25 novembre 2020 donne: ancora violenza nella giornata contro la violenza

Era l’8 marzo 2020 quando già scrissi delle riflessioni contro la violenza sulla donna, pubblicate su questo giornale online. Era appena iniziata la chiusura forzata di tutte le famiglie e alcune donne si sono ritrovate a dover convivere forzatamente con i loro stalker siano essi mariti o conviventi. Il 2020 ha comunque segnato 91 casi finora di donne uccise, secondo il rapporto E.U.R.E.S, sul femminicidio in Italia. La Banca Dati E.U.R.E.S sugli Omicidi Dolosi in Italia raccoglie informazioni a partire dal 1990 ed è progettata per poter realizzare approfondimenti specifici su singoli aspetti e/o caratteristiche del fenomeno omicidiario -analisi vittimologiche, analisi del movente, indici di rischio, assi relazionali tra vittima e autore, incidenza del fenomeno di disagio e degrado sociale. Una ogni tre giorni. Sono i numeri delle donne uccise nei primi 10 mesi del 2020. Le associazioni contro la violenza sulla donna avevano lanciato l’allarme fin dal primo lockdown in primavera. Il timore era che per chi viene maltrattata in famiglia la quarantena sarebbe coincisa con un aumento delle violenze. L’isolamento, la convivenza forzata, l’impossibilità di sottrarsi materialmente alle violenze uscendo di casa e l’instabilità del periodo hanno reso le donne e i loro figli ancora più esposti alla violenza domestica. Secondo il VII Rapporto E.U.R.E.S sul “Femminicidio in Italia”, uno degli aspetti più rilevanti nell’analisi del fenomeno nei primi 10 mesi del 2020 riguarda proprio la “correlazione tra convivenza e rischio omicidiario”.

Nella giornata contro la violenza sulla donna si sono verificati due femminicidi, che hanno portato il numero dell’ E.U.R.E.S a 93 casi, quasi a sottolineare che possiamo anche parlarne, possiamo dedicare una giornata alle donne che subiscono violenza, ma nulla cambia! Nonostante nella giornata del 25 la campagna social ha invitato le donne a raccontare quanto loro succede, altre due donne hanno perso la vita per mano del loro compagno di vita.

Loredana Scalise, cinquantunenne originaria di Girifalco in provincia di Catanzaro, è stata trovata morta, il 25 novembre 2020, sugli scogli di Stalettì, sempre nel territorio di Catanzaro.

Un uomo di 36 anni, che ha avuto una relazione con la donna è stato fermato dai Carabinieri di Soverato, l’ha accoltellata più volte fino a provocarne la morte. Secondo gli inquirenti si tratta di un delitto passionale. Il Procuratore della Repubblica, Anna Chiara Reale, ha emesso il fermo per il reato di omicidio con l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di una persona legata a lui da relazione affettiva, per motivi abietti e con premeditazione, gli è stato ascritto anche il reato di occultamento di cadavere.

Altra tragedia, a Cadoneghe provincia di Padova, nello stesso giorno una donna marocchina di 30 anni è stata uccisa con un coltello da cucina dal marito Abdelfettah Jennati di 40 anni. L’uomo, che dopo l’omicidio si è costituito ai carabinieri che lui stesso ha chiamato, ora si trova in stato di arresto nella casa circondariale di Padova. A sottolineare la tragedia la presenza in casa dei tre figli di 9, 7 e 4 anni, che grazie a Dio non possono ricordare nulla di quanto accaduto perché in quel momento dormivano, adesso purtroppo hanno la mamma uccisa dal padre che è in galera, al momento sono stati affidati ad una vicina di casa, ma sicuramente se ne occuperanno i servizi sociali. Causa scatenante: la gelosia.

Al di là dei fatti di cronaca, le donne scampate dalle trappole domestiche, quando raccontano hanno una frase che ripetono, anche se fra loro non si conoscono: “Non potevo”!

Non potevo truccarmi, non potevo vestirmi con un vestito che mi piaceva, non potevo lavorare, non potevo andare a fare la spesa da sola… Non potevo avere soldi che lo soddisfacessero, perché anche se lavoravo tante ore al giorno dovevo prostituirmi… conosco una ragazza cui l’ex fidanzato stalker le ha rotto il naso con una testata… sì… perché le donne ancora oggi sono picchiate, le mura domestiche nascondono i bruti che si scatenano contro la fragilità o anche contro la forza interiore di una donna, perché chi sopporta tanto ha tanta forza anche se è fragile, perché una donna non ha la forza di un uomo. Conosco una donna che mentre teneva in braccio la sua bambina di un anno e mezzo ha ricevuto, in una discussione, un pugno al centro delle scapole, con una tale forza che non è più riuscita a tenere in braccio la piccola e ha resistito al dolore per poterla adagiare delicatamente sul pavimento. Ho conosciuto una donna, che è stata intrappolata contro la finestra della sua cucina e lì ha ricevuto una “gragnuola” di colpi sulle spalle, sulle braccia mentre lui rideva e si vantava di saper dare le botte senza lasciare segni visibili in modo che se le fosse venuto in mente di denunciarlo, di correre da suo padre per dirlo, l’avrebbe fatta passare per pazza e le avrebbe tolto i figli. Si perché questi Riccardi Cuor di Leone arrivano ad aggiungere le minacce psicologiche a quelle fisiche con una crudeltà da film horror, ma purtroppo invece è realtà. L’ultima vittima del padovano aveva più volte denunciato il marito di maltrattamenti, ma nulla è valso, lui è riuscito ad ucciderla. Ci sono uomini che coinvolgono anche i figli nella loro violenza, bambini o ragazzi, che si mettono in mezzo per salvare le madri. Alcuni bambini hanno avuto la maturità di chiamare le forze dell’ordine mentre il padre abusava della madre e lo hanno fatto arrestare, ma quello che è tragico è che non dimenticheranno mai la violenza a cui hanno assistito. Sarà un incubo che li accompagnerà tutta la vita, perché nello stesso momento in cui la madre ha subìto violenza, così anche loro in quel momento hanno subìto la stessa violenza.

Tutti parlano di un dato culturale che va cambiato, la maggior parte dei femminicidi è avvenuto dentro le mura domestiche… domus, casa, ambiente protettivo si è trasformata in ambiente di violenza. E’ stato istituito un numero verde al quale le donne in caso di necessità possono rivolgersi per chiedere aiuto: è il 1522.

La violenza sfrutta l’isolamento e la sfiducia delle donne, per questo durante il 2020 il Ministero per la Famiglia e le Pari Opportunità ha promosso una campagna di informazione mediante la RAI per spingere le donne vittime a parlare, a denunciare, a cercare i centri antiviolenza, perché la dignità della donna è violentata ogni giorno in molte case.

La violenza sulla donna e sui bambini non è un caso solo italiano, ma globale ed i numeri sono impressionanti.

Per questo motivo è stata sottoscritta dall’Italia l’11 maggio del 2011 la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, che ha posto le basi del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, in grado di creare un quadro di indirizzo completo e capace, se attuato, di proteggere le donne dalla violenza.

Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del Consiglio d’Europa. L’Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77/2013. Ad oggi la Convenzione è stata firmata da 32 Stati, ratificata da 8 Stati; non è dunque ancora entrata in vigore. (cit. dal sito del Senato della Repubblica)

La Convenzione è incentrata su tre pilastri: la prevenzione, come contrasto al fenomeno della violenza di genere, la protezione delle vittime e la punizione dei criminali responsabili. Dal sito della Camera dei Deputati si legge: “Nella XVIII legislatura il Parlamento ha proseguito nell’adozione di misure volte a contrastare la violenza contro le donne (iniziata nella scorsa legislatura con la ratifica della Convenzione di Istanbul, le modifiche al codice penale e di procedura penale volte ad inasprire le pene di alcuni reati commessi nei confronti di donne, l’emanazione del Piano d’azione straordinario contro la violenza di genere e la previsione di stanziamenti per il supporto delle vittime), attraverso il perseguimento di tre obiettivi: prevenzione dei reati, protezione delle vittime e previsione violenza di genere e punizione dei colpevoli”. In quest’ambito si pone l’approvazione della legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso), volta a rafforzare le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica. E’ stata inoltre istituita, al Senato, la Commissione d’inchiesta monocamerale sul femminicidio.

Quindi gli uomini violenti, maltrattanti, devono sottoporsi durante la pena a percorsi di rieducazione/riabilitazione attraverso i quali conseguire un reale e concreto cambiamento culturale. E’ un pilastro del cambiamento, che però non è sufficiente perché molti uomini non sono raggiunti per l’omertà delle donne. Inoltre, dovrebbero fare questi percorsi anche coloro che sono raggiunti da misure cautelari, in modo che tutte le donne siano protette insieme ai loro figli.

Il lavoro sugli uomini è fondamentale per interrompere il fenomeno della violenza attraverso un cambio culturale, ma ancora la strada da percorrere è lunga. Questi centri per gli uomini maltrattanti hanno avuto nel Decreto di agosto un milione di euro di finanziamento.

Il finanziamento in Italia comunque costituisce un problema in quanto i centri antiviolenza sono finanziati parzialmente dallo Stato ma non hanno fondi sufficienti. E’ stato richiesto dalle Associazioni un finanziamento maggiore, perché soprattutto in questo periodo di pandemia la crisi ha colpito anche loro e si sostengono con finanziamenti volontari.

Questo per quanto concerne l’ambito del legislatore e quindi della politica.

Per quanto riguarda il lato umano, come già sostenuto sulla violenza che ha colpito giovani vite, si ribadisce il concetto che uccidere non ha mai avuto una motivazione seria.

Si uccide perché i freni inibitori non ci sono più , ma sussiste una determinazione nell’affermare il proprio io egoista e crudele, il proprio narcisismo perverso.

Si uccide perché la nostra società ha estirpato Dio, lo ha ucciso nella propria vita, non lo ama più, perché è più importante essere Dio e mettersi al posto di Dio.

Nei percorsi che gli uomini maltrattanti devono fare ci dovrebbe essere un’analisi approfondita del sé psicologico e umano e, soprattutto un processo di conversione alla riscoperta dell’Amore nel senso puro del termine.

Utopia? Sì se si estirpa Dio dalla propria vita.

di Francesca Caracò