Il Bhutan dove la felicità conta più del PIL

Nella scienza economica e delle finanze occidentale il Prodotto Interno Lordo (PIL) rappresenta da decenni uno degli indicatori più importanti per misurare la ricchezza di una nazione e dei suoi abitanti (assieme al cosiddetto PIL pro-capite): la sua ideazione sarebbe stata opera di un economista americano, nel corso degli anni Trenta del secolo scorso. Ma è veramente così? A un PIL elevato, misurato sia globalmente, che in rapporto alla popolazione, corrisponde necessariamente il benessere di un paese e dei suoi abitanti? Non sembra pensarla così il piccolo regno himalayano del Bhutan, ma lo vedremo meglio tra poco.

Nei notiziari e sugli organi d’informazione sentiamo spesso parlare del prodotto interno lordo come dell’indicatore più importante cui prestare attenzione, in grado di rivelare la ricchezza di una nazione, misurando il valore di tutti i beni di consumo e dei servizi prodotti in una nazione in un determinato periodo di tempo. Il PIL, indicatore inventato negli anni ’30 dall’economista americano Simon Kuznets, si è così trasformato nello strumento con il quale misurare il successo o l’insuccesso delle politiche economiche. Ripetiamo la domanda: è davvero così? E soprattutto: la ricchezza prodotta in termini di PIL e il benessere della popolazione sono realmente sinonimi? Se lo stesse Kuznets ebbe dei ripensamenti a tal riguardo, evidentemente non esistono “evidenze scientifiche” per poterlo sostenere. Se non ci sono dubbi sul fatto che il PIL può fornire un quadro delle attività produttive, certamente non restituisce una fotografia di una serie di ulteriori fattori, come salute, istruzione, sicurezza, vivibilità e salubrità degli ambienti urbani e rurali, cultura e tempo libero. Inoltre, essendo il PIL frutto di una media aritmetica, è evidente che il dato è molto generale, e non tiene conto di situazioni molto diversificate e delle inevitabili diseguaglianze sociali; tutto questo viene confermato dallo studio di alcuni ricercatori britannici, che ha dimostrato come a un PIL elevato non corrisponda necessariamente benessere ed equità. Le stesse percentuali di povertà crescente all’interno di molti dei paesi col PIL più elevato al mondo – Italia compresa – ne rappresentano una ulteriore conferma.

E così torniamo al Bhutan, piccolo stato collocato tra Cina e India, con circa 770.000 abitanti. Il regno himalayano, sulla carta e stando al PIL, sarebbe uno dei paesi più poveri al mondo, ma la scelta dei governanti è stata quella di avvalersi di un altro parametro, poi inserito perfino nella Costituzione, chiamato Felicità Interna Lorda (FIL); come prevede l’art. 9 della Carta fondamentale: “Lo Stato si impegnerà a promuovere quelle condizioni che consentiranno il perseguimento del tasso nazionale di felicità”. Fu il sovrano Jigme Singye Wangchuck a volerlo introdurre negli anni Settanta, con l’idea di misurare non solo la ricchezza interna, ma anche ulteriori elementi come la qualità della vita, la tutela dell’ecosistema, la salute della popolazione, l’istruzione e l’intensità dei rapporti sociali. E da allora è il FIL a ispirare le principali decisioni politiche, ponendo al centro di tutto la persona e il suo benessere, in luogo di astratti parametri contabili o finanziari. La FIL fa leva su questi elementi: standard di vita, educazione, sanità, ambiente, vitalità della comunità, utilizzo del tempo, benessere psicologico, buon governo, resilienza e promozione culturale, garantendo a tutti una casa, del cibo e i servizi essenziali, molti dei quali gratuiti (come istruzione e sanità). Nel 2011 il Paese, tra i migliori al mondo per tutela ambientale ed emissioni, ha istituito un Ministero della Felicità, promuovendo in sede ONU la risoluzione 65/309, con la quale i governi sono invitati a “dare più importanza alla felicità e al benessere nel determinare come raggiungere e misurare lo sviluppo sociale ed economico”. Perfino economisti come il premio Nobel J.P. Fitoussi o Martine Durand dell’OCSE convengono che il PIL non sia l’indicatore più idoneo per misurare benessere e progresso sociale: non si capisce, invece, cosa stiano aspettando i governi e una certa Unione Europea (o un tal FMI) a sposare le stesse tesi, specie dopo aver “asfaltato” varie nazioni con le loro politiche di austerity (pensiamo solo alla Grecia). In base al cosiddetto paradosso di Easterlin (detto anche della felicità) l’aumento del reddito fa aumentare la felicità solo fino a un certo punto, dopodiché inizia la parabola discendente. Chissà se qualcuno mai, nel cosiddetto mondo evoluto, seguirà questa indicazione o l’esempio lodevole del Bhutan.

di Paolo Arigotti