La storia dell’Apartheid

Il termine apartheid, letteralmente separazione o divisione, si riferisce ad una politica di segregazione razziale entrata in vigore in Sudafrica a partire dal 1948 per volontà del governo di etnia bianca (guidato dal premier nazionalista Daniel François Malan). Tali misure, che imponevano una rigida separazione tra bianchi e neri, vietando tra l’altro matrimoni interraziali e perfino ogni relazione sessuale, sarebbe rimasta in vigore sino alla formale abolizione del 27 aprile 1991 (giornata per questo dedicata nel paese alla festa della Libertà); fino al 1990 analoghe misure avrebbero interessato anche la vicina Namibia, territorio controllato fino a quel momento dal Sudafrica. L’ideologia ufficiale professava un razzismo di tipo scientifico, con una matrice nel colonialismo britannico, con componenti di ordine religioso (calvinista-olandese), professanti la separazione delle razze. Per estensione, oggi con tale termine si fa riferimento ad ogni tipo di discriminazione, legata a motivi etnici o politici. Per quanto il 1948 segnasse, è vero, la definitiva istituzionalizzazione del sistema, già nel 1928 erano stati introdotti i primi provvedimenti razziali, e nel corso del secondo conflitto mondiale alcuni leader afrikaner (i cittadini di etnia bianca non inglesi, i più accaniti sostenitori dell’apartheid) fecero riferimento ad elementi della dottrina nazista per giustificare le loro posizioni. Tra i principali ideologi del regime segregazionista troviamo, oltre al citato premier Malan, i suoi successori Johannes Gerhardus Strijdom (dal 1954 al 1958) e Hendrik Frensch Verwoerd (in carica fino al 1966); questi ultimi vollero che nel 1956 l’apartheid coinvolgesse tutti i cittadini non bianchi, compresi gli asiatici. Nel corso del loro governo, oltre tre milioni di sudafricani di etnia bantu furono privati di ogni diritto civile e politico e deportati forzosamente in altre regioni del paese. Ai non bianchi fu interdetta l’istruzione non professionale e l’accesso a diversi esercizi, che comunque dovevano sempre dare la priorità ai clienti bianchi. Limitazioni furono imposte per la mobilità, visto che occorreva uno speciale passaporto per spostarsi nelle zone riservate ai bianchi. Nel 1975 la lingua degli afrikaner fu imposta negli atti ufficiali e nelle scuole, assieme all’inglese. La violazione di queste prescrizioni poteva comportare sanzioni pecuniarie o l’arresto. Non mancarono mai opposizioni e proteste, pure internazionali, contro il segregazionismo. Tra le forme di resistenza più tenaci in patria ricordiamo quella dell’organizzazione dell’African National Congress, che promosse tra l’altro ribellioni armate e azioni di sabotaggio contro infrastrutture e centrali energetiche; tra i principali leader dell’opposizione troviamo Stephen Biko e Nelson Mandela, leader dell’ANC, che conobbe lunghi anni di carcere. Il regime sudafricano fu più volte condannato in sede internazionale, dichiarando l’apartheid crimine internazionale secondo le convenzioni ONU (entrate in vigore nel 1976), che costarono sanzioni economiche contro il governo e l’esclusione dai giochi olimpici. Negli anni Ottanta anche USA e Regno Unito, che fino a quel momento erano stati più tolleranti, si allinearono al resto del mondo per contrastare l’apartheid, aumentando le pressioni per le riforme. Sull’onda di queste ultime, nel 1990 Nelson Mandela fu scarcerato dopo 27 anni di prigionia: la sua elezione alla presidenza della Repubblica (1994) sancì ufficialmente la fine all’apartheid, decisione già ratificata con referendum nel 1992, e sempre nel 1994 si tennero le prime elezioni generali e multirazziali, che assegnarono la vittoria all’ANC (da quel momento rimasto ininterrottamente alla guida del Paese). Lo stesso anno fu adottata una nuova bandiera, in luogo di quella afrikaner, ispirata alla pace nel mondo. Nel 1995 si insediò la Commissione per la verità e la riconciliazione, incaricata di raccogliere dati e testimonianze sulle violazioni dei diritti umani, che ha promosso, in ottica di pacificazione, una generale amnistia per chi facesse mea culpa per i crimini commessi. L’abolizione della segregazione non ha messo, però, fine alle discriminazioni di tipo economico: basti ricordare anche ancora nel 2006 circa il 70 per cento delle terre era posseduto da bianchi. Nonostante ciò, non sono mancate critiche circa il fatto che la fine dell’apartheid avrebbe scatenato una sorta di razzismo al contrario, stavolta diretto contro la minoranza bianca.

di Paolo Arigotti