La democrazia ed i suoi nemici

Negli anni ’90 del secolo scorso, quando si frantumò il sistema bipolare di sfere di influenza contrapposte, emerso dalla Seconda Guerra Mondiale, parve che la democrazia liberale fosse divenuta la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse dell’intero pianeta.  In La fine della storia e l’ultimo uomo, un testo del 1992, che negli anni ha continuato a suscitare accesi dibattiti, il politologo Francis Fukuyama aveva ipotizzato che la democrazia liberale si poteva ormai considerare come “il punto di arrivo dell’evoluzione ideologica dell’umanità e la definitiva forma di governo tra gli uomini”. Alla fine del millennio le crisi gemelle dell’autoritarismo e della pianificazione centralizzata socialista avevano lasciato sul ring, quale ideologia di validità potenzialmente universale, un solo contendente: la democrazia liberale, la dottrina della libertà individuale e della sovranità popolare. Un mondo fatto di democrazie liberali avrebbe dovuto avere per Fukuyama incentivi alla guerra molto ridotti.

Agli albori del nuovo millennio l’Occidente guardava con fiducia e soddisfazione alle proprie conquiste politiche ed economiche e le tesi di Francis Fukuyama hanno rappresentato la Weltanschauung di un’epoca, che vedeva possibile l’esportazione della democrazia, il capitalismo finanziario ed il controllo vincente dell’ambiente tramite la tecnologia. Una profezia smentita? I nuovi attori emersi sullo scacchiere mondiale, le democrature o il capitalismo comunista di stato cinese e la crisi economica e sociale, che ha investito l’Occidente a partire dal 2008, riscrivono ormai un percorso sempre più incerto e accidentato per le democrazie. Quanto sta accadendo in questi giorni, in cui le lancette della storia sembrano riportarci indietro in un tempo di barbarie che pensavamo non più proponibile, ci mostra i nemici della democrazia e della libertà, ma siamo sicuri che a distruggerla non siamo stessi e che il pericolo non provenga solo dall’esterno?

Ne Il nemico dentro Tom Nichols, importante opinionista politico statunitense, ci pone di fronte ad uno specchio nel quale gli occhi del nemico sono i nostri. L’illiberalismo è sempre più in ascesa, l’inquietante ondata di autoritarismo in Europa, la pandemia del Covid, gli attacchi sferrati su più fronti da Trump alla democrazia e allo stato di diritto sono il segnale che dobbiamo seriamente preoccuparci se teniamo alle libertà di cui godiamo e che riteniamo irreversibili.

La situazione della democrazia globale è ormai talmente precaria che un gruppo di studiosi svedesi dell’Università di Göteborg ha definito l’inizio del Ventunesimo secolo una nuova “ondata di autocratizzazione”.

Nichols fa una disamina di noi abitanti di paesi democratici, in particolare del suo paese, in quanto elettori e cittadini, che egli vede sempre più in preda a rabbia e paure. Il mondo non è perfetto e la perfezione non è la vera unità di misura di un governo e ancora meno, dice Nichols, di un’epoca. Siamo probabilmente, nonostante i problemi economici e sociali e le disuguaglianze, in un’epoca di benessere e abbondanza mai conosciuto prima nelle democrazie. Paradossalmente il governo liberal-democratico e le sue idee di uguaglianza, tolleranza e compromesso subiscono l’assalto di movimenti politici e di cittadini comuni convinti che i loro interessi e il loro futuro siano in procinto di essere rovesciati da forze malvagie in patria e all’estero. Questi cittadini si stanno rivolgendo ad alternative illiberali e antidemocratiche, tra cui una serie di aspiranti demagoghi i cui appelli vanno dal populismo al nazionalismo. Come ha osservato l’analista politico Dalibor Rohac l’essenza di queste visioni divisive è la narrazione di una contrapposizione tra la gente comune, brava e pura di cuore, e un’élite fuori dal mondo e che persegue i propri interessi. Nessun sistema di governo produce una perfetta eguaglianza e nessuna economia impedisce una certa quota di povertà.  In una sorta di infantilizzazione dei cittadini, intellettuali e opportunisti incoraggiano la ricerca di capri espiatori, dimenticando che in una democrazia liberale i cittadini sono i padroni del proprio destino.

Tom Nichols invita all’introspezione e a porsi domande scomode: la democrazia ci ha deluso o siamo noi a non aver superato la prova della democrazia? Per Nichols siamo responsabili della nostra libertà, felicità e sicurezza, ma sempre più spesso al contempo siamo anche la fonte dei nostri problemi. Il primo passo è accettare le proprie responsabilità di cittadini, abbandonare la sempre più diffusa intemperanza illiberale e irrazionale, che accomuna elettori e rappresentanti eletti.

Lo studioso statunitense ritiene che la minaccia alla democrazia, in America e altrove, provenga dalla classe operaia e dal ceto medio, la cui rabbia trae origine soprattutto da una insicurezza culturale, da aspettative eccessive, da ossessioni sull’etnia e l’identità, da ambizioni infrante e da una visione infantile del governo. Gli americani moderni di tutte le classi e altri cittadini delle democrazie ricche sono ormai afflitti da un consumo autodistruttivo e da aspettative elevatissime. I cittadini comuni non pensano più in termini di compagine sociale, di ciò che è meglio per la comunità, del bene comune o pubblico.

 Se questa è la diagnosi che ci propone Nichols, quale la cura? La democrazia in fin dei conti è un atto di volontà, una continua riaffermazione di fiducia in un sistema di governo che custodisce e protegge i nostri diritti e quelli dei nostri concittadini. Le proposte sono piuttosto deboli in queta parte della dissertazione dell’autore. Come ammette lo stesso Nichols al momento non vi sono altre ricette se non quella di provare a resuscitare in ogni maniera virtù dimenticate come altruismo, compromesso, stoicismo e cooperazione e, soprattutto riconoscere quanto bene ci hanno fatto in passato. Questi stessi cittadini, carichi di narcisismo e rimostranze, che hanno unito le forze con quanti prosperano sulla creazione di rabbia piuttosto che sull’incoraggiamento della virtù civica e della cooperazione democratica, devo riprendere in mano le sorti dei loro sistemi. Come diceva Lincoln in un discorso del 1838: “se la distruzione è il nostro destino, dobbiamo esserne noi i fautori e i finalizzatori. In quanto nazione di uomini liberi, dobbiamo sopravvivere a tutte le epoche, o morire suicidi”.

 Quanto sta accadendo in questi giorni terribili in cui pare soverchiante la forza della dittatura di un uomo solo, sembra che coloro che vogliono difendere libertà e democrazia stiano mostrando qual è la strada, dando una prova straordinaria di coraggio, responsabilità verso la collettività e abnegazione. Forse possiamo ancora ritrovare la strada per restare cittadini liberi.

di Rosaria Russo