Il Rapporto dell’ISS sui decessi dovuti alla pandemia da Covid-19

Nel mese di ottobre l’Istituto Superiore di Sanità, il massimo organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, ha pubblicato un nuovo rapporto recante la fotografia dei dati sulla mortalità da Covid-19 (reperibile al link: iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/comunicato-stampa-n%25C2%25B053-2021-covid-19-i-vaccinati-deceduti-sono-iperfragili-et%25C3%25A0-media-pi%25C3%25B9-alta-e-pi%25C3%25B9-malattie-pregresse). La pandemia, come ormai a tutti noto, ha investito il mondo intero, sfiorando ultimamente – secondo le stime dell’OMS (ourworldindata.org/coronavirus-data) – i cinque milioni di morti. Fermo restando quanto sopra, dei 130.468 decessi verificatisi nel nostro paese dal febbraio 2020, secondo una interpretazione circolata su tale rapporto, “soltanto” 3.783 sarebbero morti cagionate direttamente ed esclusivamente dalla patologia scatenata dal virus, mentre la restante parte (parliamo di oltre il 97 per cento) sarebbe riconducibile ad altre patologie,  quali eventi cronici, malattie autoimmuni e cardiovascolari, peraltro piuttosto frequenti in soggetti di anzianità elevata, la componente più significativa nel campione preso in esame nella rilevazione. In via preliminare, mi sia consentito dire che nessuno può entrare nel merito dello stato di salute dei singoli individui, meno che mai esprimere valutazioni che pertengono esclusivamente a medici ed esperti del settore, ma partendo dal dato di fatto che la diffusione del rapporto ha scatenato nuove discussioni sulla reale virulenza dell’infezione da coronavirus, sollevando questioni mai veramente sopite, lo stesso ISS ha ritenuto opportuno fornire dei chiarimenti (iss.it/comunicati-stampa). L’Istituto ha precisato che non è vero che solo il 2,9 per cento dei decessi sarebbe imputabile al Covid-19: nel ribadire che detta percentuale era già riportata nelle precedenti pubblicazioni, l’ISS specifica come sia vero che tale numero riguarda coloro che non avevano patologie pregresse al momento dell’infezione e del decesso, il che costituisce un ulteriore ed importante fattore di rischio, ma stima nell’89 per cento il numero delle morti complessive riconducibili alla patologia scatenata dal virus. Altro elemento smentito dalla precisazione dell’Istituto concerne la deduzione che lo stato di salute compromesso dei pazienti, specie anziani, avrebbe comunque determinato un decesso in tempi brevi, affermando al contrario che le patologie pregresse potevano essere affrontate con le opportune cure e terapie. Sarebbe auspicabile, al fine di scongiurare per il futuro ogni ulteriore polemica, attenersi sempre ad un confronto sereno e trasparente, che aiuti a svelenire un clima fin troppo acceso, senza per questo mai mettere in discussione la sacralità della vita umana e la sua tutela.

di Paolo Arigotti