Giovedì 23 aprile 2020 si è svolta la riunione on line del Consiglio europeo per dibattere sulle misure da attivare per far fronte alla crisi economica che i paesi europei stanno subendo a causa della pandemia da Covid-19. Oltre ai capi di Stato e di governo, si sono collegati anche i presidenti della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dell’Eurogruppo, Mario Centeno, della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell ed il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli.
Alla fine della riunione è arrivata l’accettazione del Recovery Fund: tutti i 27 Paesi hanno deciso di introdurre, per contrastare la crisi sanitaria, economica e sociale tale fondo per la ripresa, sovvenzionato con titoli comuni europei che andrà a finanziare tutti Paesi più danneggiati. Tali fondi si andranno a sommare a quelli già varati dalle istituzioni dell’Unione, ma non è ancora chiaro esattamente come saranno finanziati. Per il Recovery Fund “non parliamo di miliardi, parliamo di migliaia di miliardi “.
La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha spiegato che non si è ancora tutti d’accordo su come finanziare il Recovery fund, “se con sussidi o prestiti”. Ma appare chiaramente che il fondo sarà collegato al prossimo bilancio europeo per i prossimi sette anni.
Oltre agli interventi della Banca centrale europea e alla sospensione delle regole del Patto di stabilità, durante la riunione si è convenuto di procedere con uno strumento di sostegno ai dispositivi nazionali di assicurazione contro la disoccupazione il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency), con una nuova linea di finanziamenti garantiti della Banca europea degli investimenti, e con una nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (MES) con condizionalità collegate unicamente all’utilizzo dei fondi.
Tale articolato insieme di interventi dovrebbe mobilitare a regime circa 500 miliardi di euro. Concludendo, poi, si è stabilito di creare un fondo per la ricostruzione (Recovery Fund) , dando mandato alla Commissione di fare una proposta entro il 6 maggio per la sua attivazione.
Un risultato sicuramente positivo nell’attuale, tragica situazione di pandemia.
Va detto, però, che mentre su SURE, BEI (Banca europea per gli investimenti) e sul MES (European Stability Mechanism) perfezionato e corretto, si è al corrente dei dettagli, al contrario, sul fondo per la ricostruzione, Recovery Fund, quasi tutto resta da precisare.
Un punto importante da sottolineare è che non si conoscono ancora gli strumenti che utilizzerà il fondo: prestiti o erogazioni a fondo perduto. Data l’eccezionalità delle circostanze e l’esigenza di non aggravare la situazione debitoria dei Paesi beneficiari, la Spagna ha proposto che il fondo intervenga con “donazioni”. Sarà estremamente difficile, però, che tale possibilità possa verificarsi a causa dell’opposizione da parte dei Paesi che hanno i conti in ordine e, forse, anche per i precedenti concernenti l’impiego, in alcuni Paesi, dei fondi strutturali: caratteristiche “erogazioni a fondo perduto” della Ue.
Quale sarà il volume complessivo di risorse che il fondo dovrebbe riuscire a impegnare? A tale riguardo non c’è ancora consenso sull’ammontare ottimale di risorse, di cui dovrebbe disporre e le cifre che circolano lasciano ipotizzare, che esso dovrà operare soprattutto sulla base di un’deguata leva. A tale proposito viene citato come precedente il piano Juncker.
È ragionevole pensare che come base giuridica si farà ricorso all’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che recita: “1. Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia.
2. Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa”.
Dalla lettera di tale articolo risulta la possibilità di fornire, in situazioni di emergenza, “assistenza finanziaria” a Paesi che lo sollecitino. Si tratta di una formula giuridica che fa pensare immediatamente a crediti, sia pure a condizioni molto agevolate, piuttosto che ad elargizioni.
Lo European Financial Stabilisation Mechanism (EFSM), l’immediato predecessore del MES, creato nel 2011 con il ricorso all’articolo 122, utilizzava crediti agevolati. E anche per il Sure (da creare sempre con ricorso all’articolo 122), la Commissione ha tenuto in conto l’utilizzo di crediti.
Un altro arcano da risolvere in maniera trasparente riguarda le modalità di erogazione degli interventi del fondo. E, nel caso di specie, l’alternativa è tra finanziamenti per programmi e progetti comuni, determinati e, soprattutto, monitorati in sede europea, o interventi a sostegno di programmi di singoli Stati membri. Nella seconda delle evenienze, che sembrerebbe la più accreditata, si porrebbe la questione dei criteri di distribuzione delle risorse del Fondo tra singoli Stati membri. In ogni caso, anche nel caso di interventi di sostegno a singoli Stati membri, non si può non immaginare un nesso con una qualche attività di controllo/monitoraggio sull’utilizzo delle risorse del fondo. Il ricorso a una qualche forma di condizionalità ci sarà, eccome!
Last but not least, c’è la questione del collegamento con il bilancio dell’Unione Europea. La Commissione ha già richiamato la necessità di collegare il fondo per la ricostruzione al bilancio Ue per l’anno 2020, e al futuro quadro finanziario pluriennale. In tal caso, indicando l’esigenza di un aumento molto sostanzioso, ma transitorio dei tetti di spesa del bilancio della Unione Europea (secondo talune fonti fino al 2% del Pil dell’Unione).
È probabile che, in tale occasione tragica di Covid-19, ci possa essere un’apertura, perché, ad eccezione della cancelliera Angela Merkel, su questa ipotesi non si sono ancora osservate reazioni. Sul Quadro finanziario pluriennale, solo nel febbraio scorso, l’Unione si era bloccata per la mancanza d’intesa su un incremento di uno a due decimali sopra l’1%.
Trovare un accordo su un aumento del bilancio dell’Unione non sarà però un’operazione lineare, perché è necessaria l’unanimità.
Conoscendo le riluttanze di alcuni Paesi sulla questione dei titoli comuni di debito, l’arduo lavoro per la Commissione sarà di presentare una proposta “creativa” sul finanziamento del Fondo, che eviti di provocare reazioni negative e sovente pregiudiziali.
Carlo Marino