L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro

Si tratta dell’assunto di base dell’articolo 1 della nostra Costituzione, in base al quale la democrazia e il lavoro sono i valori che fondano il modello statuale che la Costituzione stessa definisce. L’articolo 35, invece, sancisce che il lavoro è tutelato in tutte le sue applicazioni e forme dalla repubblica, mentre l’articolo 4 prevede il riconoscimento del diritto al lavoro per tutti i cittadini; la repubblica, inoltre, promuove le condizioni in grado di rendere tale diritto effettivo.

La norma, quindi, comprende due commi diversi, che sembrano in contraddizione ma a ben vedere si integrano a vicenda: secondo il primo il lavoro è un diritto; per il secondo il lavoro è un dovere.

La repubblica, pertanto, riconosce il diritto del lavoro a tutti i cittadini. Come si vede, si fa riferimento alla repubblica e non allo Stato: non è un caso, poiché in questo modo vengono indicati nello stesso momento i pubblici poteri e la collettività, i quali sono coinvolti in una cooperazione concreta finalizzata a perseguire gli obiettivi.

Prendendo in esame la norma in questione, si può notare, pertanto, la connotazione duplice del lavoro, fermo restando che ogni cittadino ha la possibilità di decidere quale occupazione svolgere tenendo conto delle proprie facoltà e delle proprie inclinazioni.

Si tratta di una considerazione che per alcuni aspetti può risultare utopistica, a maggior ragione in un periodo storico come quello attuale che è caratterizzato da un mercato del lavoro più o meno saturo. Così, spesso ci si trova costretti a dedicarsi a occupazioni che non hanno nulla a che vedere con il percorso professionale scelto.

Avere inserito il diritto al lavoro nel novero dei principi fondamentali della Costituzione è stata una scelta mirata, e ovviamente il riferimento alla repubblica non è casuale. Va detto, però, che ai tempi la costruzione della norma fu accompagnata da un abbondante dibattito. In particolare, i Costituenti si domandarono per lungo tempo sulle modalità con le quali il diritto al lavoro dovesse essere riconosciuto, ma ci si chiese anche se fosse davvero necessario inserire una previsione di questo tipo nella Costituzione.

La paura era che la repubblica non sarebbe stata in grado di assicurare in modo universale tale diritto, e quindi non aveva senso dargli una copertura costituzionale. Il diritto al lavoro, in sintesi, corrisponde al diritto per il cittadino di chiedere un’occupazione allo Stato?

Cosa avviene quando il lavoro viene considerato un dovere? La Costituzione, e in particolare il suo articolo 4 al secondo comma, stabilisce questo dovere per tutti i cittadini. Le persone che ne hanno la possibilità sono tenute ad approfittare delle occasioni che vengono messe a loro disposizione dal mercato.

Il lavoro, secondo il punto di vista della Costituzione, consente agli individui di realizzare la propria personalità, ma al tempo stesso contribuisce alla vita di relazione delle persone. Senza dimenticare la realizzazione degli ideali di bene comune e progresso su cui i Costituenti hanno molto puntato.

È importante sottolineare che in base all’articolo 4 non sono solo le attività materiali a far sì che il lavoro si concretizzi; a questo scopo contribuiscono anche le attività che promuovono il progresso della società a livello spirituale e morale. Si può affermare, pertanto, che il lavoro è una specie di livella sociale, nel senso che tutti i cittadini vengono messi sullo stesso piano, dal momento che tutti servono al progresso collettivo, al di là della classe sociale a cui appartengono e al titolo che hanno.

Infine, il mercato del lavoro che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso le politiche passive/assistenziali e poco o nulla su politiche attive, formazione professionale e formazione continua, indispensabili ai fini di un invecchiamento attivo. Bisogna invertire la rotta con meno sussidi e più incentivi al lavoro, per poi sostituire gran parte degli anticipi pensionistici con il “secondo pilastro del sostegno al reddito”, vale a dire fondi di solidarietà, fondi esubero, contratti di espansione e isopensione. 

Anche qui il nostro Paese, che è tra i primi per aspettativa di vita, è arretrato nel progettare una vecchiaia in buona salute (ne sono la prova le troppe persone non autosufficienti). Duole osservare che da noi manca addirittura una normativa e una gestione pubblica e privata per affrontare questo fenomeno che si amplierà molto nei prossimi anni; peraltro, manca anche una legge organica sull’assistenza sanitaria integrativa che farebbe assai bene a tutti, finanze dello Stato comprese. 

Giusto dare flessibilità al sistema pensionistico ma è necessario migliorare di pari passo l’organizzazione del lavoro che, in Italia, è ancora arretrata. Non si può andare sui ponteggi, in fonderia, alla guida di mezzi pubblici e così via, oltre una certa età. Occorre semmai programmare la carriera lavorativa prevedendo, al crescere dell’età, il passaggio a mansioni sempre più consone all’anagrafe e allo stato di salute del lavoratore: necessità di cui imprese, sindacato e politica in questi ultimi anni non si sono mai occupati, ma che diventa improrogabile in presenza dell’invecchiamento della popolazione. 

 di Sossio Moccia