IL SINDACALISMO AUTONOMO PRESIDIO DI LIBERTA’ E DEMOCRAZIA

Nessuno può negare che nel nostro Paese esista il pieno diritto dei lavoratori di aderire ad un Sindacato di propria scelta ma nessuno, con altrettanta certezza, può affermare che la libertà di associazione garantita dalla Costituzione si sia tradotta in un’effettiva uguaglianza delle Organizzazioni portatrici dei loro interessi collettivi.

Chi segue le vicende sindacali in Italia – e tanto più chi agisce per mandato elettivo nel campo delle relazioni con le parti datoriali pubbliche – ha potuto toccare con mano sia le reali condizioni in cui si sviluppa una controversia o si raggiunge con esse un’intesa, sia come si svolge in concreto il confronto tra la pluralità dei sindacati trattanti.

Tali condizioni non sono di parità tra di loro e ciò non può che avere pesanti conseguenze nella formazione di un modello alternativo di rappresentanza, nonché nell’estensione di una struttura organizzativa utile alla crescita.

Esse vengono contese ad ogni altra organizzazione dalle Confederazioni “maggiormente rappresentative sul piano nazionale” le quali occupano di fatto tutto il potere contrattuale, spodestando – d’intesa con le controparti e mancando l’intervento del legislatore – la rappresentanza unitaria proporzionale agli iscritti e abilitata a stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia erga omnes, prevista dalla Costituzione.

Questo il motivo fondamentale per cui l’esistenza stessa dei Sindacati autonomi é largamente ignorata dai mezzi d’informazione di massa e di conseguenza dalla pubblica opinione.

Ma non basta, purtroppo; la funzione di democrazia sindacale da essi svolta non risulta nemmeno conosciuta a sufficienza nel mondo del lavoro, che pure vede i rappresentanti autonomi impegnati quotidianamente nella dura lotta per l’affermazione dei principi ispiratori dell’autonomia, che vengono sostenuti con il coraggio delle minoranze compresse dalla posizione dominante dei concorrenti, forniti di ben altri mezzi di raccolta del consenso.

Il richiamo alle difficoltà di tale raccolta, tanto più in occasione del rinnovo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie, vuol essere un incitamento a moltiplicare – nella consapevolezza degli ostacoli da superare – l’impegno a diffondere i concetti di solidarietà, di democrazia e di libera espressione, che sono a fondamento del Sindacalismo Autonomo.

La competizione elettorale deve essere un’opportunità da non perdere per sottoporre con fermezza all’attenzione dei pubblici dipendenti il modo di “essere sindacato” che caratterizza le Organizzazioni autonome e per raggiungere risultati ragguardevoli nella votazione.

I tempi che viviamo sono di sfiducia generalizzata nelle istituzioni governative, nei partiti e nello stesso sistema parlamentare, sfiducia che genera il disorientamento della protesta sociale.

Nel mondo del lavoro si pagano le nefaste conseguenze del consociativismo delle Confederazioni sindacali di colore alle scelte di politica generale proprie dei partiti politici e si scontano gli effetti dell’accentramento decisionale delle vertenze di lavoro sotto la bandiera di una pretesa insostituibile “coesione sociale” da oltre mezzo secolo, per cui alla fine prevalgono sempre i sostenitori interessati al mantenimento dell’esistente.

Tale concezione ha allargato sempre di più la forbice tra la ricchezza dei pochi detentori del potere economico e la progressiva indigenza dei possessori della sola forza lavoro, mentre ha ristretto l’area della democrazia partecipativa.

L’Italia non cresce anche perché i lavoratori non riescono ad esprimere le proprie potenzialità rivendicative in una dinamica vertenziale collettiva di categoria e d’azienda, bloccata dall’invadenza dell’onnipresente livello confederale.

Così come nell’universo dell’economia la libertà di mercato può risolversi in un monopolio, nel nostro mondo del lavoro la libertà sindacale si é concretata nel monopolio delle Confederazioni sindacali CGIL-CISL-UIL.

Le recentissime vicende dell’infelice tentativo di sviluppo della contrattazione aziendale – di cui il nostro giornale si occupa in un altro articolo – dimostrano che non possono chiamarsi fuori dalla responsabilità della mancata crescita economica le relazioni industriali, così come sono state impostate e si svolgono in Italia.

In tale precaria situazione, il primo compito dei rappresentanti sindacali autonomi é di fare appello ad un modo diverso di essere sindacato, che pure é presente anche se coartato nel nostro Paese.

Autonomia sindacale non significa soltanto rifiuto dell’interferenza delle ideologie politiche nelle finalità, nella strategia e nell’azione sindacale che si compendia nel principio: la politica ci divide nei partiti, il lavoro ci unisce nel sindacato. Fuori i partiti dal sindacato!

Autonomia sindacale vuol dire soprattutto legare l’avanzamento delle condizioni di vita e di lavoro alla dimensione contrattuale collettiva di categoria e aziendale, non subordinando tali obiettivi alla contrattazione nazionale onnicomprensiva etero-diretta dai vertici confederali, che non consente di premiare il merito e la produttività in quanto avulsa dalla realtà dei luoghi di lavoro.

Fare i contratti collettivi, questa é la funzione primaria che il Sindacalismo Autonomo rivendica a se stesso sin dalla nascita della sua indipendenza, all’indomani della scissione dalla CGIL prima della CISL e poi dell’UIL, arroccatesi in una posizione di monopolio conquistato con la contraffazione di un’unità preclusa dalla stessa coesistenza di una pluralità di ideologie di partito nelle sue componenti.

Da allora, sono scomparse nel nulla le formule con le quali esse hanno tentato di trasformare la propria immagine, pur di mantenere un potere esclusivo: all’origine, “il sindacato cinghia di trasmissione” del partito quale strumento della lotta di classe; dopo la scissione “il sindacato che fa politica” subordinato a questo o a quel partito; successivamente “il sindacato movimento” da alcuni improvvidamente battezzato “sindacato dei cittadini”.

Oggi si approfondisce sempre di più il solco tra Confederazioni “di schieramento” che o stanno dalla parte del Governo o ne perseguono l’abbattimento.

Questa micidiale divisione non deve essere il destino dei lavoratori italiani, ridottisi ad essere “indignati” in piazza per carenza di fiducia nelle forme rappresentative esistenti.

Essi devono essere chiamati anche nel pubblico impiego a bandire ogni legame politico dal sindacato, a sostenerne l’unità organizzativa e d’azione per conseguire i traguardi di una prestazione di lavoro sicura, remunerata nella giusta misura, difesa nei suoi diritti fondamentali.

Un presidio di libertà e di democrazia rappresentativa nel lavoro dipendente esiste nel nostro Paese ed é il Sindacalismo autonomo.

Concorriamo a renderlo più forte anche tra i lavoratori pubblici, chiedendone il consenso ed ottenendone un giudizio di valore informato e cosciente sulla difesa dei loro diritti, che le Organizzazioni autonome devono portare avanti con tenacia, perché esse costituiscono il futuro nella rappresentanza democratica dei loro interessi collettivi.