L’India futura superpotenza tra mille contraddizioni

L’India, il gigante asiatico che già nell’anno in corso potrebbe superare il primato cinese come nazione più popolosa del pianeta, si avvia a diventare una superpotenza economica e militare? Chiaramente a chi, come noi, ha studiato storia e geografia internazionale diversi anni fa, può apparire curioso, a tratti paradossale, che un paese che eravamo abituati a considerare estremamente arretrato e afflitto da gravi fratture e diseguaglianze sociali possa aspirare a far parte dell’olimpo delle grandi potenze.

Ma pensare questo significa non avere contezza di un concetto basilare: i tempi cambiano e i paesi evolvono. Un esempio viene dalla Cina, una realtà di cui abbiamo parlato in altri articoli. Del resto, riconoscere questo non significa negare che permangano – vale per l’India, come per la Cina – criticità importanti. Le due nazioni hanno in comune alcuni tratti, come la storia e tradizioni millenarie e la composizione multietnica, ma soprattutto importanti criticità: parlando dell’India ce ne siamo già occupati nell’episodio dedicato alla geopolitica della religione. Tralasciando questioni delle quali vi abbiamo già parlato, parleremo del processo di sviluppo economico, sociale e militare del subcontinente indiano. Tra le leve più importanti sulle quali il paese sta puntando, con l’obiettivo di contare sempre di più nel mondo che verrà, vanno annoverate le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Parlando in occasione del 75esimo anniversario dell’indipendenza, il premier Narendra Modi ha detto che entro il 2047, quando si celebrerà il centenario dell’indipendenza, l’India punta ad essere la prima economia del mondo per PIL pro-capite. In un certo senso, l’attenzione al centenario l’accomuna ancora una volta alla Cina, visto che il presidente Xi Jinping ha fissato al 2049 (quando ricorreranno i cento anni della Repubblica Popolare) l’obiettivo della riunificazione con Taiwan. Evidentemente per i due governanti asiatici, il centenario non dovrebbe essere solo un’occasione celebrativa, ma l’occasione per il raggiungimento di importanti obiettivi strategici.  Per il momento l’India, per bocca del ministro della Difesa Rajnath Singh, indica la necessità di: “… evitare una colonizzazione tecnologica o di essere soverchiata da altre potenze”. Un riferimento neanche troppo velato proprio alla Cina e (forse) agli Stati Uniti. Per parte sua, il premier Modi vorrebbe fare del suo paese il nuovo hub globale dell’IA (intelligenza artificiale). E l’applicazione e l’estensione delle nuove tecnologie ha investito settori strategici, a cominciare da quello sanitario, specie nella fase pandemica, in un paese che ancora oggi ha 64 medici (contro una media mondiale di 150) ogni 100 mila cittadini e investe ancora troppo poco nell’assistenza, specie appannaggio delle zone rurali, dove risiede la maggior parte della popolazione. Lo sviluppo del welfare e l’impiego delle nuove tecnologie anche nell’economia (agricoltura e industria) potrebbero, oltretutto, fungere da collante in un paese ancora fortemente diviso al proprio interno, nel quale permane un netto divario (un ulteriore parallelo con la Cina) tra città e campagne e tra le differenti fasce sociali: si calcola che circa un quarto degli indiani viva ancora in condizioni di povertà, nonostante parliamo della quinta economia del pianeta, che non solo scalzato il primato dell’ex madrepatria (lo UK), ma che potrebbe divenire addirittura la terza, stando a diverse proiezioni, entro il prossimo decennio. Un altro elemento che la dice lunga sulle fratture sociali interne è quello legato all’ indice di sviluppo umano: l’India si colloca ancora in posizioni molto basse(132esima). Anche le disparità di ordine linguistico e religioso, con migliaia di gruppi etnici, rappresentano ancora oggi importanti fattori divisivi. Lo sviluppo economico e tecnologico (il paese è il secondo produttore manifatturiero di telefonia cellulare), in questo senso, viene visto dal governo Modi, come l’opportunità di un nuovo e importante collante della società, assieme all’altra leva, quella del nazionalismo indù. Come leggiamo su Limes, quel che i governanti di New Delhi hanno di mira sarebbe: “un’identità nazionale in cui l’unica casta è l’indianità, l’unica religione è il dharma del servizio e del dovere, l’unico Dio è Madre India.” Il ricorso, specie negli ultimi anni, a miti del passato viene utilizzato per enfatizzare e cementare un’idea di nazione, che avrebbe dato origine ad alcune tra le più importanti conquiste della civiltà moderna, come ad esempio l’etica, la matematica, la medicina, la fisica, perfino Internet. Sempre su Limes leggiamo che l’India: “nei prossimi anni è destinata a distanziare ulteriormente Canada, Corea del Sud e Italia agganciando il quartetto formato da Regno Unito, Giappone, Francia e Germania che insegue a distanza Usa e Cina.”, con importanti investimenti e agevolazioni normative che investono settori come istruzione e produzione interna. Il fare leva sul nazionalismo di matrice induista, inoltre, potrebbe rivelarsi utile (o ingenerare nuove e importanti divisioni, a seconda di come la si veda) per rapportarsi con la componente islamica. Tralasciando i tradizionali rapporti molto tesi col vicino Pakistan, ricordiamo che l’India ospita al proprio interno, con circa 200 milioni di fedeli, la terza comunità islamica del mondo. Pur guardando con sospetto tutte le mosse di Islamabad, compreso il recente avvicinamento al nemico cinese, resta Pechino il vero problema ai confini (e non solo). E la Cina non si mai dimostrata condiscendente con gli indiani, per esempio opponendosi a qualunque proposta circa l’ingresso permanente di New Delhi nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. In ottica anticinese può essere letto anche il recente rafforzamento della cooperazione militare e tecnologico col Giappone, che da un lato mira a soddisfare le reciproche ambizioni di sviluppo e dall’altro ha indubbiamente una funzione di contenimento nei confronti di Pechino. La difesa resta per ora l’anello debole per qualunque ambizione di potenza: l’India spende attualmente un quarto dei cinesi, nonostante le storiche schermaglie tra i due vicini sia ai confini himalayani, che nell’oceano Indiano. Eppure, risale ad agosto scorso la notizia di esercitazioni militari congiunte che hanno coinvolto varie nazioni asiatiche, tra le quali Russia, Cina e India, con la precisazione del ministro della Difesa di Pechino che le stesse «non hanno nulla a che vedere con la situazione internazionale». Le famiglie indiane (che ne hanno la possibilità), consapevoli del mutare dei tempi, spingono i propri figli verso studi tecnico-scientifici che garantiscono migliori opportunità di lavoro, che spesso portano i giovani indiani a recarsi all’estero: sono migliaia gli indiani emigrati negli USA, secondi per numero solo ai cinesi, ai quali li accomuna una spietata selezione dei migliori talenti. Ma il fatto è che tra i gruppi etnici presenti in America, gli indiani prevalgono per il rilievo delle posizioni rivestite (spesso di rango dirigenziale), per reddito e per il livello d’istruzione, nell’ambito di settori importanti come sanità e tecnologia. In un certo senso può sembrare singolare questo forte rapporto con gli americani, visto e considerato che storicamente gli indiani – specie nel periodo della guerra fredda – si erano dimostrati assai più vicini all’Unione Sovietica, senza per questo mai abbracciarne il modello politico ed economico. Una spiegazione può venire dal fatto che gli statunitensi cercano, non è un mistero per nessuno, di usare l’India in funzione anticinese, approfittando dei ben noti contrasti tra le due nazioni. Eppure, di fronte alla principale crisi internazionale oggi sul tappeto, la guerra ucraina, l’India ha scelto ed è rimasta fedele a una linea di sostanziale neutralità, astenendosi in occasione delle diverse votazioni in seno all’ONU. L’unico passo politico di una qualche importanza è stato quello di Modi presso Vladimir Putin, per sollecitare una soluzione negoziale, ritenendo che la guerra non sia funzionale ai suoi interessi (una posizione non tanto diversa da quella assunta dalla Cina popolare). Il tutto senza mai compromettere le importanti relazioni economiche con l’America, che resta il primo partner commerciale per importanza, seguita dalla Cina; anche nel settore della IA la cooperazione con gli statunitensi è forte, pur non escludendo altri attori come Germania, Giappone, Israele e Regno Unito. A dimostrazione dell’estrema flessibilità della politica di Nuova Delhi, va ricordato l’aumento considerevole delle importazioni di petrolio e di altre materie prime (per esempio carbone o fertilizzanti) dalla Russia, che a sua volta acquista dagli indiani prodotti farmaceutici, the e caffè. In pratica, l’India approfitta delle condizioni internazionali per procurarsi energia a prezzi contenuti e per sviluppare nuovi traffici, magari con l’idea di porre un freno all’avvicinamento di Mosca a Pechino. E, al proposito di realpolitik, anche per la Russia l’India resta preziosa, non foss’altro per: “contenere il peso dell’«amico senza limiti» cinese, e per sviluppare le reti commerciali eurasiatiche necessarie al Cremlino per affrontare i prossimi anni, consapevole che l’amica India gioca anche nel campo avversario e che il suo peso specifico nell’arena internazionale non è più quello modesto dei tempi sovietici.” Come leggiamo su Italia Oggi: “Nessuno dovrebbe stupirsi che l’India continui a stare con la Russia», ha scritto sul sito di Al Jazeera il danese Somdeep Sen, studioso di geopolitica e docente all’università di Roskilde, in Danimarca. «L’India vuole mantenere un rapporto positivo con la Russia perché ha bisogno del sostegno di Mosca per risolvere i suoi conflitti territoriali con i vicini, in particolare con la Cina. New Dehli vuole anche continuare a godere del sostegno economico e militare della Russia, poiché la Russia ha ripetutamente sostenuto l’India alle Nazioni unite su questioni come il Kashmir, e molti indiani si sentono come se ora fosse il loro turno di restituire il favore».” E le contraddizioni, o meglio la capacità di curare i propri interessi senza prendere posizioni preconcette, la rinveniamo anche in altre mosse politiche. L’India se da un lato fa parte dei BRICS (assieme, tra gli altri, proprio alla Cina), dall’altra sottoscrive il QUAD, accordo militare con USA, Giappone e Australia in funzione anticinese, consapevole della necessità di alleati per confrontarsi con il potente vicino.  In sostanza, quella indiana si presenza come una politica fortemente pragmatica, che gioca su più tavoli, con l’ambizione di fungere da “ponte” tra i due blocchi nascenti; un atteggiamento che si è ben visto quando l’India ha consentito alle banche russe di operare suo territorio, aggirando la loro esclusione dal circuito dei pagamenti dello SWIFT. Ricordiamo, inoltre, che approfittando dell’aumento dei prezzi del grano causato dal conflitto russo-ucraino, l’India, che è il secondo produttore mondiale del prezioso cereale, ha bloccato tutte le esportazioni, riservandosi il diritto di venderlo ai paesi di sua scelta, la maggior parte dei quali collocati nel sud del mondo (come Myanmar, Nepal e altri stati del sud est asiatico): in sostanza, New Delhi sta usando i suoi cereali come arma geopolitica, per contrastare l’espansionismo cinese e garantirsi il proprio estero vicino, divenendo una sorta di “riferimento” per una certa parte del mondo. A noi sembra che una delle sintesi più efficaci della realtà indiana sia quella fatta da Inside Over: “Un gigante dalle mille contraddizioni. Forse è questo il modo migliore per descrivere l’India, un Paese enorme, un sub-continente, con più di un miliardo di abitanti e che si divide fra un progresso tecnologico senza precedenti e una cultura millenaria fatta di grande spiritualità ma anche di tabù, miseria e violenza. L’India di questi anni si sta affacciando al mondo con la volontà di essere una potenza riconosciuta dai partner internazionali e cerca di contrastare lo strapotere della Cina in Asia. Ma deve fare i conti con una delle popolazioni più vaste, difficili e complesse del pianeta.”

di Paolo Arigotti