Recovery Fund, Sure-BEI, MES e BCE, sono gli strumenti economico-istituzionali che sono tornati in primo piano in Italia e in Europa in funzione di una strategia di aiuti, che possa sostenere i paesi più colpiti dalla pandemia da Coronavirus. All’immagine sofferente di un paese sconvolto dalla pandemia, si è aggiunta la fotografia di un paese esposto alla più grave crisi economico-sociale del dopoguerra per l’arresto di tutte le attività produttive, turistiche e commerciali.
In premessa, se in questo periodo di crisi non avessimo potuto usufruire di un’ulteriore immissione di massa monetaria nel sistema da parte della BCE (Banca Centrale Europea), il cosiddetto QE (Quantitativy Easing), saremmo in default già da qualche mese, in preda alla speculazione internazionale. E con lo spread in forte rialzo.
Il Ministero della Sanità e il Governo sono d’accordo nell’affermare che la fase più virulenta della pandemia potrebbe essere passata, ma non è ancora finita e non sappiamo quando sparirà del tutto. Siamo infatti nella Fase2 della diffusione del Covid19.
Sulla gestione della ripresa delle attività è in atto, nel nostro Paese, un forte scontro istituzionale tra governo e regioni. Alcune regioni meno colpite dal virus scalpitano per accelerare la riapertura, che concessa dovrà essere realizzata in sicurezza con i necessari presidi sanitari. Sarà adottato probabilmente un sistema di riapertura a macchia di leopardo per venire incontro alla richiesta degli esercenti, in particolare dei piccoli esercizi commerciali.
Dopo aver partecipato all’incontro del Consiglio Europeo, il 23 aprile scorso, il Presidente del Consiglio Conte, ha parlato di introduzione nel panorama economico del Recovery Fund, un fondo finanziato con un capitale di 1500 miliardi in titoli comuni europei (obbligazioni) che dovrebbe permettere ai paesi più colpiti di reagire alla crisi. L’Italia, prima a chiederlo secondo le parole di Conte, rivendica che sia stata un’iniziativa italiana firmata da altri otto paesi: Spagna, Italia, Portogallo, Francia e Grecia. In Italia, la perdita stimata per il blocco delle attività produttive è , ad oggi, di circa 160 miliardi di PIL.
All’incontro del 6 maggio, al Consiglio Europeo, sono stati discussi i criteri per il trasferimento dei fondi che, a quanto annunciato, dovrebbero essere erogati sotto forma di prestiti agevolati o di sovvenzioni a fondo perduto.
Lo schieramento degli stati del Nord Europa: Germania, Austria, Finlandia, Olanda Danimarca e Norvegia, opterebbero per la formula dei prestiti, anche se agevolati e a lungo termine, mentre gli stati che si affacciano sul Mediterraneo che sostengono il finanziamento a fondo perduto, vedrebbero in questo la nascita di un asse solidale e coeso come base per l’Europa Unita.
Un dato politico non da poco.
Secondo le dichiarazioni della Cancelliera Angela Merkel, per i prossimi sette anni, il Recovery Fund farà parte del Bilancio Europeo.
Fino a qualche tempo fa, sarebbe stato veramente impossibile pensare che un traguardo così importante potesse essere raggiunto.
Anche i fondi SURE e BEI, portati in Commissione dalla Presidente Ursula von der Leyen, in aprile 2020, sono strumenti che si sostanziano rispettivamente , in un apporto di 100 miliardi per affrontare la disoccupazione nei paesi più colpiti, e in 200 miliardi per finanziare i prestiti alle imprese. Solo in Italia 6.700.000 milioni di persone hanno perduto il lavoro e vorrebbero ottenere gli aiuti al più presto per non essere sopraffatti dalla crisi. Si valuta che circa il 20% degli esercizi rischia di non riaprire più i battenti.
I due istituti nati grazie all’ impegno del Presidente francese, Emmanuelle Macron, nonché del Premier Conte e del Commissario Europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, si vorrebbero operativi dal 1° giugno per il finanziamento immediato della disoccupazione, già costata al Paese 13 miliardi e in suscettibile ulteriore aumento. E per finanziare le perdite delle imprese.
Dal MES, il discusso Fondo Salva Stati che, nel nostro Paese, divide maggioranza e opposizione , si dovrebbero recuperare altri 37 miliardi, il 2% del PIL italiano. Nelle prossime settimane si stabiliranno i criteri per ottenere una linea di credito, costituita da prestiti a tassi agevolati o a fondo perduto, per soluzioni mirate ad affrontare la crisi sanitaria e le spese necessarie per garantire il diritto alla salute.
In realtà, il nostro paese, con un debito pubblico del 156% sul PIL per recessione ed interventi economici urgenti, è vulnerabile non solo per la crisi socio-economica della Fase 2 del Covid, ma anche per le divisioni interne e la mancata compattezza politica che potrebbero produrre, nelle prossime settimane, un maggiore indebolimento del nostro Paese di fronte ai mercati e all’Europa. La posta in gioco è il rifinanziamento delle attività produttive che l’Europa sta già garantendo, in vista di un progetto più ambizioso che mira alla costruzione dell’Europa unita. Soprattutto, nelle istituzioni europee si pensa ad un piano complessivo, a lungo termine, che si intrecci con i temi della sostenibilità ambientale, quindi sullo sviluppo dell’economia green e del digitale.
Un esempio virtuoso in Europa è il Portogallo, governato da Antonio Costa, che in questo momento, ha manifestato una forte coesione interna. Un atteggiamento politico unitario, cementato dalle parole del leader dell’opposizione Rujo che ha ricordato come in tempo di crisi, l’unità politica tra maggioranza e opposizione, è fondamentale ed opportuna per salvare il Paese.
E’ una chiamata anche per noi, per non far fallire la nostra economia e l’Europa.
Rosy Ciardullo