L’Enciclica sociale “Fratelli tutti”: Papa Bergoglio in dialogo con tutte le persone di buona volontà

Sin dal saluto che il 13 marzo 2013 dalla Loggia delle benedizioni Jorge Bergoglio rivolse al mondo “Fratelli e sorelle, buonasera” e ancor più dalla scelta del nome di Francesco, il Papa ha manifestato di volersi ispirare al poverello d’Assisi.

Significativamente lo scorso 4 ottobre nella città umbra, scrigno di tesori artistici e spirituali, Bergoglio ha scelto di firmare sulla tomba di San Francesco questa nuova enciclica. Si tratta della terza lettera del suo pontificato, che trae ispirazione dall’invito del Santo ad una fraternità aperta, senza barriere spaziali o temporali.

Agli uomini e le donne della sua epoca San Francesco si rivolgeva con le parole “Fratelli tutti”, tracciando un cammino di pace e vicinanza verso tutti gli esseri viventi, in particolare verso gli emarginati e gli ultimi.

foto Enciclica di Rosaria Russo

Papa Francesco apre, quindi, con questo documento magistrale uno spazio di riflessione sulla fraternità universale e l’amicizia sociale, traendo spunto dagli scritti e dagli insegnamenti del patrono d’Italia, ma anche da uomini come Martin Luther king, Desmond Tutu, il Beato Charles de Foucauld ed il Mahatma Gandhi.

Il Pontefice ci consegna questa Enciclica come un umile apporto, perché si reagisca alla cultura dello scarto, che domina ormai la nostra epoca, ai diversi modi di ignorare o eliminare gli altri, con un nuovo sogno, che renda tutti protagonisti e tessitori di relazioni sane, giuste, felici.

Il linguaggio di questo testo è diretto, intimo, semplice, a tratti direi accorato: otto capitoli suddivisi in 287 paragrafi, che si concludono con due preghiere, con il quale il Papa cerca una luce in mezzo alle ombre di un mondo chiuso.

La pandemia del Covid-19 ha fatto irruzione mentre il Papa si dedicava a questa lettera, con il supporto delle conferenze episcopali locali e di singoli esperti, mettendo in evidenza l’incapacità di agire insieme, acuendo tutte le crisi già in atto nel mondo dell’iperconnessione e della frammentazione.

Nel primo capitolo l’attenzione è rivolta a quegli aspetti della realtà attuale, ad alcune tendenze e storture, che minano la pacifica convivenza tra i popoli.

L’economia globale, che pretende apertura e libertà, ma solo per gli interessi della finanza e dei potentati economici, impone e pervade con un modello culturale, che divide le nazioni e le persone, svincolandosi dall’idea di bene comune e dalla dimensione comunitaria dell’esistenza. Sono in atto nuove forme di colonizzazione culturale e di perdita di senso della storia, che provocano ulteriori disgregazioni e conflitti. Il Papa insiste sulla manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà e giustizia, unità. Essi diventano strumenti di dominio, vuoti contenitori, con i quali si semina la mancanza di speranza e si suscita sfiducia costante.

I diritti umani non sono sufficientemente universali, dice Bergoglio, persistendo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a scartare, sfruttare e persino uccidere l’uomo. Tutto ciò non può che produrre sempre nuove ed aberranti schiavitù, ma anche lacerazioni, rivolte ed infine il moltiplicarsi di situazioni di violenza, conflitti locali, con i quali si sta combattendo quella che più volte Papa Francesco ha definito la “terza guerra mondiale a pezzi”.

Esiste un cammino di speranza, una strada praticabile per favorire uno sviluppo umano integrale, che faccia fiorire la creatività, l’intraprendenza e tutto il potenziale di donne e uomini e società. Negli altri capitoli dell’enciclica il Papa suggerisce appunto la strada dell’amore fraterno e quella dell’amicizia sociale, l’azione individuale da un lato e dall’altro quella collettiva, che chiama in causa politica ed organismi sovranazionali.

Alla cultura dei muri, della comunicazione che denigra l’altro, dell’indifferenza, del voltare le spalle al dolore, si può contrapporre l’esempio di chi non si volta dall’altra parte, il buon samaritano, che si fa prossimo, solidale dell’uomo ferito. In una società malata, Papa Francesco ci invita tutti, credenti e non, a farci carico dell’altro, superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. Essere fratelli tutti significa concretamente accettare una serie di sfide, che ci smuovono e ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte. Far propria anzitutto l’idea che i diritti non hanno frontiere e che quindi nessuno può esserne escluso. Fraternità e amicizia sociale significano far proprio il principio, che i diritti promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana. Papa Francesco ci invita a pensare in grande, a desiderare e farci costruttori di un pianeta pacificato, che assicuri terra, casa e lavoro per tutti.

Pensare e generare un mondo aperto è una responsabilità collettiva, la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore. L’ individualismo radicale è il primo virus da sconfiggere e ciò passa, anche attraverso un ripensamento della destinazione universale dei beni della terra e di una riproposizione della funzione sociale dell’impresa. Molto forte è il richiamo di Bergoglio all’importanza dell’attività degli imprenditori, come nobile vocazione per produrre ricchezza e migliorare il mondo a beneficio di tutti. Deve prevalere su tutto la solidarietà come atteggiamento sociale, che esige l’impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere formativo e educativo, dalle famiglie agli operatori culturali e dei mezzi della comunicazione sociale.

Il Pontefice dedica un’importante riflessione su quale sia la migliore politica per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni, che vivano l’amicizia sociale. Questa politica non può essere che quella al servizio del bene comune, che si fonda sul diritto ed il dialogo leale tra i soggetti. Il Papa mette in guardia dai populismi che avanzano, che disgregano la nozione stessa di democrazia, che strumentalizzano politicamente la cultura del popolo al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere. Il populismo deforma la parola stessa “popolo”, che per il Papa è una categoria aperta, perché un popolo è vivo, dinamico, con un futuro se rimane costantemente aperto a nuove sintesi, assumendo in sé ciò che è diverso, senza negare sé stesso ma con la disposizione ad essere messo in movimento, allargato, arricchito e così capace di evolversi.

La buona politica non può tralasciare l’obiettivo di una organizzazione sociale, che assicuri ad ognuno un modo di contribuire con le proprie capacità ed il proprio impegno. Il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, in quanto mezzo di crescita personale, di sana relazionalità. Bergoglio ribadisce, inoltre, che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa a sua volta al paradigma efficientista della tecnocrazia, che produce esclusione, fame, sfruttamento. Occorre dare nuovo slancio agli organismi internazionali, riformare l’ONU e l’economia mondiale, lavorando come famiglia di Nazioni ed operando per lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani.

Per fare tutto ciò il Papa propone, a fronte dell’individualismo consumista che provoca soprusi, la pratica della gentilezza, che libera dalla crudeltà, che a volte penetra nelle relazioni umane. La gentilezza di cui parla il Pontefice non è un atteggiamento superficiale o borghese, ma un comportamento che presuppone stima, rispetto e quando si fa cultura nella società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e confrontare le idee.

La lettera papale si chiude con l’invito a farsi artigiani di pace nella vita quotidiana, costruendo al contempo un‘architettura di pace, percorsi a livello internazionale che conducano ad una riconciliazione tra popoli e soggetti, al perdono ma nella giustizia e nella memoria. L’oppressore deve essere aiutato a cambiare e messo nelle condizioni di non continuare nella sua azione distruttrice. Non bisogna dimenticare gli orrori della guerra, ma fermare la corsa agli armamenti, impiegando utilmente i soldi per l’acquisto di armi in un Fondo per combattere la fame a livello mondiale.

Nel febbraio 2019 il Pontefice si incontrò con il Grande Imam Ahmad Al-Tyyed ad Abu Dhabi e frutto di questo appuntamento fu la sottoscrizione del “Documento sulla fratellanza umana, per la pace mondiale e la convivenza comune”, non un mero atto diplomatico ma il frutto di riflessione compiuta nel dialogo e nell’impegno congiunto.

Fratelli tutti” raccoglie e sviluppa i grandi temi esposti in quel Documento, ribadendo la necessità che le religioni siano al servizio della fraternità del mondo, in quanto il culto sincero ed umile a Dio, non porta alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto della sacralità della vita, per la dignità e la libertà altrui.

Questa Enciclica susciterà probabilmente molte discussioni, forse poco dottrinale per molti o troppo politica per altri. Sicuramente un appello forte all’umanità e alla speranza, che non può lasciare indifferenti.

di Rosaria Russo