Lavoro, maternità, squilibri di genere

La Giornata Internazionale dei diritti delle donne ci invita a riflettere sulla situazione delle donne nel mondo del lavoro nel nostro Paese. Di particolare interesse sono le analisi che il Rapporto INAPP PLUS 2022 “Comprendere la complessità del lavoro” ha svolto sul tema degli squilibri di genere e della maternità, dedicandovi un apposito capitolo.

Il mondo del lavoro italiano si caratterizza per un forte squilibrio di genere che informa la partecipazione al mercato del lavoro, le differenze retributive e la qualità del lavoro svolto. Tra le cause del persistere del divario di genere, che ci pone molto lontani dalla media europea per i tassi di occupazione, vi è lo squilibrio nella divisione del lavoro di cura e in particolare del ruolo della maternità.

L’evento maternità rappresenta una causa strutturale della caduta della partecipazione femminile. L’indagine Inapp-Plus ha indagato, sullo specifico segmento di donne under 50 con almeno un figlio, il tipo di effetto che la maternità ha sulla partecipazione al mercato del lavoro. Dai dati si evince che la continuità lavorativa è direttamente proporzionale all’età: le fasce più giovani ne presentano la quota minore, al contrario la fuoriuscita dall’occupazione è inversamente proporzionale all’età, più consistente nelle classi giovani e in calo all’aumento dell’età anagrafica. La condizione di permanenza nel non lavoro appare stabile, poiché poggia su scelte di carattere esogeno, rispetto alle caratteristiche delle donne.  Anche la tipologia familiare ha la sua rilevanza. La condizione di monogenitorialità, ad esempio, rispetto alla condizione di coppia, presenta un’incidenza maggiore nel caso della fuoriuscita dall’occupazione (23% contro 18%); al contrario però le donne in coppia mostrano una maggiore permanenza nel non lavoro prima e dopo la nascita dei figli, rispetto al nucleo monogenitoriale (32% contro 20%). Lo scenario della condizione giovanile in Italia appare ancor più drammatico, aggravato dalla variabile di genere: a fronte del noto calo di fecondità, natalità e instabilità occupazionale e di prospettive degli e delle under 25, in relazione all’evento maternità le condizioni delle donne restano o l’inattività o la fuoriuscita dal mercato del lavoro.

Il fattore istruzione delle neomamme presenta un duplice ruolo. Da un lato continua ad esercitare una funzione premiante, poiché nel mercato del lavoro restano le più istruite, ma al contempo, nel caso della fuoriuscita dall’occupazione, esso non riveste un ruolo spiccato e determinante, a testimoniare come rispetto a questa tipologia di transizione dal non lavoro al lavoro, intervengano fattori esterni, prevalenti rispetto al profilo della lavoratrice. Le motivazioni alla base della scelta di fuoriuscire dal lavoro, rilevate dall’indagine Inapp-Plus, sono anzitutto (52%) l’esigenza di conciliazione, mentre per il 19% delle donne prevalente è una valutazione di carattere economico e di costo opportunità. Un terzo delle donne afferma di non lavorare più dopo la maternità a motivo di non rinnovo o di licenziamento. I dati, disaggregati rispetto al titolo di studio, evidenziano che tra le laureate è maggiormente presente la motivazione della libera scelta, mentre il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto ha un peso maggiore tra le meno istruite. Se si considerano nel loro complesso le donne del campione studiato, che lavoravano prima e non lavorano più dopo la maternità, da un punto di vista reddituale oltre il 70% guadagnava meno di 25mila euro lordi annui e poco più di un terzo meno di 15mila. Il quadro che emerge dalla ricerca è quello di uno scenario di genitorialità ancora lontano da obiettivi di equità, condivisione e sostenibilità economica. Donne sempre meno giovani e feconde, che a seguito della maternità si trovano ad affrontare la fuoriuscita dal mercato del lavoro. Persiste dunque una cultura organizzativa ancora radicata da stereotipi di genere, cui si aggiunge la mancanza di servizi dedicati (nidi ed asili) che non siano a pagamento.  In tutto questo fenomeno le caratteristiche della donna (istruzione o area di residenza) incidono in maniera differenziata, perché il potenziale di rischio di perdita del lavoro, collegato alla maternità, sembra derivare da un complesso di fattori interni ad una cultura familiare, organizzativa, politica, che grazie al lavoro non retribuito delle donne e al loro sacrificio, riesce a garantire comunque la tenuta del sistema economico e sociale.

Come ha osservato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, “il percorso delle donne verso una piena occupazione è spesso una vera e propria corsa ad ostacoli. Si parla spesso di fuga di cervelli, ma esiste un’altra forma di dispersione del capitale umano che è legata al mancato sostegno e valorizzazione dell’occupazione femminile. Non bastano interventi spot, serve una appropriata calibrazione di tutte le politiche per evitare che gli effetti di genere, talvolta palesi, talvolta nascosti, penalizzino la partecipazione delle donne”.

 L’Italia ormai è l’ultimo paese per tasso di fecondità in Europa e proprio nel 2022 è stato toccato il minimo di 400 mila nuovi nati e  tuttavia in questa drammatica situazione la maternità continua a rappresentare la causa strutturale di caduta della partecipazione femminile al mondo del lavoro.  Dopo la nascita di un figlio quasi 1 donna su 5 (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (il 29% nel Sud e nelle Isole).

 di Rosaria Russo