COVID 19: bocciati i DPCM di Conte e dichiarata l’illegittimità dello stato di emergenza

Il Giudice di Pace di Frosinone, Avv. Emilio Manganiello, ha dichiarato con sentenza15 del 29 luglio 2020, n. 516 l’illegittimità costituzionale dello stato di emergenza dichiarato per l’emergenza sanitaria Covid19. Infatti, un cittadino si opponeva con ricorso alla multa con la quale ha ricevuto la contestazione della violazione del divieto di spostarsi in conseguenza della emergenza sanitaria ai sensi del DPCM non specificato.

Argomentiamo, in base alla sentenza, l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza per la violazione dell’articolo 95 e 78 COST. e dei conseguenti DPCM.

Con deliberazione del 31.1.2020 il Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, pubblicata

in G.U. Serie generale n. 26 del 1.2.2020, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in

conseguenza del rischio sanitario derivante da agenti virali trasmissibili “ai sensi e per gli

effetti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c) e dell’articolo 24, comma 1, del decreto

legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è dichiarato per sei mesi dalla data del presente

provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso

all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; 2) per l’attuazione degli

interventi di cui all’articolo 25, comma 2, lettre a) e b) …”.

Esaminando il testo si notano le parole “ stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” pertanto,

  1. Il D. Lgs. n. 1/2018 contenente il Codice della Protezione Civile all’art. 7 qualifica come eventi emergenziali quelli legati a eventi calamitosi naturali (ovvero terremoti, valanghe; alluvioni, incendi ed altri) o derivanti dall’attività dell’uomo (ossia cioè sversamenti, attività umane inquinanti ed altri). Non c’è alcuna menzione a fenomeni di natura sanitaria.
  1. Nella Costituzione della Repubblica, si prevede una sola ipotesi di fattispecie attributiva al Governo dei poteri normativi peculiari ed è normata dall’art.78 e 87, relativamente alla dichiarazione dello Stato di guerra. L’art. 78, infatti, sancisce: Le Camere deliberano lo stato di guerra [cfr. art. 87 c. 9] e conferiscono al Governo i poteri necessari. L’art. 87 stabilisce che il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Pertanto, prosegue la sentenza, nella Costituzione italiana non ci sono riferimenti allo stato di emergenza per rischio sanitario, come neppure nel sopra nominato D. Lgs. N. 1/2018, conseguentemente la dichiarazione adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima perché emanata in assenza di presupposti legislativi, in quanto nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria attribuisce il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario.

La seconda grave violazione dei DPCM rileva il Giudice di Pace è quella dell’art. 13 della Costituzione che sancisce:

La libertà personale è inviolabile.Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.

Per evitare la diffusione del COVID 19 i DPCM prevedono la limitazione della libertà dei cittadini salvi i casi di comprovate esigenze lavorative, di salute o di necessità.

Un divieto così ampio e generale ha imposto nella sostanza un obbligo di permanenza domiciliare, che è una misura sanzionatoria restrittiva della libertà personale contemplata dal nostro ordinamento penale. Oltretutto, questo atto penale deve essere motivato dall’autorità giudiziaria. Il DPCM è un atto amministrativo e in quanto tale non può limitare la libera circolazione dei cittadini.

I Padri Costituenti, quando hanno scritto l’art. 13, come molti altri articoli, avevano in mente il regime fascista e, in particolare la cancellazione della libertà personale, perciò la Costituzione è aperta da un articolo dedicato alla libertà personale intesa come condizione indispensabile per godere di qualsiasi altra libertà. L’articolo quindi pone una grande attenzione nel definire che le misure cautelari devono essere assunte in caso di necessità e vieta ogni forma di violenza fisica o morale e indica il concetto di limite massimo per la carcerazione preventiva. Anche la perquisizione personale deve avvenire nei modi previsti dalla legge, quindi la polizia non può agire arbitrariamente ma deve rispettare le norme.

L’art. 13 della Costituzione si preoccupa principalmente a stabilire i limiti d’azione dello Stato e delle forze di polizia, considerando la restrizione della libertà un danno consistente nei confronti della persona che la subisce. Costringere una persona all’interno di uno spazio spesso ristretto e affollato, comporta una forma di “dolore mentale” che può arrivare fino allo sviluppo di vere e proprie patologie.

La sentenza prosegue sostenendo che “l’obbligo di permanenza domiciliare è già noto e consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice di pace penale per alcuni reati. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una misura restrittiva della libertà personale ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996). Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale e dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte costituzionale: Infatti, l’art. 13 Cost., stabilisce che le misure restrittive della persona possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare, direttamente irrogato a tutti i cittadini dal legislatore, anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare il ricordato art. 13 Cost. Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, questo Giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere al disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge.

Stante l’illegittimità del DPCM iniziale, che è un atto di Alta Amministrazione e quindi non un atto legislativo, devono considerarsi illegittimi tutti gli atti amministrativi conseguenti emanati nei mesi successivi, con conseguente disapplicazione da parte del Giudice di Pace dello stato di emergenza sanitaria ed il DPCM attuativo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.

Per quanto riguarda invece la Sentenza del Tribunale di Roma del 16 dicembre 2020 n. 45986/2020, il Giudice Dott. Alessio Liberati, si è trovato a giudicare un caso di sfratto per morosità, in cui la parte opponente allo sfratto ha dichiarato che per la grave crisi dovuta alla pandemia COVID 19 non è riuscita a sostenere la spesa dell’affitto.

Si sottolinea che la sentenza è civile e non costituzionale, ma vista la peculiarità e il riferimento ai DPCM è degna di attenzione, anche per un eventuale ricorso alla Corte Costituzionale.

Come sopra detto la parte conduttrice ha sottolineato l’impossibilità di sostenere le spese dovute alla situazione emergenziale derivanti dalla pandemia, secondo il Giudice “l’esistenza di un’emergenza sanitaria non è di per sé condizione intrinsecamente impediente in termini assoluti, diversamente dal caso di scuola, ad esempio, del crollo dell’immobile a seguito di terremoto o del crollo dell’unica via di accesso all’immobile a seguito di calamità naturale. In altre parole, in via astratta, ogni attività umana avrebbe potuto continuare a svolgersi regolarmente anche in periodo di emergenza sanitaria, con la sola differenza che il soggetto interessato avrebbe corso il rischio di contrarre il virus (così come, in modo diverso, il conducente che si pone alla guida accetta il rischio di essere coinvolto in un incidente mortale causato da altri, che nella moltitudine dei casi è statisticamente certa)

Il Giudice del Tribunale di Roma nella sua sentenza fa riferimento esplicito alla sentenza del Giudice di Pace di Frosinone e ne conferma tutti i punti esaminati, (esposti sopra) nominando peraltro i pareri di Giudici Emeriti della Corte Costituzionale quali Baldassare, Marini e Cassese che hanno rilevato l’incostituzionalità dei DPCM.

Sottolineando tutti i punti esaminati dal Giudice di Pace di Frosinone ha evidenziato anche lui che un DPCM non può porre limitazioni alle libertà costituzionalmente garantite, non avendo valore e forza di legge.

Rispetto al Giudice di Pace il Giudice capitolino ha aggiunto:

Le concrete limitazioni derivate dall’esecuzione di un provvedimento amministrativo, quale è il DPCM avrebbero comunque potuto essere facilmente rimosse, trattandosi di provvedimenti amministrativi che ad avviso di questo Tribunale appaiono ex se illegittimi.

Può rilevarsi infatti un ricorrente difetto di motivazione.

Com’è noto tutti i provvedimenti amministrativi, ex art. 3 legge 241/1990. A tale obbligo non sono sottratti neanche i DPCM.

Il giudice del Tribunale ha rilevato un “ricorrente difetto di motivazione su tutti i DPCM, infatti, rileva che la motivazione è “redatta in massima parte con la tecnica della motivazione per relationem, con rinvio ad altri atti amministrativi e, in particolare (ma non solo), ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)”. I verbali del CTS, peraltro, in massima parte non sono disponibili né conoscibili, e ciò rende di fatto impossibile o estremamente difficoltoso il riscontro per relationem. In un primo momento tali verbali erano classificati come “riservati”, e solo successivamente sono stati pubblicati, ma con un ritardo tale da non consentire l’attivazione della tutela giurisdizionale”.

L’iter motivatorio generico ad avviso del Tribunale di Roma, è “insufficiente a rispettare i parametri richiesti per ogni provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 3 legge 241/1990, con conseguente illegittimità del provvedimento stesso, nel suo complesso: è indubbio infatti che il complessivo risultato del D.P.C.M. sulla limitazione delle libertà e dei diritti fondamentali sia il frutto del combinato disposto e del coordinato risultato delle varie e singole disposizioni”.

In particolare, non essendo l’obbligo di motivazione sufficientemente adempiuto, secondo il Tribunale i provvedimenti che si sono susseguiti sono illegittimi per violazione di legge (art. 3 legge 241/1990), senza dimenticare che la motivazione, inoltre, è elemento indispensabile per consentire anche il sindacato su possibili vizi di c.d. eccesso di potere.

Il Giudice del Tribunale di Roma infine fa riferimento alla sentenza del TAR del Lazio ordinanza n. 7468/2020 di cui riporta in sentenza le parole “infine, dal DPCM impugnato non emergono elementi tali da far ritenere che l’amministrazione abbia effettuato un opportuno bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute della collettività e tutti gli altri diritti inviolabili

Concludendo si può dire che è fortemente raccomandato al Presidente del Consiglio dei Ministri di ottemperare le sue funzioni senza violare i diritti costituzionali dei cittadini italiani.

di Francesca Caracò