Il vaiolo delle scimmie

La pandemia di Covid-19 ha afflitto il mondo negli ultimi due anni, sconvolgendo la vita di milioni di persone. Ora si inizia a parlare – per effetto di diversi casi segnalati in Regno Unito, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Canada ed Italia – del vaiolo delle scimmie (Monkeypox); deriva il suo nome dal fatto di essere incubato in primati e piccoli roditori, specie originari dell’Africa.

Al momento le autorità sanitarie non sanno spiegare né l’origine del virus (quello del vaiolo fu dichiarato eradicato, grazie alle vaccinazioni, nel lontano 1980), né tantomeno il veicolo del contagio. La malattia si caratterizza per sintomi quali febbre, dolori muscolari, malessere generale, ingrossamento dei linfonodi e vesciche dolorose e/o pruriginose – tipica manifestazione del vaiolo – piene di liquido infetto, che possono comparire su viso, mani e piedi degli individui colpiti. Fortunatamente i tassi di mortalità stimati sono assai contenuti, circa l’1 per cento, per quanto esistano forme più pericolose (il ceppo dell’Africa occidentale è ritenuto più grave di quello del bacino del Congo, in Africa centrale) che possono portare il rapporto tra malati e deceduti fino al 10 per cento. Salvo questi ultimi casi, il decorso è generalmente benevolo e la malattia, con le cure opportune, si risolve in poche settimane, un mese al massimo. In sostanza, pur appartenendo allo stesso ceppo del vaiolo, il virus in questione sarebbe assai meno grave e contagioso. Il contagio tra animale e uomo sarebbe possibile tramite contatto diretto con l’animale infetto e/o con liquidi corporei, come la saliva. Le stesse modalità riguardano la trasmissione da uomo a uomo, in particolare per il tramite di lesioni cutanee e/o contatto con fluidi corporei. L’Istituto Superiore della Sanità (ISS), che ha istituito una task force dedicata per monitorare la situazione, ritiene che le persone non vaccinate contro il vaiolo – vaccinazione abolita in Italia nel 1981 – possano essere maggiormente a rischio contagio, non avendo alcun anticorpo contro il ceppo originale. Sarebbe, ad ogni modo, auspicabile un’attenta informazione e soprattutto evitare ogni forma di pericoloso allarmismo: speriamo che, almeno in questo senso, l’esperienza del coronavirus abbia fatto scuola.

di Paolo Arigotti