L’accordo tra Iran e Arabia Saudita cambierà gli equilibri del Medio Oriente (e non solo)?

L’Iran e l’Arabia Saudita sono due nazioni con radici culturali e religiose profondamente diverse. Se l’Iran è una repubblica islamica a maggioranza sciita, il regno dell’Arabia Saudita è il vessillo della fede sunnita[1]. Tali differenze hanno prodotto negli scorsi decenni tensioni e conflitti tra i due paesi, in costante lotta tra loro per la leadership del Medio Oriente. Subito dopo la rivoluzione del 1979, quando fu rovesciato l’ultimo Scià Mohammad Reza Pahlavi, la dichiarata intenzione della nuova repubblica, guidata dall’ ayatollah Ruhollah Khomeini, nel diffondere la corrente sciita nella regione fu all’origine delle prime fratture con Riyad. Non a caso, i sauditi appoggiarono l’Iraq di Saddam Hussein nel lungo conflitto che lo oppose al vicino negli anni Ottanta. Dopo una breve parentesi di relativa pace, le relazioni tra iraniani e sauditi peggiorarono nuovamente all’inizio del millennio, di fronte alla prospettiva – avversata fortemente anche da USA e Israele – che Teheran potesse dotarsi di armi nucleari, che gettava benzina sul fuoco alle tensioni dovute al persistente sostegno iraniano ai gruppi sciiti presenti in Iraq, Libano e altri paesi dell’area. Un nuovo teatro di scontro si aprì con lo scoppio del conflitto nello Yemen (2015), con le due nazioni schierate su fronti opposti: i sauditi dalla parte del governo riconosciuto internazionalmente, gli iraniani a fianco dei ribelli houthi sciiti. Ora come ora è lecito chiedersi se l’accordo porterà qualche spiraglio di pace, dopo otto anni di guerra devastante e la tregua dell’aprile 2022: chiaramente è troppo presto per dirlo[2], ma ben difficilmente si arriverà al risultato se nessuna delle due parti saprà cedere su questioni ideologiche e religiose apparentemente inconciliabili[3]. A questo punto, si può comprendere come l’annuncio del 10 marzo circa il prossimo ristabilimento delle relazioni diplomatiche[4] – rotte nel 2016 a causa dell’esecuzione nel regno arabo del leader religioso sciita Nimr al-Nimr – possa rappresentare un importante (e forse inatteso) punto di svolta, non solo per i diretti interessati, ma per l’intero Medio Oriente. E lo è anche per la Cina, visto che la Repubblica popolare, essendo stata la principale mediatrice dell’accordo (un ruolo lo hanno avuto anche Iraq e Oman)[5] acquisisce nella regione un rinnovato peso diplomatico. La Repubblica Popolare[6] già nei mesi scorsi aveva siglato importanti accordi politici ed economici con l’Arabia Saudita (del cui petrolio la Cina è uno dei principali acquirenti), mentre il mese scorso Xi Jinping, fresco del terzo mandato alla guida del dragone e dopo un viaggio in Arabia Saudita nel dicembre scorso, aveva accolto in visita ufficiale il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi. E proprio nella capitale cinese ha avuto luogo l’incontro decisivo tra i rappresentanti dei due stati, nel corso del quale è stata siglata l’intesa di massima. Quest’ultima non si limita allo scambio degli ambasciatori, previsto nei prossimi mesi dopo l’incontro tra i ministri degli Esteri, ma include un accordo per il rispetto delle rispettive sovranità territoriali e l’impegno reciproco di non interferire negli affari interni; inoltre, sempre stando alle dichiarazioni ufficiali, il tutto potrebbe preludere all’attivazione dell’accordo sulla cooperazione sulla sicurezza firmato nel lontano 2001, e di quello del 1998 sulla cooperazione in generale. Come accennavamo, l’accordo si è tradotto in un enorme successo diplomatico per il leader cinese Xi Jinping: come nota il Washington Post[7], lo spazio e il ruolo cinese si sono notevolmente accresciuti, specie dopo il ritiro americano dall’Afghanistan del 2021, definito caotico e frettoloso, che ha visto aumentare la diffidenza (e la sfiducia) dei leader mediorientali verso gli statunitensi, persino da parte dei tradizionali alleati sauditi; la Cina si è dimostrata pronta a colmare il vuoto lasciato dalla superpotenza a stelle e strisce, preparando il terreno per una profonda revisione dei rapporti di forza nel Medio Oriente, gettando le basi per un nuovo terreno di confronto (e scontro), quantomeno diplomatico, tra le due maggiori potenze economiche del mondo. Concludendo la sua analisi sul Washington post[8], Michael Singh, esperto geopolitico, riferendosi alla strategia statunitense nel Medio Oriente esorta a un cambio di passo: “forse la cosa più importante di tutte, dobbiamo raccogliere la volontà di sostenere le nostre parole con l’azione”, pena il rischio di favorire la Cina, dimostratasi assai più solerte nel fornire risposte e supporto ai paesi dell’area. E potrebbe non essere l’unico risultato, visto che già si parla di una nuova iniziativa, sempre con la regia cinese, per riunire l’Iran con sei paesi arabi del Consiglio per la cooperazione nel Golfo, dimostrando ancora una volta che la Cina potrebbe riuscire dove l’America ha sempre fallito[9]. E questo senza trascurare che il progressivo avvicinamento dei sauditi al blocco sino-russo – vedi il rifiuto dello scorso ottobre di aumentare la produzione di greggio da parte dei paesi del Golfo, per compensare l’aumento dei prezzi del greggio causato dalla guerra in Ucraina – che potrebbe rappresentare un nuovo e importante alert per gli americani. Si spinge ancora oltre, circa la portata e gli effetti dell’intesa saudita-iraniana, un altro analista, il cileno Pablo Jofré Leal, che ritiene come la stessa possa rivelarsi “una grande opportunità per aprire la strada alla sconfitta dell’unilateralismo nel mondo e alla lotta contro l’egemonia occidentale”, aggiungendo che potrebbe persino scaturirne un’alleanza militare tra la repubblica islamica, Cina e Russia, la quale “potrebbe aiutare l’Iran a esportare in sicurezza il proprio petrolio e gas nei Paesi sanzionati”, oltre che portare finalmente a una definizione del famoso accordo sul nucleare[10]. A tal proposito, in una recente dichiarazione il principe ereditario Mohamed bin Salman Al Saud ha ammonito che di fronte a una nuclearizzazione dell’Iran, anche il suo regno non sarà da meno[11]. Come ricorda Fabio Massimo Parenti, professore associato di studi internazionali presso la China Foreign Affairs University di Pechino, il riconoscimento ufficiale del grande lavoro diplomatico svolto dai cinesi arriva dalle Nazioni Unite, dalla UE e da diversi altri governi, il tutto nettamente “in contrasto con gli Stati Uniti, che hanno svolto un ruolo altamente destabilizzante in Medio Oriente […] con la Cina che ha adottato un approccio completamente diverso, promuovendo il dialogo, la pace e la cooperazione.”[12] Un altro analista, Andrew Korybko, scrive: “…gli ultimi sviluppi potrebbero potenziare i processi di de-dollarizzazione nel caso in cui le superpotenze petrolifere Russia e Arabia Saudita si alleino con la superpotenza latente del gas, per vendere le relative risorse in valute diverse dal dollaro, compreso lo yuan. In preparazione a questo scenario, potrebbero iniziare utilizzando le valute nazionali nel commercio bilaterale.”[13] Ancora Piero Orteca, secondo il quale: “L’autogol di Trump sul nucleare iraniano, la contrapposizione di Biden con i sauditi sui diritti umani, le frizioni con l’Opec sulle quote petrolifere e la pressione esercitata su molti Paesi affinché si ‘allineassero’ alle visioni di Washington (e dell’Europa, a traino) hanno reso arduo ritrovare il ruolo perduto dall’America.”[14] Con questo non si deve pensare che la Cina si sia adoperata solo per conseguire un maggior prestigio, e/o per amore della pace e della concordia tra i popoli. Chi studia la geopolitica e la politica internazionale sa fin troppo bene che sono gli interessi economici e strategici a guidare le scelte più importanti. Se abbiamo già accennato ai potenziali sviluppi di ordine militare, non dimentichiamo che la Cina acquista dal Medio Oriente circa la metà degli idrocarburi che importa dall’estero, ragion per cui un’intesa tra i due paesi potrebbe aprire la via per nuove e importanti risorse energetiche (come gas e petrolio iraniani), senza contare che si potrebbero spalancare nuovi corridoi terrestri, che transitino per il Medio Oriente, per la via della seta (la BRI, Belt and Road Initiative), sempre più strategici dopo lo scoppio del conflitto sul suolo ucraino[15]. Parlando di Medio Oriente, non si può trascurare Israele, alleato di ferro degli USA, che se da un lato, grazie a Washington, ha potuto siglare nel 2020 gli accordi di Abramo, per la normalizzazione delle relazioni con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ma dall’altro lascia tuttora aperto il capitolo dei rapporti con l’Arabia Saudita. Per quanto Tel Aviv si sia affrettata a dichiarare[16] che l’intesa con l’arcinemico iraniano non ostacolerà il percorso che potrebbe portare alla storica pacificazione con Riyad, resta il fatto con l’intesa con Teheran non è stata certo gradita dagli israeliani, che nella storica rivalità tra sauditi e iraniani ha sempre visto uno spiraglio d’intesa (mai formalizzata) con la monarchia del Golfo. Comunque sia, una cosa è certa: Israele, con tutti i dubbi legittimi sulla tenuta dell’intesa e sulla condotta iraniana[17], non tollererebbe mai (come gli americani del resto) un Golfo nuclearizzato sotto l’influenza russo-cinese; del resto, viste le dichiarazioni di Bin Salman, non è affatto detto che l’accordo implichi un via libera di Riyad in questo senso. Insomma, non ha tutti i torti chi scrive che: “l’accordo tra Arabia Saudita e Iran non pone fine alla scontro, semplicemente ne abbassa il livello.”[18], anche se Dina Esfandiary, consulente senior per il Medio Oriente e il Nord Africa presso il think tank International Crisis Group, ripresa da Al Jazeera, sostiene che l’intesa contribuirà ad accrescere la stabilità regionale, il che rientra pur sempre tra gli obiettivi politici perseguiti di Washington[19]. In definitiva, l’accordo è stato un primo passo, ma molti ne restano da fare per pacificare una delle regioni più turbolente del pianeta.

di Paolo Arigotti


[1] www.remocontro.it/2023/03/12/pace-cinese-tra-sauditi-e-iran-in-fuga-dagli-usa-perche-i-musulmani-sunniti-e-sciiti-litigano-e-spesso-si-scannano/

[2] www.affarinternazionali.it/arabia-saudita-iran-un-accordo-ancora-tutto-da-scrivere/

[3] www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/17/intesa-tra-iran-e-arabia-saudita-puo-sbloccare-limpasse-del-conflitto-in-yemen-si-attendono-novita-positive-ma-il-paese-rimane-diviso/7098900/

[4] www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2023/03/10/iran-e-arabia-saudita-riprendono-le-relazioni_b8e56bd9-b91a-4c09-a2e7-ceebbc4009f6.html

[5] www.lindipendente.online/2023/03/14/iran-e-arabia-saudita-hanno-siglato-uno-storico-accordo-di-pace-e-cooperazione/; www.nytimes.com/2023/03/12/world/middleeast/saudi-iran-china.html

[6] it.insideover.com/politica/arabia-saudita-e-iran-riprendono-relazioni-diplomatiche-decisivo-il-ruolo-della-cina.html

[7] www.washingtonpost.com/opinions/2023/03/16/saudi-arabia-iran-china-deal/

[8]  www.washingtonpost.com/opinions/2023/03/16/saudi-arabia-iran-china-deal/

[9] www.wsj.com/articles/china-plans-summit-of-persian-gulf-arab-and-iranian-leaders-as-new-middle-east-role-takes-shape-357cfd7e

[10] giubberosse.news/2022/02/16/iran-cina-russia-metteranno-fine-allegemonia-delloccidente/

[11] www.affarinternazionali.it/arabia-saudita-iran-un-accordo-ancora-tutto-da-scrivere/

[12] www.lantidiplomatico.it/dettnews-come_si__mossa_la_diplomazia_cinese_nel_riavvicinamento_tra_iran_e_arabia_saudita/5694_49058/

[13] www.lantidiplomatico.it/dettnews-nuova_guerra_fredda_e_futuro_delle_relazioni_internazionali__intervista_allanalista_andrew_korbyko/5496_49067/

[15] www.limesonline.com/rubrica/cina-rapporti-diplomatici-arabia-saudita-iran

[16] www.monitordeoriente.com/20230311-los-lazos-entre-iran-y-arabia-saudi-no-perjudicaran-el-intento-de-normalizacion-de-israel-afirma-un-funcionario/

[17] www.jpost.com/middle-east/article-734017

[18]  www.geopolitica.info/iran-arabia-saudita-cina-russia/; www.ispionline.it/it/pubblicazione/accordo-arabia-saudita-iran-ecco-cosa-cerca-riyadh-120575

[19] www.aljazeera.com/news/2023/3/16/iran-saudi-arabia-deal-not-a-setback-for-us-analysts-say