La cassa integrazione durante la pandemia e i possibili scenari futuri (ASU – ammortizzatore sociale unico)

In base all’art. 1 della Costituzione, «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»: provocatoriamente si potrebbe dire che, nel 2020, l’Italia è stata invece una dittatura sanitaria fondata sulla cassa integrazione.

Il numero di prestazioni autorizzate e di somme pagate ha superato ogni precedente record e non di poco: parliamo di valori che sono il triplo del massimo registrato in passato.

Il sistema però ha retto, grazie principalmente

  • alla previsione di strumenti eccezionali per coprire tutti i settori, e ci si riferisce in particolare alla CIG in deroga, destinata a chi non era assicurato e non versava i contributi per la cassa integrazione;
  • all’utilizzo semplificato della cassa integrazione ordinaria (compresa quella erogata dai Fondi di solidarietà), con causali “COVID-19”, la cui concessione, salvo alcuni controlli di base, è praticamente automatica.

La cassa integrazione straordinaria, inoltre, è stata praticamente prorogata per tutti con il meccanismo della sospensione per richiedere gli ammortizzatori COVID, anche per quelle imprese e rapporti di lavoro per cui era prevista la cessazione nel 2020.

La CIG “emergenziale” è riuscita, pertanto, a coprire tutti i settori produttivi e le categorie di lavoratori, adattando le tipologie di prestazioni già esistenti e riattivando la cassa in deroga. Non dimentichiamo, comunque, che anche gli ammortizzatori sociali “ordinari”, adattati con le nuove apposite causali “COVID-19”, sono diventati prestazioni assistenziali nel momento in cui le imprese hanno superato i limiti massimi di fruizione per cui sono assicurate e hanno potuto proseguire nell’utilizzo grazie alle deroghe e agli stanziamenti, previsti nella legislazione emergenziale.

Tale legislazione legata al COVID-19 è iniziata con una serie di provvedimenti che denotavano una navigazione a vista e una scarsa comprensione della situazione globale: basti pensare che i primi decreti legge sono stati emanati per tutelare le zone rosse dei 18 comuni (!) inizialmente colpiti, salvo proseguire con una serie di continui aggiustamenti che hanno portato all’emanazione di circa 24 DPCM e 16 decreti e leggi relativi anche agli ammortizzatori sociali (mi scuso se i numeri indicati non dovessero essere proprio esatti, ma potrebbe uscire un altro decreto o un’altra legge anche nel mentre della stesura e della pubblicazione del presente articolo).

La cassa integrazione COVID è stata concessa, prima per i soli 18 comuni, poi anche a tutto il resto del Paese ma con 4 settimane in più per alcune Regioni, prorogata quindi di 5 settimane ma solo dopo aver dimostrato la fruizione delle prime 9 settimane, più ulteriori 4 settimane ma solo fino al 31.8.20, salvo poi prorogare ulteriormente di altre 9 settimane ma scomputando i periodi già fruiti dal 13.7.20 e possibile ulteriore proroga di altre 9 settimane, ma “con fatturato”, per finire il 2020 con altre 6 settimane che però lasciano scoperti i giorni dal 28 al 31 dicembre…

Non ci avete capito nulla? Non importa, in realtà quanto sopra è solo un quadro parziale della CIGO (ordinaria) e non si è parlato della CIGD (deroga), prima regionale o plurilocalizzata ministeriale e poi tutta INPS ma salvo fruizione del tipo precedente, né della CIGS con sospensioni multiple a singhiozzo, né di particolari settori quale ad esempio quello agricolo (CISOA), fermo ad una legge del 1972.

Eppure, in televisione o sui giornali c’è sempre stato qualcuno a testimoniare che la cassa integrazione non era ancora arrivata… per colpa dell’INPS ovviamente… Ma quale “cassa integrazione”? Magari, andando ad analizzare il caso concreto, scoprivi che era la CIG per i parrucchieri, la cui erogazione viene effettuata dall’apposito Fondo di settore (artigianato), ente esterno ed autonomo rispetto all’INPS… È solo un esempio, che vuole però evidenziare che non esiste una sola cassa integrazione, ma tanti tipi di integrazioni salariali, che vado di seguito solo ad elencare:

  1. le integrazioni salariali ordinarie (o cassa integrazione ordinaria – CIGO), autorizzata dai direttori di sede INPS
  2. la cassa integrazione speciale per l’agricoltura (L. 457 del 1972), concessa da specifiche commissioni
  3. le integrazioni salariali straordinarie (o cassa integrazione straordinaria – CIGS), gestita dall’INPS dopo la fase concessoria ministeriale
  4. l’indennità di mancato avviamento al lavoro (IMA) per i lavoratori portuali di cui all’art. 3, co. 2, L. n. 92/2012, autorizzata in base ad elenchi trasmessi dal MIT
  5. la cassa integrazione in deroga (a sua volta distinguibile in deroga ministeriale, regionale o INPS; senza contare le deroghe previste per settori o eventi ad hoc: deroga call center, crollo del ponte Morandi ecc.)
  6. l’assegno ordinario (ASO) del Fondo di integrazione salariale, autorizzato dai direttori di sede INPS;
  7. l’assegno ordinario dei Fondi:
    1.  credito cooperativo
    2. Imprese assicurative
    3. trasporto pubblico
    4. solimare
    5. ormeggiatori e barcaioli
    6. poste
    7. Trento e Bolzano
    8. del credito
    9. tributi erariali
    10. e ferrovie.
  8. Infine, le prestazioni garantite dal fondo di solidarietà del trasporto aereo, settore coperto dalla CIGS, che sono integrative rispetto alla prestazione di integrazione salariale di base.

Quindi, è questo il principale problema che è emerso dallo stress test a cui è stato sottoposto il sistema: la frammentarietà del quadro di tutele in costanza di rapporto di lavoro, che si traduce in decine di modalità per richiedere lo stesso sussidio e in una molteplicità di enti coinvolti.

Nasce così in piena estate 2020 una commissione di 5 esperti (senza però componenti INPS o dei consulenti del lavoro) con il compito di approntare una nuova riforma degli ammortizzatori sociali.

Giova evidenziare che l’ultima riforma in merito risale a soli 5 anni fa: stiamo parlando del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 che ha innovato, razionalizzato e raccolto in un testo unico tutta la materia degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro, abrogando decine di leggi e disposizioni precedenti, stratificatesi nel corso di circa 70 anni.

Perché cambiare di nuovo adesso dopo soli 5 anni?

L’obiettivo dichiarato e ambizioso è quello di creare un ammortizzatore sociale unico (ASU), che copra tutti i settori e le categorie, anche le imprese al di sotto dei 6 dipendenti. Universalità di tutele e semplicità di utilizzo rappresentano senz’altro uno slogan accattivante: ma sarà davvero così facile da attuare?

Il documento del CNEL del 11.11.2020 (Documento di Osservazioni e Proposte sui sistemi di protezione sociale per i lavoratori oggetto delle risoluzioni in Commissione Lavoro 7-00495 Serracchiani e 7-00512 Zangrillo), lascia già intravedere qualche voce fuori dal coro. Ci sono settori che, forse non a torto, vorrebbero mantenere le proprie specificità e continuare ad utilizzare quegli strumenti che, a detta degli stessi interessati, hanno fino ad oggi funzionato in modo soddisfacente.

Il confronto con le parti sociali e i vari portatori di interessi sta proseguendo e non si può certo valutare già da adesso una riforma che deve ancora nascere (forse in autunno…) e porta con sé lodevoli intenti.

Di certo è che, se si vuole raggiungere l’obiettivo della semplificazione, bisognerà saper accettare il rischio eliminando molti dei passaggi burocratici attuali e affidando in alcuni casi ai controlli ex post la sanzione di eventuali abusi.

Si auspica, quindi, che se davvero ammortizzatore unico deve essere, che ASU sia, senza la successiva creazione di una miriade di eccezioni (come già successo all’indomani della riforma del 2015), perché si sa: l’Italia è il paese dei campanili e dove tutto cambia affinché nulla cambi.

di Marco Greco