La battaglia del grano ucraino

Il grano è una delle voci più importanti dell’economia della Ucraina, oltre a rappresentare il ricordo della tragedia dell’Hodomor dei primi anni Trenta, quando la condotta delle autorità sovietiche, intenzionale o meno che fosse, a seconda delle ricostruzioni, provocò una terribile carestia, causando milioni di vittime.

La mediazione della Turchia è stata decisiva per sbloccare i flussi dei cereali ucraini, interrotti dalla guerra, ma ha ingenerato nuovi problemi all’interno del fronte europeo, a cominciare da alcuni dei paesi più schierati dalla parte di Kiev. La decisione della UE di dare luce verde all’importazione di grano ucraino, senza richiedere dazi, ha fatto sì che i costi più contenuti di questi cereali abbiano creato una sorta di concorrenza sleale all’interno del mercato europeo, traducendosi in un danno per i produttori di tre paesi in particolare – Ungheria, Polonia e Slovacchia – non adeguatamente compensati dagli indennizzi di circa 60 milioni stanziati da Bruxelles. Al di là della contingenza storica del momento, la preoccupazione investe soprattutto il futuro, nella prospettiva di un ingresso di Kiev nella UE. Il paese resta uno dei principali esportatori mondiali di mais, grano, girasoli e altri cereali, ragion per cui se entrasse a pieno titolo nell’Unione le verrebbero garantite – a scapito di altri paesi membri – le maggiori quote di finanziamento nel quadro della Politica agricola comune (circa 386 miliardi di euro complessivi), che premia i paesi in base alla loro superficie agricola. Solo per dare qualche numero, basti dire che la superficie coltivata ucraina è estesa più dell’intero territorio della penisola italiana. A queste somme si aggiungerebbe quelle stanziate a favore della ricostruzione postbellica e i fondi comunitari, che affluirebbero in misura significativa in favore di Kiev. In sostanza una mole ingente di risorse, che associate ai minori costi del grano ucraino, suscita comprensibili preoccupazioni nelle cancellerie dell’est, per la maggior parte schierate a favore del paese ex sovietico. In pratica, per quanto paradossale, ci sarebbe il rischio di una divaricazione tra governi favorevoli all’ingresso di Kiev nella Nato, ma non nella UE, nel timore di perdere di importanti quote di mercato e di finanziamenti. E il tutto senza considerare un altro annoso problema che affligge l’Ucraina: la diffusa corruzione.

di Paolo Arigotti