Una storia vibrante, tra Nord e Sud, con tanti argomenti della contemporaneità: la famiglia, il lavoro, le origini, la ricerca del senso del vivere e di un futuro. Stefania Greco, mantovana di adozione, è in libreria con “A chi appartieni”, il suo intenso romanzo di esordio, pubblicato con Blonk, casa editrice indipendente di Pavia con una spiccata vocazione al non convenzionale.
Protagonista del romanzo, una giovane donna che si trova all’improvviso a dover affrontare le tante questioni in sospeso con la sua famiglia e le sue origini, tornando da Brescia in Sicilia, da cui era partita – si direbbe fuggita – molti anni prima.
Partiamo dal titolo: nel tuo romanzo è centrale il concetto di appartenenza.
A chi appartiene la protagonista? A un luogo, alla sua famiglia? Al suo tempo? A un futuro che sembra sfuggirle?
“A chi appartieni”, “Di chi sei (figlio)” sono formule usate spesso al sud per intendere “chi sei?”. Come se la nostra identità non risiedesse nella nostra persona, ma andasse ricercata nella famiglia da cui discendiamo, nella nostra professione, nelle strade che pratichiamo. E in un certo senso è davvero così: il nome della protagonista non compare mai nel romanzo, non soltanto per l’assunzione della prima persona per la voce narrante, ma proprio perché la sua identità è il risultato dei luoghi, delle persone, e delle vicende che abita. Non lo sa “a chi appartiene” e cerca di capirlo: cerca di capire chi è, e soprattutto insegue chi vorrebbe essere.
Nord vs Sud: la protagonista sembra spaesata, ma non tanto per il fatto di essere emigrata. Piuttosto, per il fatto di non trovarsi in nessuna delle sue appartenenze. È così?
Niente, credo, è più disorientante dell’impossibilità di riconoscersi come parte di un insieme.
Questa giovane donna si ritrova continuamente fuori posto, in prestito, alla periferia di qualsiasi appartenenza: disconosce le sue origini eppure ne porta addosso i segni; ama dove non è amata, non sa amare quando lo è; i personaggi-guida che l’accompagnano, tutti di segno diverso, le mostrano le sue contraddizioni e una certa insofferenza per sovrastrutture e schemi di cui, però, non riesce a liberarsi, senza con ciò perdere il senso d’identità, e quindi di appartenenza.
Che tipo di famiglia è, quello della protagonista? Stretti gli uni agli altri, parenti coltelli, indifferenti…
È una famiglia a più livelli quella rappresentata: in senso stretto, la protagonista è figlia di gente umile e per bene, calata in un contesto marcio come è il sud delle mafie; è una famiglia molto presente, punto di riferimento costante nella vita privata. Poi c’è la famiglia simbolica: i meridionali con cui condivide l’esperienza dell’emigrazione, e le ragioni stesse della necessità di emigrare. Ma c’è un’altra famiglia ancora che è quella dei disadattati, degli emarginati, con cui condivide un certo disagio e un profondo dolore.
La protagonista è alla ricerca di una identità che sembra sfuggirle. Verso la fine del libro però abbiamo l’impressione sia lei a liberarsi delle identità che sembrano averle dato gli altri.
È il conflitto maggiore della protagonista: il libro si apre con un grave lutto che la costringe a rimettersi in discussione, a riconsiderare chi è; chi non voleva essere e invece, suo malgrado, è diventata. La storia finisce bene, ma servirà l’aiuto del punto di vista degli altri personaggi a chiarirle le idee.
Stai lavorando su altre storie? Che cosa ti interessa raccontare, adesso?
Mi prude la penna, lo ammetto. Di storie in mente ne ho, ma sono idee indefinite, meno di bozze. Prima di scrivere di nuovo, adesso voglio leggere, per portarmi altrove e per approfondire. Ho imparato delle cose preziose scrivendo “A chi appartieni” e voglio potenziarle, lavorarci su.
Soltanto dopo, scoprirò cosa merita di essere scritto, e se.
di Marco Greco