Il dibattito italiano sul salario minimo: tra contrattazione collettiva e interventi legislativi

ll dibattito in Italia sul salario minimo si è intensificato recentemente, con la proposta di legge n. 1275 del 04/07/2023 che mirava a introdurre un trattamento economico minimo orario di 9 euro lordi. Tuttavia, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) ha espresso un parere sfavorevole, sostenuto anche dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. La discussione si è concentrata sull’efficacia della contrattazione collettiva rispetto a un intervento legislativo diretto.

Il 12 ottobre 2023, il CNEL ha risposto alla richiesta della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, riguardante l’analisi sulla proposta di legge per un salario minimo orario di 9 euro lordi. La proposta, sollecitata dalle opposizioni, mirava a stabilire un valore minimo, uniforme e non derogabile per tutti i lavoratori dipendenti. Tuttavia, il CNEL, con il sostegno di Meloni, ha manifestato un sostanziale sfavore verso questa direzione.

Il CNEL ha sottolineato la complessità del tema, evidenziando come la soluzione ai “bassi salari” debba essere ricercata nella contrattazione collettiva nazionale. Questa posizione si basa sulla grande tradizione italiana in materia e sulla direttiva 2022/2041 dell’UE sui salari minimi adeguati. Secondo il CNEL, la contrattazione collettiva in Italia copre quasi il 100% dei lavoratori e supera le soglie retributive suggerite dall’UE.

Nonostante ciò, il CNEL riconosce l’esistenza di eccezioni significative, come nel caso del lavoro agricolo, domestico, multiservizi e di attesa. Queste eccezioni sono state al centro del dibattito sul salario minimo, evidenziando la necessità di interventi mirati per contrastare il lavoro povero e sostenere i redditi dei lavoratori.

In questo contesto, la Corte di Cassazione ha svolto un ruolo cruciale, ricordando la presunzione di “giusta retribuzione” secondo l’articolo 36 della Costituzione Italiana. La Corte ha sottolineato che, nonostante la contrattazione collettiva, è necessaria una verifica giudiziale per garantire un salario adeguato ad un tenore di vita dignitoso, tenendo conto anche delle necessità culturali, educative e sociali.

La posizione della Corte di Cassazione suggerisce che, sebbene la contrattazione collettiva sia un mezzo efficace, non è sempre sufficiente per garantire una giusta retribuzione. Inoltre, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore può e deve intervenire in certe circostanze per adeguare la retribuzione alle variazioni del costo della vita e garantire il rispetto dei principi costituzionali.

Il dibattito sul salario minimo in Italia mette in luce la tensione tra l’autonomia della contrattazione collettiva e la necessità di interventi legislativi per garantire una retribuzione dignitosa. Mentre la contrattazione collettiva copre la maggior parte dei lavoratori, ci sono eccezioni significative che richiedono attenzione. La recente presa di posizione della Corte di Cassazione evidenzia l’importanza di un equilibrio tra questi due approcci per garantire un salario giusto a tutti i lavoratori in Italia.

Un altro aspetto rilevante nel dibattito sul salario minimo in Italia è il confronto con altri paesi europei, con alcuni di questi che prevedono nella loro legislazione un salario minimo legale. Questa differenza diventa particolarmente significativa quando si considera la dinamica dei salari in Italia rispetto al resto d’Europa.

Nei paesi europei dove è stato introdotto un salario minimo legale, si osserva generalmente una crescita più consistente dei salari. Questo incremento non solo aiuta a mantenere un tenore di vita dignitoso per i lavoratori a basso reddito, ma contribuisce anche a ridurre le disparità economiche. In contrasto, in Italia, nonostante la presenza quasi universale di contratti collettivi nazionali che stabiliscono salari minimi per vari settori, l’aumento percentuale dei salari è stato storicamente più contenuto.

Questa discrepanza solleva questioni importanti sull’efficacia della contrattazione collettiva in Italia nel garantire aumenti salariali adeguati, soprattutto in un contesto economico globale in rapida evoluzione. Mentre la contrattazione collettiva è stata a lungo vista come un pilastro della protezione dei lavoratori in Italia, la realtà dei salari che crescono in percentuale meno rapidamente rispetto ad altri paesi europei suggerisce la necessità di riconsiderare e potenzialmente riformare questo sistema.

Purtroppo in Italia si guarda più a soluzioni tampone e temporanee (interventi sul cuneo fiscale o defiscalizzazione di alcune parti delle retribuzioni) invece di porre l’attenzione ad un effettivo aumento delle retribuzioni.

L’esperienza europea dimostra che un salario minimo legale può essere uno strumento efficace per garantire che i lavoratori ricevano una retribuzione equa, indipendentemente dalle fluttuazioni del mercato o dalle specificità dei singoli settori. In questo contesto, il dibattito italiano sul salario minimo non è solo una questione di politica interna, ma si inserisce in una più ampia discussione sul modo migliore per garantire equità e giustizia sociale in un’economia globale.

di Massimiliano Merzi