La libertà di espressione del mondo LGBT in Italia e nel mondo

Ho recentemente avuto la fortuna di leggere un libro, che mi permetto di consigliarvi, frutto del lavoro di diversi autori: A voce alta. Libertà di espressione nel mondo: la tutela negata, Kanaga edizioni 2020.

Mi soffermerò soprattutto sul contributo di Sonia Zuin, insegnante al Politecnico di Milano e ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Meccanica, incentrato sull’argomento che dà il titolo a questo pezzo.

Partirei dagli articoli 3 della Costituzione italiana (gennaio 1948) e 1 – 2 della Dichiarazione Universali dei diritti dell’uomo (approvata a dicembre dello stesso anno), che riconoscono a tutti gli individui pari diritti e libertà, vietando ogni forma di discriminazione.

Si tratta di importantissime dichiarazioni di principio, oggetto purtroppo di frequenti violazioni da parte di Paesi (e Governi) autoritari e intolleranti verso le cosiddette diversità.

Credo sia sufficiente, per rendere l’idea, una brevissima carrellata.

In quattro stati africani (Mauritania, Sudan, Nigeria settentrionale e Somalia meridionale) l’omosessualità è punita con la morte, mentre in altri 31 paesi del continente nero su 54 (tra i quali annoveriamo Egitto, Libia, Marocco, Senegal) è qualificata illegale e penalmente perseguita. Non va meglio in Asia: prendiamo il caso della Malesia dove quattro uomini sono stati condannati a varie frustate per “tentata relazione sessuale contro l’ordine naturale” (Amnesty International, 18 novembre 2019), l’Oman dove si rischiano fino tre anni di reclusione o l’Indonesia dove la pena è la bastonatura in pubblico.

In America Latina spicca il Brasile dove, nel solo 2017, si sono verificati ben 475 assassini di persone LGBT.

Per chi pensa che nella civilissima Europa simili fatti siano un lontano ricordo, ricorderei le leggi discriminatorie recentemente approvate in Russia (2013), con pesanti sanzioni contro la cosiddetta propaganda gay o la situazione bielorussa dove gli omosessuali sono costretti a vivere in clandestinità. Ungheria e Polonia hanno a loro volta ratificato normative e/o pratiche discriminatorie, quali il divieto del cambio del sesso all’anagrafe e le cosiddette “LGBT free zones”.

In Italia una svolta importante è stata indubbiamente rappresentata dall’approvazione della legge sulle unioni civili (cosiddetta legge Cirinnà) nel 2016, che fa seguito alla legislazione irlandese sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e alla decisione della Corte Suprema USA che ha riconosciuto la legalità delle unioni gay (2015).

Nonostante un clima politico più favorevole ed un’importante svolta nell’atteggiamento e mentalità verso le tematiche LGBT, il nostro Paese conserva annosi retaggi, alimentati dalle componenti politiche e sociali più omofobe, non ultimo quelle avverso la transessualità, intorno alla quale i pregiudizi sono ancora molto radicati, non ultima l’associazione transessualità/prostituzione (teniamo conto che solo nel 2018 l’OMS l’ha cancellata dal novero della “disforia di genere”).

Altro tasto dolente è l’idea di collegare un cancro sociale, quello della pedofilia, all’omosessualità, trascurando il fatto che questi ignobili crimini sovente vengono consumati all’interno del contesto familiare, senza dimenticare i vergognosi episodi che hanno coinvolto religiosi, contro i quali si è giustamente scagliato Papa Francesco.

Quanto conta l’informazione a tale riguardo? A modesto parere di chi scrive ha un peso determinante, basterebbe osservare quanto avviene attorno a noi: l’Italia, è vero, riconosce questo fondamentale diritto (art. 21 Cost.), eppure non occupa una posizione molto lusinghiera nella classifica stilata da Word press freedom index (2019), collocandosi al 43esimo posto su 180 nazioni.

Un altro dei retaggi più duri a morire è che la garanzia di maggiore accesso all’informazione (basti pensare a tutte le polemiche che hanno accompagno l’iter della legge contro la omotransfobia) rischierebbe di danneggiare il ruolo della famiglia tradizionale. Questo orientamento vorrebbe, forse, sostenere che certi fenomeni sociali esistono in base alle normative in vigore? Sarebbe come dire che lo sfruttamento della prostituzione nel nostro Paese non esista più dopo l’approvazione della Legge Merlin.

Io credo sia venuto il momento di liberarci di tanti inutili ed anacronistici pregiudizi, figli per lo più dell’ignoranza, che in ogni tempo hanno causato (e continuano a farlo) danni e sciagure di ogni genere.

di Paolo Arigotti