1,98-3,82°C ottenuto con i GCM con ECS nell’intervallo 2,5-4,0°C”, con un ridimensionamento di circa un terzo delle previsioni e simulazioni effettuate. Il docente non le manda a dire agli esperti dell’IPCC: “Purtroppo, l’IPCC ignora tale modellazione semi-empirica del sistema climatico, sebbene sia stata sviluppata e discussa nella letteratura scientifica, e non dovrebbe essere respinta alla leggera dato che i GCM non riescono a riprodurre le oscillazioni naturali osservate durante l’Olocene. Non riproducono, ad esempio, nessuno dei periodi caldi dell’Olocene, come i periodi caldi romani e medievali, che indicano un’oscillazione quasi millenaria, un’oscillazione di quasi 60 anni e molte altre oscillazioni climatiche naturali. Anche questo tipo di modellazione empirica prevede valori di ECS molto modesti, compresi almeno tra 1 e 3°C, ma più probabilmente tra 1 e 2°C”, aggiungendo che “le proiezioni climatiche ottenute mostrano che il riscaldamento superficiale globale previsto per il XXI secolo sarà probabilmente moderato, cioè non superiore a 2,5-3,0°C e, in media, probabilmente inferiore alla soglia dei 2,0°C”. La conclusione è che, sempre ad avviso dello studioso, sarebbe “ giunto il momento di smettere di considerare gli scenari peggiori di cambiamento climatico (ad esempio, SSP3-7.0 e SSP5-8.5) come i risultati più probabili, perché solo scenari realistici e pragmatici, come SSP2-4.5 o SSP2-3.4, possono portare a politiche valide che possono essere accettate da tutte le nazioni”, anche perché “scenari a zero emissioni nette come SSP1-2.6 sembrano essere ugualmente irraggiungibili, poiché l’esaurimento dei metalli cruciali necessari per le tecnologie solari ed eoliche a basse emissioni di carbonio, così come per i veicoli elettrici e i relativi caricatori, sembra rendere impossibile la produzione di tecnologie a basse emissioni di carbonio sulla larga scala necessaria per sostituire i combustibili fossili” insistendo come i dati ripresi nello studio “mostrano che gli impatti e i rischi “realistici” del cambiamento climatico per il XXI secolo saranno probabilmente molto più moderati rispetto a quanto sostiene l’IPCC”, e affermando che “secondo il modello climatico semi-empirico proposto sopra, il sistema climatico probabilmente si riscalderà di meno di 2,0-2,5°C entro il 2080-2100, e in media di meno di 2,0°C, anche se viene implementato lo scenario moderato SSP2-4.5. Di conseguenza, gli scenari di decarbonizzazione rapida e di emissioni nette zero come l’SSP1-2.6 si rivelano non necessari per mantenere la temperatura superficiale globale al di sotto di 2°C per tutto il XXI secolo”. In effetti, a parere del professore “nonostante le previsioni secondo cui il sistema climatico continuerà a riscaldarsi per tutto il XXI secolo, non esistono prove convincenti di un imminente disastro globale causato dalle emissioni di gas serra provocate dall’uomo”, asserendo che “il futuro cambiamento climatico sarà sufficientemente modesto da consentire di affrontare in modo efficiente eventuali rischi potenziali attraverso strategie di adattamento efficaci e a basso costo, senza la necessità di attuare politiche di decarbonizzazione a zero emissioni rapide, costose e tecnologicamente probabilmente impossibili”. Per una presentazione dei contenuti operata dal docente rinviamo a questo video pubblicato sulla piattaforma di YouTube: www.youtube.com/watch?v=BEkcKgs1Nqk. Chiaramente non siamo qui per esprimere valutazioni scientifiche circa le quali ci mancano conoscenze e competenze, ma dovrebbero bastare queste poche righe per concludere che il dibattito scientifico sul tema esiste eccome, e merita approfondimento e confronto, non certo polemiche o, peggio ancora, censure di sorta.

di Paolo Arigotti