Lo sviluppo dell’eolico in Sardegna

Sono numerose le notizie concernenti la progettazione di nuove centrali eoliche in Sardegna, come quella di Serras, sita nel territorio dei comuni di Sardara, Villanovaforru, Sanluri e Lunamatrona, o quella di Luminu, che coinvolgerebbe i comuni di Barumini, Escolca, Gergei, Las Plassas, Villanovafranca, Genoni, Gesturi, Nuragus, a ridosso di aree naturalistiche come la Giara e il Monte San Mauro, nonché dell’area archeologica di Su Nuraxi (Barumini); molte di queste iniziative sono state oggetto di contestazioni, come quelle di associazioni ambientaliste (p. es. Italia Nostra, Gruppo d’intervento giuridico) e di diversi amministratori locali. E non è tutto.

Già si parla di un nuovo muro di pale eoliche destinato a sorgente di fronte ad alcune delle coste o località balneare più belle dell’isola, come Chia, Santa Margherita, Gallura, Sulcis, col coinvolgimento di molte imprese multinazionali e praticamente quasi tutto il territorio dell’isola, con “torri” in alcuni casi alte quasi quanto quella Eiffel, collocate in varie parti del territorio o a poche decine di chilometri dalla costa. Quel che è peggio è che la gran parte di queste iniziative non hanno visto il benché minimo coinvolgimento delle popolazioni e degli enti rappresentativi, che al più possono presentare – come la Regione Autonoma delle Sardegna – osservazioni o pareri, non vincolanti, nella fase preliminare, con particolare riferimento alla valutazione d’impatto ambientale e/o circa eventuali vincoli di ordine naturalistico o storico-archeologico. Molte di queste procedure, tra l’altro, hanno subito una forte accelerazione nel loro iter, secondo le previsioni della disciplina fondamentale (decreto legislativo n. 387 del 2003) e di una serie di provvedimenti di “semplificazione” varati dal Governo Draghi, che in sostanza hanno privato i vari enti (regione compresa) di qualunque ruolo decisionale. La Sardegna è, assieme alla Puglia e alla Sicilia, la regione maggiormente coinvolta dai progetti sull’eolico, favoriti dalle caratteristiche del territorio e del clima, soleggiato e ventoso, che potrebbe portare le tre regioni a coprire da sole circa il 90 per cento della produzione eolica nazionale. L’isola già oggi gode di una condizione di autosufficienza sul fronte dell’energia prodotta, producendo ben più del necessario (circa un terzo del surplus viene esportato sul continente), fatto che rende ancora più difficile comprendere il senso di una ulteriore espansione, che potrebbe in astratto determinare un’eccedenza stimata in 4 o 5 volte l’energia necessaria, oltretutto difficilmente esportabile per una serie di problemi di ordine tecnico e logistico. Giova ricordare, inoltre, che le bollette isolane sono le più care d’Italia, secondo i dati 2022. L’installazione delle nuove pale, peraltro, non regalerebbe nessun vantaggio economico ai territori coinvolti, ammesso che esistano forme di ristoro in grado di coprire i danni: un decreto del MISE del 10 settembre 2010 si limita a prevedere forme di compensazioni economica di natura ambientale, eventualmente da concordare in sede di definizione del procedimento autorizzativo, senza però prevedere vere e proprie erogazioni di ordine patrimoniale; a fronte di eventuali contributi economici (previsti in misura percentuale rispetto al “proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione) quindi il ristoro sarebbe quasi insignificante. In pratica, “grazie” a una serie di provvedimenti – in particolare, il decreto legislativo n. 199 del 2021 – si è data luce verde all’installazione di circa 1.500 nuove pale eoliche in tutta l’isola (si contano circa 300 progetti presentati per la sola Sardegna, con un ritmo di circa 30/40 alla settimana), con vantaggi più che altro per le multinazionali coinvolte, con quello che una testata nazionale definiva circa due anni fa il passaggio da “un modello economico territoriale ad alto contenuto occupazionale basato sull’agricoltura di qualità, sul turismo e sulla cultura, a un modello industriale specializzato nella produzione energetica alternativa, a basso contenuto occupazionale e ad altissimo rendimento.” Chiaramente non tutti i progetti sono destinati ad essere approvati, ma il solo fatto che l’iter sia stato avviato dovrebbe destare non poche preoccupazioni. Se si volesse parlare della storia di una nuova colonizzazione, stavolta energetica, dell’isola, il termine probabilmente non sarebbe fuori luogo. E qui non si tratta di essere contrari al progresso o alla tutela ambientale, ma di far sì che legittimi e condivisibili obiettivi vengano perseguiti nel rispetto del territorio e della sua popolazione, rigettando soluzioni calate dall’alto. Non mancano iniziative volte a contrastare alcune delle dinamiche in corso, come le già citate associazioni ambientaliste, mentre è attivo da tempo un gruppo Facebook e Telegram chiamato NO Furto eolico in Sardegna![1]. Il problema non è tanto o non solo l’esistenza di movimenti di opposizione, la cui azione riceve spesso sostegno dalla stampa locale, ma una sorta di “maledizione” che affligge l’isola: la mancanza di unità. Era il 1641 quando il diplomatico spagnolo Martin Carrillo, inviato nell’isola per conto del sovrano spagnolo Filippo IV, chiudendo la sua missione così si espresse sulle genti dell’isola: Pocos, locos y malunidos. I vari movimenti, comitati, associazioni, amministratori locali hanno svolto, e stanno svolgendo, un grande lavoro, tra convegni, opere di sensibilizzazione, ricorso alle vie legali, ma scontano forse l’assenza di un unico coordinamento e l’importante sostegno dell’opinione pubblica, senza contare il pericolo – e qui torniamo a Carrillo – che vede molti impegnati solo quando la questione investa il “cortile di casa”.  E gli strumenti di reazione non mancherebbero, almeno sulla carta. Come procedere all’adozione di tutti quegli strumenti di pianificazione e programmazione, con un ruolo centrale della Regione, per salvaguardare molte aree dal punto di vista naturalistico e archeologico, o fare ampio ricorso alle osservazioni e opposizioni, del pari previste dalla legge, che consentono a qualunque soggetto portatore di interessi – individuali o collettivi – di presentare memorie e documenti, che per quanto non vincolanti potrebbero mettere molta “sabbia nell’ingranaggio”. Qualche risultato, col blocco di diversi progetti (come quello di Barumini), lo si è già ottenuto, ma è ancora troppo poco. Un altro strumento assai utile sarebbe quello di incentivare e promuovere le cosiddette comunità energetiche, previste dal decreto Milleproroghe n. 162 del 2019, in attuazione della  Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE): si tratta di associazioni che includono cittadini, esercizi commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese, che mettono insieme le proprie forze per  “produrre, scambiare e consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale”, garantendo benefici economici (incentivi), ambientali (riduzione fonti fossili) e sociali, in una logica di autoproduzione e autoconsumo. Insomma, la protesta è necessaria, ma non sufficiente. Occorrono proposte, volontà di portarle avanti e unità nel perseguire gli obiettivi. In caso contrario, dopo tanti secoli, ci ritroveremmo a dover dare ragione al signor Carrillo.

di Paolo Arigotti


[1] www.facebook.com/groups/1169374160509328/