Lo scrittore Nicolai Lilin racconta Putin dalla prospettiva russa

Nicolai Lilin, pseudonimo di Nikolai Verjbitkii, è uno scrittore russo che ha pubblicato per i tipi di Piemme il libro da titolo: “Putin. L’ultimo zar”. È un volume di grande interesse perché non solo ricostruisce la vita sorprendente e la folgorante ascesa politica di Vladimir Putin, da una misera casa popolare di un quartiere criminale di Leningrado alla poltrona presidenziale del Cremlino, ma lo fa privo dei pregiudizi di un occidentale. Il quartiere dove visse l’attuale Presidente della Federazione Russa era uno dei tanti luoghi in cui regnava la dottrina sovietica di uguaglianza tra i cittadini che si traduceva nel rimescolamento dei ceti sociali, anche se il comunismo ufficialmente riconosceva un solo ceto sociale, cioè il proletariato. Nella realtà quotidiana le cose, però, andavano diversamente. Anche se il padre di Putin potrebbe essere considerato una persona normale, lavorava come fabbro, il nonno paterno Spiridon, che era diventato un rinomato chef, lavorò prima nella cucina della villa dei Lenin e poi in una delle ville di Stalin.

Con il suo peculiare stile, Lilin si spinge ad indagare non solo la storia ma anche l’animo di Putin. Come in un romanzo ne racconta le origini, ne descrive le trasformazioni, ne ricorda i talenti che lo hanno portato a diventare il personaggio che conosciamo: temuto, amato, discusso e divisivo. Un ragazzo a cui la strada ha insegnato a essere spietato e ambizioso. Un giovane uomo affascinato dalle avventure delle spie sovietiche che sogna di lavorare nel KGB.

È interessante quando lo scrittore racconta il crollo dell’Unione Sovietica e il caos che ne scaturì “L’Unione Sovietica stava crollando, e il paese era diviso in due fazioni. Da una parte quelli che si aggrappavano alla speranza che la grande potenza che per settant’anni si era spartita il mondo con il proprio avversario d’oltreoceano sarebbe rimasta in piedi e per qualche miracolo sarebbe passata attraverso la tempesta, conservando la propria struttura e la propria ideologia. I loro avversari, invece, non nutrivano nessuna illusione sul futuro della patria sovietica e ormai si comportavano come se già vivessero in un altro paese”.

Chi è Putin? Un uomo che vive dal di dentro la carneficina politica degli anni di Eltzin che l’autore definisce come “follia collettiva” (“definire follia collettiva ciò che accadeva in un paese che solo pochi anni prima partecipava da potenza mondiale alla corsa agli armamenti sarebbe offensivo per la scienza psichiatrica”) e che il vecchio Boris chiama all’ultimo accanto a sé. Il 31 dicembre 1999, ultimo giorno del ventesimo secolo, il Presidente Eltzin fece alla tv un discorso diventato famoso e spiegò al paese di dover abbandonare l’incarico per ragioni di salute, ma che avrebbe affidato il proprio ruolo ad una persona giovane e piena di energia. Era il momento in cui miliardi di dollari erano gestiti da privati, i cosiddetti “oligarchi” e portati all’estero. Putin seppe sfruttare la situazione di emergenza del paese e il diffuso bisogno di un “uomo forte” per ridimensionare e mettere sotto controllo proprio il potere degli oligarchi. Il presidente che, giunto al Cremlino, dovette fare i conti con un Paese in ginocchio e un apparato amministrativo obsoleto e corrotto. Intanto, i terroristi islamici occuparono una parte del Daghestan, proclamando il “califfato islamico del Caucaso”. Santificato o detestato, Putin è comunque oggetto di un culto della personalità che non ha eguali nel mondo contemporaneo. L’inizio della Presidenza di Putin per coloro che, come l’autore nacquero negli anni Ottanta del secolo scorso, coincise con il momento delle decisioni importanti. La figura e la retorica politica di quello che è stato soprannominato l’ultimo zar rappresentavano l’unico reale modello di comportamento politico, l’unica speranza per un futuro migliore. I russi hanno imparato a rispettare Vladimir Putin e hanno creduto nella sua visione del futuro e nella sua voglia di migliorare la Russia. “L’ultimo zar” di Nicolai Lilin ci offre la possibilità di comprendere la Russia di oggi che, purtroppo, continuiamo ad essere costretti a guardare, per parafrasare Joseph Conrad “con gli occhi dell’Occidente”.

di Carlo Marino

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