E’ stata chiamata clausola di salvaguardia, ma in realtà é una formula ricattatoria imposta dal Governo ai lavoratori per la copertura finanziaria della riforma pensionistica e per far quadrare i conti pubblici: o vi fate “ristrutturare” gli enti conglobandoli nel SuperINPS o subirete un aumento della contribuzione previdenziale!
La clausola è inclusa nel Protocollo d’intesa su previdenza, lavoro e competitività del 23 luglio scorso, dichiarato preventivamente immodificabile sia dal Governo, sia da CGIL/CISL/UIL ed è stata ingiunta al restante mondo del lavoro pena l’esclusione dal successivo confronto tra le parti sociali.
La CISAL, per parte sua, non ha mancato di rappresentare, anche di fronte alla Commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali, la mancanza dei presupposti di un accorpamento indirizzato esclusivamente alla riduzione della spesa, ma l’intangibilità dell’intesa preclude ogni possibilità di modifica, se non in sede parlamentare.
Leggiamo insieme il testo del Protocollo d’intesa su previdenza, lavoro e competitività del 23 luglio scorso: “Il Governo s’impegna a presentare entro dicembre un “piano industriale” volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi e a conseguire nell’arco di un decennio risparmi finanziari per 3,5 miliardi di euro. A partire dal 2011, esclusivamente come elemento di garanzia, é previsto l’aumento dello 0,09% dell’aliquota di tutte le retribuzioni soggette a contribuzione..tale incremento non verrà attivato nel caso in cui il processo di razionalizzazione assicuri con certezza il conseguimento di risparmi in grado di garantire l’obiettivo…”.
Il meccanismo di compensazione é lineare nella sua perversità: l’eventuale mancata riduzione della spesa deve essere supplita da un incremento delle entrate, ma qui casca l’asino, quali entrate?
Quelle della retribuzione differita, che da tempo immemorabile tutte le forze politiche a parole riconoscono troppo elevate e nei fatti, a causa della malversazione che se ne fa, é più semplice aumentare di continuo che gestire correttamente con un rendimento finalizzato alla tutela nella vecchiaia di chi le ha accantonate durante la vita lavorativa.
In meno di un anno – cuneo fiscale in crescita a parte – la contribuzione previdenziale è stata portata dal 32,7 al 33 per cento, è stata attivata una nuova trattenuta del 0,35 per cento della retribuzione contributiva per l’accesso dei dipendenti pubblici alle prestazioni creditizie INPDAP ed è già annunciato quest’ulteriore aumento estorsivo – in seguito ne spiegheremo il perché – del cuneo contributivo.
La conseguenza é che aumenta ancora il prelievo forzato delle risorse per la previdenza a carico dei lavoratori e diminuisce il potere d’acquisto della loro retribuzione netta.
L’incidenza del carico fiscale e contributivo sul PIL in Italia già superava, escludendo il peso di un’incivile evasione, la media dell’Europa sia a 13 che a 27 Paesi e di recente l’OCSE ci ha di nuovo chiesto di alleggerire la tassazione complessiva sul lavoro, che oltrepassa nel nostro disgraziato Paese il 50 per cento del costo del lavoro totale.
Oltre la metà della spesa sociale continua ad essere finanziata dalla contribuzione previdenziale e la stessa OCSE sottolinea che per l’Italia “sarebbe importante aumentare la proporzione delle imposte generali nel finanziamento della spesa sociale e ridurne la dipendenza dalla tassazione del lavoro”.
E’ l’anomalia, tanto nota quanto volutamente obliterata, della mancata separazione tra le fonti di finanziamento e gestione della previdenza dall’assistenza sociale, male coperta dalla proclamata necessità di solidarietà del sistema.
Questa affermazione fa il pari, quanto a buona fede, con l’altra messa in circolazione all’indomani dell’intesa tra Governo e Confederazioni sindacali dalla stampa confindustriale: “La separazione tra assistenza e previdenza é una clamorosa mistificazione del dibattito previdenziale”.
Ma torniamo al Protocollo d’intesa e per tentare una risposta all’occulto perché della clausola di salvaguardia, soffermiamoci sul “piano industriale volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi per conseguire i risparmi di spesa. Tale piano – c’é un’apposita scheda – individuerà le sinergie tra i vari enti (sedi, acquisti e forniture, sistemi informatici, uffici legali) al fine di produrre nel breve periodo i risparmi sopra evidenziati”.
Che “nel breve periodo” tre miliardi e mezzo di risparmi possano scaturire dalla “razionalizzazione” viene da dubitare, in mancanza della pregiudiziale scelta di un qualsiasi modello di organizzazione e di gestione della concentrazione nel SuperINPS di funzioni le più eterogenee e la domanda sorge spontanea: che razza di piano industriale é mai questo?
Gli enti previdenziali, già sotto rapina delle risorse contributive dirottate sistematicamente ad altri fini, sono stati massacrati nella loro efficienza dalla confusione e dagli equivoci del modello duale con le sue interferenze tra Consigli d’amministrazione che rispondono esclusivamente al Governo che li nomina e CIV, Consigli di indirizzo, carenti persino di adeguati flussi informativi sulla gestione e privi di poteri per compierne una qualsiasi attività valutativa, non sovrapponibile al controllo dei Collegi sindacali.
Non bisogna dimenticare che l’ipertrofia organizzativa del modello duale é stata indotta, nei primi anni novanta, dalla fuga della rappresentanza sindacale confederale dai Consigli di amministrazione degli enti previdenziali per non incappare nelle maglie giudiziarie di Tangentopoli.
Evidentemente, sul mantenimento del meccanismo deresponsabilizzante della gestione dei contributi previdenziali – che al contrario dovrebbe essere affidata in via esclusiva all’autonoma rappresentanza del mondo del lavoro – convergono gli interessi della concertazione tra Governo, Confederazioni sindacali e Confindustria!
Ecco perché la ristrutturazione degli enti, iperbolicamente denominata piano industriale, tale non potrà essere nemmeno lontanamente e con ogni probabilità si risolverà in un gigantesco agglomerato, nel SuperINPS, di funzioni previdenziali, assicurative e assistenziali, d’incerto rendimento nella riduzione degli sprechi nella spesa sociale, in crisi crescente di agibilità e d’impossibile controllo di efficienza da parte dei lavoratori.
Signori del Governo, i piani industriali lasciateli agli imprenditori; l’INPS é un ente previdenziale, cui restituire regole di efficienza direzionale e responsabilità gestionale, non da assoggettare alla concertata degradazione ad istituto nazionale di beneficenza, succursale del Ministero del Welfare.
Chi è rimasto incastrato dal Protocollo d’intesa sono, purtroppo, i lavoratori; sapranno essi forzare la trappola, ricercando una via d’uscita?
Le elezioni per il rinnovo delle RSU sono vicine e forniscono ai pubblici dipendenti un’occasione da non perdere per bocciare i sostenitori di SuperINPS!