2 giugno 1946

Quando gli italiani scelsero di essere cittadini

Non vi è libertà

                     ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi,

l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa

                                                                            Cesare Beccaria

Dopo 75 anni ininterrotti di pace in Europa è difficile immaginare quali fossero le macerie fisiche e morali, che condussero il popolo italiano a scegliere la forma repubblicana dello Stato, anche se con una maggioranza non schiacciante, segno di ferite e divisioni, che dovevano perdurare ancora per molto tempo.

Nella giornata del 2 giugno del 1946 si compì una necessaria frattura con il passato, con due atti già in sé rivoluzionari: la concessione del voto alla donne, che nel periodo bellico avevano dato prova delle loro capacità nella mobilitazione industriale e contribuito alle azioni di rivolta civili; l’elezione dei componenti dell’Assemblea Costituente, per cui redigere la nuova carta costituzionale non era questione di una élite di giuristi ma di una intera nazione, in tutte le sue componenti sociali ed ideologiche.   

Riconnetterci idealmente con quegli uomini e quelle donne può essere un modo proficuo per ringraziarli di questo prezioso e fragile lasciato, che abbiamo il dovere di preservare da ogni forma di indifferenza, barbarie, egoismo e corruzione.

Un utile momento di riflessione possono offrirci vari scritti e discorsi di Pietro Calamandrei.  Molti lavori furono pubblicati dal giurista e padre costituente nella rivista “il Ponte”, da lui fondata nel 1945, nel clima difficile del secondo dopoguerra, per difendere ed indirizzare la nascente democrazia verso la defascistizzazione degli italiani e la riscoperta della dignità della cittadinanza attiva.

Come scrive in “Passato e avvenire della Resistenza”, discorso tenuto nel ’54 al Teatro Lirico di Milano alla presenza di Ferruccio Parri, Piero Calamandrei ritiene che bisogna sempre tener ben presente il significato morale del fascismo. “L’insulto sistematico, adoprato come metodo di governo, alla dignità morale dell’uomo, l’umiliazione brutale, ostentata come una gesta da tramandare ai posteri, dell’uomo degradato a cosa. [….] Il ventennio fascista non fu un ventennio di ordine e di grandezza nazionale ma di sconcio illegalismo, di umiliazione, di corruzione morale, di soffocazione quotidiana, di sorda e sotterranea disgregazione civile.”

 Con la Resistenza e quindi con il processo di liberazione e ricostruzione che ne seguì, un intero popolo vinse contro sé stesso, ritrovando dentro di sé la dignità dell’uomo.

La nostra Repubblica, parlando nei decenni attraverso la Costituzione, fa della dignità dell’uomo la pietra angolare di tutto l’impianto democratico. Progetto a cui deve tendere ogni generazione di italiani, da declinare secondo le situazioni e le realtà nuove, che via via si fanno strada nella storia e nel cambiamento. Nella dialettica dei ragionati contrasti, che è la base del sistema parlamentare, per Calamandrei si trova lo stimolo vitale di ogni regime democratico, dove la maggioranza non ha sempre ragione, ma dove vige sempre il diritto di discutere le ragioni della minoranza.

La preoccupazione di Pietro Calamandrei per la giustizia sociale[1], premessa necessaria e graduale arricchimento della libertà individuale, è sempre costante ed è quanto mai attuale in questa nostra epoca di ripensamenti e rinnovata richiesta della presenza dello Stato e della sua azione.

“… se vera democrazia può aversi soltanto là dove ogni cittadino sia in grado di esplicare senza ostacoli la sua personalità, per poter in questo modo contribuire attivamente alla vita della comunità, non basta assicurargli teoricamente le libertà politiche. […] Di vera libertà politica potrà parlarsi solo in un ordinamento, in cui essa sia accompagnata per tutti dalla garanzia di quel minimo di benessere economico, senza il quale viene a mancare, per chi è schiacciato dalla miseria, ogni possibilità pratica di esercitare quella partecipazione attiva alla vita della comunità, che i tradizionali diritti di libertà teoricamente gli promettevano.

[…] si chiede che i diritti di libertà cessino di essere vuoti schemi giuridici e si riempiano di sostanza economica; ossia che le libertà politiche siano integrate da quel minimo di giustizia sociale, che è condizione di esse, e la cui mancanza equivale per l’indigente alla loro soppressione giuridica”.

L’impegno che si assunsero i padri della Repubblica, rispetto a quello di coloro che si immolarono per un’Italia libera e democratica, fu di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore.

 Il nostro impegno è non dimenticarlo.

di Rosaria Russo


[1] “Costituente e questione sociale”, articolo pubblicato su “Il Ponte”, agosto 1945