L’Italia di oggi

Archiviata anche l’estate 2008 insieme alle Olimpiadi. Ci si riaffaccia sulla solita Italia, ricomincia il campionato di calcio, le vicende dell’Alitalia, l’aumento del costo della vita che un giorno viene annunciato in tono allarmistico e il giorno dopo si cerca di mitigare l’enfasi di tale annuncio, le materie prime che calano e i prezzi  che restano alti, il federalismo fiscale e non, l’attacco del Governo al pubblico impiego, le intercettazioni telefoniche e tante altre cose più o meno serie che ritroviamo di nuovo ad attenderci dopo una estate passata a combattere con il traffico degli esodi e i prezzi degli ombrelloni.

La solita Italia insomma, la solita politica che con capacità istrioniche tenta sempre di catalizzare l’attenzione dei cittadini su una svariata massa di questioni, sulle quali si arrovellano i cervelli e si dilata e tracima il dibattito politico (dibattito?).

Resta forte la tentazione di lasciar perdere i quotidiani e i telegiornali,  rifugiandoci nelle splendide copertine dei giornaletti estivi colmi di gossip.

Troppi insegnanti. Troppi ferrovieri. Troppi dipendenti Alitalia. Troppi dipendenti pubblici. Sempre troppi! C’è sempre qualcosa di troppo ogni volta che si scopre che il management, rigorosamente lottizzato dalla politica, delle aziende o delle amministrazioni pubbliche non è stato in grado di amministrare qualcosa. Allora scatta, inevitabile, l’analisi e si giunge sempre alla stessa conclusione. Troppi dipendenti! Mai che si riesca a vedere un supermanager cacciato via  a pedate! Non si riesce mai ad individuare responsabilità a quei livelli, tutti bravi e pronti ad essere riciclati in altre poltrone profumatamente pagate.

Con queste premesse, con questa occupazione selvaggia della politica di tutti gli snodi decisionali ed operativi delle amministrazioni, delle aziende, ci si parla addosso di meritocrazia, di selettività, e a volte anche gli stessi sfascia-aziende sono i primi a blaterare su questi importanti e delicatissimi argomenti, ben coadiuvati dalla politica che per prima li disconosce nei fatti, premiando non le loro capacità ma l’appartenenza, la fedeltà e la disponibilità alla corrente partitica.

Così gira la ruota in Italia!

La questione seria è che a fronte di questo bailamme di urla, di strepiti, di allarmismi, di lotte per conquistare le prime pagine dei giornali, c’è tutta un’ altra Italia che a dispetto di tutto va avanti e cerca di sopravvivere.

C’è l’Italia delle maestranze qualificate che arricchiscono le aziende, c’è l’italia dei dipendenti pubblici che fanno con dignità il loro lavoro sottoposti a linciaggi di ogni tipo, c’è l’ Italia dei lavoratori con lavoro precario, lavoro sommerso, delle morti nei luoghi di lavoro, dei pensionati e dei lavoratori che non riescono a portare avanti le famiglie e la massa di debiti che cresce. A questo si aggiunga che, intanto, la riforma Dini sta proseguendo nella sua azione demolitrice e la previdenza complementare non decolla e se anche decollasse sarebbe del tutto insufficiente a garantire adeguati livelli di vita ai pensionati, avvicinandosi sempre più il momento in cui il sistema previdenziale comincerà a sfornare centinaia di migliaia di pensionati ancora più poveri degli attuali.

A fronte di tutto ciò, appare davvero stucchevole il dibattito politico italiano ed è assurdo che non si rimetta al centro della discussione, del confronto, interno alla politica e con le parti sociali, l’unica vera e grande emergenza: le condizioni di vita dei cittadini italiani, il rispetto del dettato costituzionale. Invece si prosegue con la politica dei pannicelli caldi che serve solo a regalare secondi di notorietà a politici ed economisti.

Non serve molto. Serve serietà, occorre che la politica faccia sul serio il suo mestiere, così come lo deve fare il sindacato tutto, cercando di abbandonare sterili protagonismi volti solo a cercare di raggranellare consensi effimeri sull’onda delle fesserie fatte dalla politica. Il problema più grande oggi è quello di contrastare la massificazione e la adulterazione della informazione che fornisce  ai lavoratori e pensionati una visione distorta e contingentata su emergenze presunte, che li allontana dalla conoscenza delle reali prospettive di valorizzazione del loro lavoro.

Invece la politica, l’attuale Governo, tenta anche di mettere il bavaglio alle organizzazioni sindacali, cercando di restringere il loro campo di azione, sia in termini di sottrazione del confronto, sia cercando di mettere in crisi le strutture con interventi penalizzanti e ridurre la capacità di svolgere il proprio ruolo.

Si è cominciato dal pubblico impiego con l’adozione di slogan e iniziative che sono palesemente mendaci, volte solo a guadagnare qualche rigo in più su testate compiacenti. La riduzione al minimo del pubblico impiego in termini di reddito per i lavoratori e, quindi, la necessità di spuntare le unghie ai sindacati dei pubblici dipendenti, è un obiettivo strategico atto anche a destabilizzare le condizioni del settore privato.

Si percorre la stessa strada che già è stata percorsa una volta, quando si cominciò a paragonare strumentalmente le retribuzioni dall’impiego pubblico a quello privato, dimenticando le specificità dei singoli settori.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, solo una maggiore virulenza dell’attacco che si intende sferrare, per cui si rende necessario che i pubblici dipendenti si compattino per contrastare tali subdole manovre.